Archive pour avril, 2008

Il Cardinale Kasper e la missione verso gli ebrei

09/04/2008, dal sito:

 

 http://www.zenit.org/article-14018?l=italian

Il Cardinale Kasper e la missione verso gli ebrei 

Risponde alle critiche sulla nuova preghiera del Venerdì Santo per gli ebrei

 CITTA’ DEL VATICANO, mercoledì, 9 aprile 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l’articolo del Cardinale Walter Kasper, Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani e della Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo, in risposta alle reazioni da parte ebraica sulla nuova formulazione della preghiera del Venerdì Santo per gli ebrei per la forma straordinaria del Rito Romano (Messale del 1962). 

L’intervento del porporato è apparso su L’Osservatore Romano (10 aprile 2008). 

di Walter Kasper*

 

La preghiera del Venerdì Santo per gli ebrei ha una lunga storia. La nuova formulazione della preghiera per la forma straordinaria del Rito Romano (Messale del 1962) realizzata da Papa Benedetto XVI è stata opportuna perché alcune formulazioni sono state considerate offensive da parte ebraica e urtanti anche da parte di vari cattolici. La nuova formulazione ha portato importanti miglioramenti del testo del 1962. Ha, però, suscitato nuove reazioni irritate, sollevando questioni di principio sia presso gli ebrei che presso alcuni cristiani (1). 

Le reazioni avutesi da parte ebraica sono in gran parte motivate non in modo razionale, ma emozionale. Non si deve però liquidarle precipitosamente come causate da ipersensibilità. Pure presso amici ebrei che da decenni sono coinvolti in un intenso dialogo con cristiani, la memoria collettiva di catechesi e conversioni forzate è ancora sempre viva. Il ricordo della Shoah è per l’ebraismo odierno una traumatica caratteristica di identità che crea comunione. Molti ebrei considerano la missione verso gli ebrei una minaccia alla loro esistenza; talvolta si parla addirittura di una Shoah con altri mezzi. Bisogna dunque avere ancora una grande sensibilità nel rapporto ebraico-cristiano. 

Nel frattempo le spiegazioni date sulla riformulata preghiera del Venerdì Santo hanno potuto eliminare i malintesi più grossolani. Già il puro fatto che la preghiera del Venerdì Santo del Messale del 1970 nella forma ordinaria del Rito Romano, quindi, adoperata di gran lunga nel maggior numero dei casi resti pienamente in vigore, dimostra che la riformulata preghiera del Venerdì Santo, adoperata soltanto da una parte estremamente piccola di comunità, non può significare un passo indietro rispetto alla Dichiarazione Nostra ætate del Concilio Vaticano II. Ciò vale ancora di più per il fatto che la sostanza della Dichiarazione Nostra ætate è compresa anche nella Costituzione, documento di più alto livello formale, sulla Chiesa Lumen gentium (n. 16); perciò, per principio, non può essere messa in questione. Inoltre, a partire dal Concilio c’è stato un gran numero di prese di posizione dei Pontefici, anche del Papa attuale, che si riferiscono alla Nostra ætate e che confermano l’importanza di questa Dichiarazione. 

Diversamente dal testo del 1970, la nuova formulazione del testo del 1962 parla di Gesù come il Cristo e la Salvezza di tutti gli uomini, quindi anche degli ebrei. Molti hanno inteso questa affermazione come nuova e non amichevole nei confronti degli ebrei. Ma essa è fondata sull’insieme del Nuovo Testamento (cfr 1 Timoteo, 2, 4) e indica la differenza fondamentale, nota ovunque, che permane sia per i cristiani, sia per gli ebrei. Anche se non se ne parla esplicitamente nella Nostra ætate, né nella preghiera del 1970, non si può estrapolare la Nostra ætate dal contesto di tutti gli altri documenti conciliari e nemmeno la preghiera del Venerdì Santo del Messale del 1970 dall’insieme della liturgia del Venerdì Santo che ha come oggetto appunto quella convinzione della fede cristiana. La nuova formulazione della preghiera del Venerdì Santo del Messale del 1962, quindi, non dice nulla di veramente nuovo, ma esprime soltanto ciò che già finora era presupposto come ovvio, ma evidentemente, in tanti dialoghi, non era stato tematizzato a sufficienza (2). 

Nel passato la fede in Cristo, che differenzia i cristiani dagli ebrei, si è trasformata spesso in un «linguaggio del disprezzo» (Jules Isaac) con tutte le gravi conseguenze che ne derivavano. Se oggi ci impegniamo per un rispetto reciproco, esso può fondarsi solo nel fatto che riconosciamo reciprocamente la nostra diversità. Perciò non aspettiamo dagli ebrei che concordino sul contenuto cristologico della preghiera del Venerdì Santo, ma che rispettino che noi preghiamo da cristiani secondo la nostra fede, come naturalmente anche noi facciamo nei confronti del loro modo di pregare. In questa prospettiva ambedue le parti hanno ancora da imparare. 

La vera questione controversa è: devono i cristiani pregare per la conversione degli ebrei? Ci può essere una missione verso gli ebrei? Nella preghiera riformulata non si trova la parola conversione. Ma è indirettamente inclusa nell’invocazione di illuminare gli ebrei affinché riconoscano Gesù Cristo. In più, c’è il fatto che il Messale del 1962 contiene titoli per le singole preghiere. Il titolo della preghiera per gli ebrei non è stato modificato; esso suona come prima: Pro conversione Judæorum, «Per la conversione degli ebrei». Molti ebrei hanno letto la nuova formulazione nell’ottica di questo titolo, e ciò ha suscitato la reazione già descritta. 

In risposta a ciò, si può far notare che la Chiesa Cattolica, a differenza di alcuni cerchi evangelicali, non conosce una missione verso gli ebrei organizzata e istituzionalizzata. Con tale richiamo, però, il problema della missione verso gli ebrei di fatto non è ancora chiarito teologicamente. Questo è proprio il merito della nuova formulazione della preghiera del Venerdì Santo, che, nella sua seconda parte, presenta una prima indicazione per una sostanziale risposta teologica. 

Si parte ancora una volta dal capitolo 11 della Lettera ai Romani, che è fondamentale anche per la Nostra ætate (3). La salvezza degli ebrei è per Paolo un profondo mistero dell’elezione mediante la grazia divina (9, 14-29). I doni di Dio sono senza pentimento, e le promesse di Dio fatte al suo popolo, nonostante la disobbedienza di questo, non sono state revocate da Dio (9, 6; 11, 1.29). L’indurimento d’Israele torna a salvezza dei pagani. I rami selvatici dei pagani sono stati innestati sul ceppo santo d’Israele (11, 16s). Dio ha però la potenza di innestare di nuovo i rami tagliati (11, 23). Quando la pienezza dei pagani sarà entrata nella salvezza, sarà salvato tutto l’Israele (11, 25s). Israele rimane quindi portatore della promessa e della benedizione. 

Paolo parla, nel linguaggio dell’apocalittica, di un mistero (11, 25). Con ciò si intende esprimere qualcosa di più del fatto che gli ebrei sono spesso per gli altri popoli un enigma e che la loro esistenza è per altri ancora una testimonianza di Dio. Con il termine «mistero» Paolo intende l’eterna volontà salvifica di Dio, la quale si manifesta nella storia attraverso la predicazione dell’Apostolo. Si riferisce concretamente a Isaia, 59, 20 e Geremia, 31, 33s. Con ciò fa riferimento al raduno escatologico dei popoli in Sion, promesso dai profeti e da Gesù, e alla pace universale (shalom) che poi sorgerà (4). Paolo vede tutta la sua opera missionaria tra i pagani in tale prospettiva escatologica. La sua missione dovrebbe preparare il raduno dei popoli, il quale, poi, quando vi entrerà il numero completo dei pagani, tornerà a salvezza per Israele e farà sorgere la pace escatologica per il mondo. 

Si può dunque dire: non a motivo della missione verso gli ebrei, ma a seguito della missione verso i pagani Dio realizzerà alla fine, quando il numero completo dei pagani sarà entrato nella salvezza, la salvezza d’Israele. Solo Colui che ha indurito la maggior parte d’Israele, può anche scioglierne l’indurimento. Lo farà, quando «il liberatore» uscirà da Sion (11, 26). Costui, secondo il linguaggio paolino (cfr 1 Tessalonicesi, 1, 10), non è nessun altro se non il Cristo che ritorna. Ebrei e pagani, infatti, hanno lo stesso Signore (10, 12) (5). 

La riformulata preghiera del Venerdì Santo esprime questa speranza in una preghiera di intercessione rivolta a Dio (6). Con questa preghiera la Chiesa ripete, in fondo, l’invocazione del Padre nostro «Venga il tuo regno» (Matteo, 6, 10; Luca, 11, 2) e l’acclamazione liturgica protocristiana «Maranà tha», «Vieni, Signore Gesù, vieni presto» (1 Corinzi, 16, 22; Apocalisse, 22, 20; Didaché, 10, 6). Tali preghiere per la venuta del Regno di Dio e per la realizzazione del mistero della salvezza, secondo la loro natura, non sono un appello rivolto alla Chiesa a compiere un’azione missionaria verso gli ebrei. Anzi, esse rispettano tutta la profondità abissale del Deus absconditus, della Sua elezione per grazia, dell’indurimento, come della Sua misericordia infinita. Con la sua preghiera la Chiesa, dunque, non assume la regia della realizzazione del mistero imperscrutabile. Non lo può affatto. Piuttosto mette del tutto il quando e il come di tale realizzazione nelle mani di Dio. Solo Dio può far sorgere il Suo Regno, nel quale tutto l’Israele sarà salvato e la pace escatologica toccherà il mondo. 

Per sostenere quest’interpretazione ci si può riferire a un testo di san Bernardo di Clairvaux, che dice che non siamo noi a doverci occupare degli ebrei, ma che Dio stesso se ne occuperà (7). Quanto sia giusta questa interpretazione risulta ancora dalla dossologia che conclude il capitolo 11 della Lettera ai Romani: «O profondità della ricchezza, della sapienza e della scienza di Dio! Quanto sono imperscrutabili i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie!» (11, 33). Questa dossologia manifesta ancora una volta che si tratta della glorificazione adorante di Dio e della sua elezione imperscrutabile mediante la grazia, e non di un appello a qualsiasi azione, neanche alla missione. 

L’esclusione di una missione mirata e istituzionalizzata verso gli ebrei non significa che i cristiani debbano stare con le mani in mano. Missione mirata e organizzata da un lato e testimonianza cristiana dall’altro lato vanno distinte. Naturalmente, i cristiani devono, dove è opportuno, dare ai fratelli e alle sorelle maggiori nella fede di Abramo (Giovanni Paolo II) testimonianza della propria fede e della ricchezza e bellezza della loro fede in Cristo. Ciò ha fatto anche Paolo. Durante i suoi viaggi missionari Paolo si è recato ogni volta prima nella Sinagoga, e solo quando lì non vi ha trovato la fede, è andato dai pagani (Atti degli Apostoli, 13, 5.14s.42-52; 14, 1-6 e altri; fondamentale Romani, 1, 16). 

Tale testimonianza è richiesta oggi anche a noi. Deve avvenire certo con tatto e rispetto; sarebbe però disonesto se i cristiani nell’incontrare amici ebrei tacessero sulla propria fede o addirittura la negassero. Attendiamo altrettanto dagli ebrei credenti nei nostri confronti. Nei dialoghi che io conosco, quest’atteggiamento è del tutto normale. Un dialogo sincero tra ebrei e cristiani, infatti, è possibile solo, da un lato, sulla base della comunanza nella fede nell’unico Dio, Creatore del cielo e della terra, e nelle promesse fatte ad Abramo e ai Padri, e, dall’altro, nella consapevolezza e nel rispetto della differenza fondamentale che consiste nella fede in Gesù quale Cristo e Redentore di tutti gli uomini. 

L’incomprensione diffusa della riformulata preghiera del Venerdì Santo è un segnale di quanto grande sia ancora il compito che ci sta davanti nel dialogo ebraico-cristiano. Le reazioni irritate che sono sorte dovrebbero, quindi, essere un’occasione per chiarire e approfondire ancora le basi e gli obiettivi del dialogo ebraico-cristiano. Se si potesse avviare in questo modo un approfondimento del dialogo, l’agitazione sorta porterebbe alla fine davvero a un risultato positivo. Si deve certo essere sempre consapevoli che il dialogo tra ebrei e cristiani resterà, per sua natura, sempre difficile e fragile e che esige in grande misura sensibilità da entrambi le parti. 

*Cardinale presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani e della Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo

Note 

1) Una sintesi delle prime reazioni pro e contra si trova in: Il Regno n. 1029, 2008, 89-91. Oltre a tali prime reazioni nei mass media, è pervenuta alla Commissione per i Rapporti religiosi con l’ebraismo una serie di prese di posizione dettagliate e particolareggiate, provenienti soprattutto dagli Stati Uniti d’America, dalla Germania e dall’Italia, tra gli altri da R. Di Segni, La preghiera per gli ebrei, in «Shalom» 2008, n. 3, 4-7. 

2) Ciò non vale per il Dialogo ebraico-cristiano internazionale in cui questa questione è sorta già dopo la Dichiarazione Dominus Iesus (2000). La Commissione per i Rapporti religiosi con l’ebraismo ne ha tenuto conto e ha organizzato a questo scopo colloqui di esperti ad Ariccia (Italia), Lovanio (Belgio) e Francoforte (Germania); il prossimo colloquio è programmato da lungo tempo a Notre Dame (Indiana, Stati Uniti d’America). 

3) Quanto all’interpretazione rimando soprattutto all’ampio commentario, ricco anche per la nostra questione, di Tommaso d’Aquino, Super ad Romanos, capitolo 11, lectio 1-5. Commentari più recenti: E. Peterson, Der Brief an die Römer (Ausgewählte Schriften, 6), Würzburg, 1997, 312-330, specialmente 323; E. Käsemann, An die Römer (Handbuch zum Neuen Testament, 8a), Tübingen 1973, 298-308; H. Schlier, Der Römerbrief (Herders Theologischer Kommentar zum Neuen Testament, 6), Freiburg i. Br., 1997, 320-350, spec. 337-341; O. Kuss, Der Römerbrief, 3. Lieferung, Regensburg, 1978, 809-825; U. Wilckens, Der Brief an die Römer (EKK, VI/2), Zürich-Neukirchen, 1980, 234-274, spec. 252-257. Basilare il documento della Pontificia Commissione Biblica Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana (2001). Inoltre F. Mussner, Traktat über die Juden, München, 1979, 52-67; J. Ratzinger, La Chiesa, Israele e le religioni del mondo, Torino, 2000; J. M. Lustiger, La promesse, Paris, 2002; W. Kasper, L’antica e la nuova alleanza nel dialogo ebraico-cristiano, in Nessuno è perduto. Comunione, dialogo ecumenico, evangelizzazione, Bologna 2005, 95-119. A ciò si aggiunge una gran quantità di letteratura più recente, la maggior parte di lingua inglese, sulle questioni del dialogo ebraico-cristiano. 

4) Importanti sono passi come Isaia, 2, 2-5; 49, 9-13; 60; Michea, 4, 1-3 e altri. In merito: J. Jeremias, Jesu Verheißung für die Völker, Göttingen 1959. 

5) Con questo si affronta la questione teologica più fondamentale dell’attuale dialogo ebraico-cristiano: c’è una sola alleanza o ci sono due alleanze parallele per ebrei e cristiani? Tale questione tratta dell’universalità della salvezza, dal punto di vista cristiano irrinunciabile, in Gesù Cristo. Cfr la sintesi della letteratura più antica in J. T. Pawlikowski, Judentum und Christentum, in «Theologische Realenzyklopädie», 18 (1988), 386-403; Pawlikowski, a causa degli interventi miei e di altri, ha sviluppato la sua posizione in modo essenziale e ha riferito ampiamente circa lo stato attuale della discussione in Reflections on Covenant and Mission in: Themes in Jewish-Christian Relations, ed. E. Kessler and M. J. Wreight, Cambridge (Inghilterra), 2005, 273-299. 

6) La preghiera ha modificato questo testo nella misura in cui parla dell’entrata dei pagani «nella Chiesa», cosa che non si trova così in Paolo. Da ciò alcuni critici ebrei hanno concluso che si trattasse dell’entrata d’Israele nella Chiesa, cosa che non si dice nella preghiera. Nel senso dell’apostolo Paolo si dovrebbe piuttosto dire che la salvezza della maggior parte degli ebrei viene comunicata attraverso Cristo, ma non attraverso l’entrata nella Chiesa. Alla fine dei giorni, quando il Regno di Dio si realizzerà definitivamente, non ci sarà più una Chiesa visibile. Si tratta quindi del fatto che alla fine dei giorni l’unico Popolo di Dio composto di ebrei e pagani divenuti credenti sarà di nuovo unito e riconciliato. 

7) Bernardo di Clairvaux, De consideratione, III, 1, 3. In merito anche: Sermones super Cantica Canticorum, 79, 5.

Publié dans:dalla Chiesa, ZENITH |on 9 avril, 2008 |Pas de commentaires »

buona notte

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Lamium hybridum

http://www.floralimages.co.uk/index2.htm

« Sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato »

dal sito:

http://www.vangelodelgiorno.org/www/main.php?language=IT&localTime=04/09/2008#

San Francesco dAssisi (1182-1226), fondatore dei Fratelli minori
Lettera a tutto l
ordine

« Sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato »

Onnipotente, eterno, giusto e misericordioso Iddio concedi a noi miseri di fare, per la forza del tuo amore, ci

ò che sappiamo che tu vuoi, e di volere sempre ciò che a te piace,

affinché, interiormente purifica¬ti, interiormente illuminati e accesi dal fuoco dello Spi¬rito Santo, possiamo seguire le orme del tuo Figlio dilet¬to, il Signore nostro Gesù Cristo,

e, con laiuto della tua sola grazia, giungere a te, o Altissimo, che nella Tri¬nità perfetta e nella Unità semplice vivi e regni glorio¬so, Dio onnipotente per tutti i secoli dei secoli. Amen.

Giocare Con Dio

dal sito: 

http://www.aquino.it/zip/pagina%20download.htm

Giocare Con Dio

 

Un giorno un santo si fermò in mezzo a noi. Mia madre lo vide in cortile, mentre faceva capriole per divertire i ragazzi. “Ah, costui è veramente un santo” mi disse:”Figlio mio, va da lui”.

Egli mi pose una mano sulla spalla e mi chiese:”Mio caro, che cosa vuoi fare?”

“Non lo so” risposi “Che cosa volete che faccia?”.

“No, devi essere tu a dire che cosa avresti voglia di fare”

“Oh, a me piace giocare”

“E allora vuoi giocare con il Signore?”

Non seppi cosa dire, allora lui soggiunse:”Se tu riesci a giocare con il Signore, farai la cosa più bella che si possa fare. Tutti prendono Dio talmente sul serio da renderlo mortalmente noioso… gioca con Dio, figliolo. E’ un compagno di gioco incomparabile”.

Jalaleddine Rumi

Publié dans:meditazioni |on 8 avril, 2008 |Pas de commentaires »

Sant’Agostino : Cantiamo al Signore il canto dell’amore

UFFICIO DELLE LETTURE – 8 MARZO 2006

Seconda Lettura
Dai «Discorsi» di sant’Agostino, vescovo  
(Disc. 34, 1-3. 5-6; CCL 41, 424-426)

Cantiamo al Signore il canto dell’amore
«Cantate al Signore un canto nuovo; la sua lode nell’assemblea dei fedeli» (Sal 149, 1).
Siamo stati esortati a cantare al Signore un canto nuovo. L’uomo nuovo conosce il canto nuovo. Il cantare è segno di letizia e, se consideriamo la cosa più attentamente, anche espressione di amore.
Colui dunque che sa amare la vita nuova, sa cantare anche il canto nuovo. Che cosa sia questa vita nuova, dobbiamo saperlo in vista del canto nuovo. Infatti tutto appartiene a un solo regno: l’uomo nuovo, il canto nuovo, il Testamento nuovo. Perciò l’uomo nuovo canterà il canto nuovo e apparterrà al Testamento nuovo.
Non c’è nessuno che non ami, ma bisogna vedere che cosa ama. Non siamo esortati a non amare, ma a scegliere l’oggetto del nostro amore. Ma che cosa sceglieremo, se prima non veniamo scelti? Poiché non amiamo, se prima non siamo amati. Ascoltate l’apostolo Giovanni: Noi amiamo perché egli ci ha amati per primo (cfr. 1 Gv 4, 10).
Cerca per l’uomo il motivo per cui debba amare Dio e non troverai che questo: perché Dio per primo lo ha amato. Colui che noi abbiamo amato, ha dato già se stesso per noi, ha dato ciò per cui potessimo amarlo.
Che cosa abbia dato perché lo amassimo, ascoltatelo più chiaramente dall’apostolo Paolo: «L’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori» (Rm 5, 5). Da dove? Forse da noi? No. Da chi dunque? «Per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rm 5, 5).
Avendo dunque una sì grande fiducia, amiamo Dio per mezzo di Dio.
Ascoltate più chiaramente lo stesso Giovanni: «Dio è amore; chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui» (1 Gv 4, 16).
Non basta dire: «L’amore è da Dio» (1 Gv 4, 7). Chi di noi oserebbe dire ciò che è stato detto: «Dio è amore»? Lo disse colui che sapeva ciò che aveva.
Dio ci si offre in un modo completo. Ci dice: Amatemi e mi avrete, perché non potete amarmi, se già non mi possedete.
O fratelli, o figli, o popolo cristiano, o santa e celeste stirpe, o rigenerati in Cristo, o creature di un mondo divino, ascoltate me, anzi per mezzo mio: «Cantate al Signore un canto nuovo».
Ecco, tu dici, io canto. Tu canti, certo, lo sento che canti. Ma bada che la tua vita non abbia a testimoniare contro la tua voce.
Cantate con la voce, cantate con il cuore, cantate con la bocca, cantate con la vostra condotta santa. «Cantate al Signore un canto nuovo».
Mi domandate che cosa dovete cantare di colui che amate? Parlate senza dubbio di colui che amate, di lui volete cantare. Cercate le lodi da cantare? L’avete sentito: «Cantate al Signore un canto nuovo». Cercate le lodi? «La sua lode risuoni nell’assemblea dei fedeli».
Il cantore diventa egli stesso la lode del suo canto. 
Volete dire le lodi a Dio? Siate voi stessi quella lode che si deve dire, e sarete la sua lode, se vivrete bene.

Publié dans:liturgia, Sant'Agostino, ZENITH |on 8 avril, 2008 |Pas de commentaires »

Parole del Papa al Memoriale dei Testimoni della Fede del XX e XXI secolo

07/04/2008, dal sito:
http://www.zenit.org/article-13996?l=italian

Parole del Papa al Memoriale dei Testimoni della Fede del XX e XXI secolo

ROMA, lunedì, 7 aprile 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l’omelia e il discorso pronunciati questo lunedì da Benedetto XVI, in occasione della sua visita alla Basilica di San Bartolomeo all’Isola Tiberina, nel 40° anniversario della Comunità di Sant’Egidio.

Cari fratelli e sorelle,

questo nostro incontro nell’antica basilica di San Bartolomeo all’Isola Tiberina possiamo considerarlo come un pellegrinaggio alla memoria dei martiri del XX secolo, innumerevoli uomini e donne, noti e ignoti che, nell’arco del Novecento, hanno versato il loro sangue per il Signore. Un pellegrinaggio guidato dalla Parola di Dio che, come lampada per i nostri passi, luce sul nostro cammino (cfr Ps 119,105), rischiara con la sua luce la vita di ogni credente. Dal mio amato Predecessore Giovanni Paolo II questo tempio fu appositamente destinato ad essere luogo della memoria dei martiri del 900 e da lui affidato alla Comunità di Sant’Egidio, che quest’anno rende grazie al Signore per il quarantesimo anniversario dei suoi inizi. Saluto con affetto i Signori Cardinali e i Vescovi che hanno voluto partecipare a questa liturgia. Saluto il Prof. Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, e lo ringrazio per le parole che mi ha rivolto; saluto il Prof. Marco Impagliazzo, Presidente della Comunità, l’Assistente, Mons. Matteo Zuppi, nonché Mons. Vincenzo Paglia, Vescovo di Terni-Narni-Amelia.

In questo luogo carico di memorie ci chiediamo: perché questi nostri fratelli martiri non hanno cercato di salvare a tutti i costi il bene insostituibile della vita? Perché hanno continuato a servire la Chiesa, nonostante gravi minacce e intimidazioni? In questa basilica, dove sono custodite le reliquie dell’apostolo Bartolomeo e dove si venerano le spoglie di S. Adalberto, sentiamo risuonare l’eloquente testimonianza di quanti, non soltanto lungo il 900, ma dagli inizi della Chiesa vivendo l’amore hanno offerto nel martirio la loro vita a Cristo. Nell’icona posta sull’altare maggiore, che rappresenta alcuni di questi testimoni della fede, campeggiano le parole dell’Apocalisse: « Essi sono coloro che sono passati attraverso la grande tribolazione » (Ap 7,13). Al vegliardo che chiede chi siano e donde vengano coloro che sono vestiti di bianco, viene risposto che sono quanti « hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue dell’Agnello » (Ap 7,14). E’ una risposta a prima vista strana. Ma nel linguaggio cifrato del Veggente di Patmos ciò contiene un riferimento preciso alla candida fiamma dell’amore, che ha spinto Cristo a versare il suo sangue per noi. In virtù di quel sangue, siamo stati purificati. Sorretti da quella fiamma anche i martiri hanno versato il loro sangue e si sono purificati nell’amore: nell’amore di Cristo che li ha resi capaci di sacrificarsi a loro volta per amore. Gesù ha detto: « Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici » (Gv 15,13). Ogni testimone della fede vive questo amore « più grande » e, sull’esempio del divino Maestro, è pronto a sacrificare la vita per il Regno. In questo modo si diventa amici di Cristo; così ci si conforma a Lui, accettando il sacrificio fino all’estremo, senza porre limiti al dono dell’amore e al servizio della fede.

Facendo sosta presso i sei altari, che ricordano i cristiani caduti sotto la violenza totalitaria del comunismo, del nazismo, quelli uccisi in America, in Asia e Oceania, in Spagna e Messico, in Africa, ripercorriamo idealmente molte dolorose vicende del secolo passato. Tanti sono caduti mentre compivano la missione evangelizzatrice della Chiesa: il loro sangue si è mescolato con quello di cristiani autoctoni a cui era stata comunicata la fede. Altri, spesso in condizione di minoranza, sono stati uccisi in odio alla fede. Infine non pochi si sono immolati per non abbandonare i bisognosi, i poveri, i fedeli loro affidati, non temendo minacce e pericoli. Sono Vescovi, sacerdoti, religiose e religiosi, fedeli laici. Sono tanti! Il Servo di Dio Giovanni Paolo II, nella celebrazione ecumenica giubilare per i nuovi martiri, tenutasi il 7 maggio del 2000 presso il Colosseo, ebbe a dire che questi nostri fratelli e sorelle nella fede costituiscono come un grande affresco dell’umanità cristiana del ventesimo secolo, un affresco delle Beatitudini, vissuto sino allo spargimento di sangue. Ed era solito ripetere che la testimonianza di Cristo sino all’effusione del sangue parla con voce più forte delle divisioni del passato.

E’ vero: apparentemente sembra che la violenza, i totalitarismi, la persecuzione, la brutalità cieca si rivelino più forti, mettendo a tacere la voce dei testimoni della fede, che possono umanamente apparire come sconfitti della storia. Ma Gesù risorto illumina la loro testimonianza e comprendiamo così il senso del martirio. Afferma in proposito Tertulliano: « Plures efficimur quoties metimur a vobis: sanguis martyrum semen christianorum – Noi ci moltiplichiamo ogni volta che siamo mietuti da voi: il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani » (Apol., 50,13: CCL 1,171). Nella sconfitta, nell’umiliazione di quanti soffrono a causa del Vangelo, agisce una forza che il mondo non conosce: « Quando sono debole – esclama l’apostolo Paolo -, è allora che sono forte » (2 Cor 12,10). E’ la forza dell’amore, inerme e vittorioso anche nell’apparente sconfitta. E’ la forza che sfida e vince la morte.

Anche questo XXI secolo si è aperto nel segno del martirio. Quando i cristiani sono veramente lievito, luce e sale della terra, diventano anche loro, come avvenne per Gesù, oggetto di persecuzioni; come Lui sono « segno di contraddizione ». La convivenza fraterna, l’amore, la fede, le scelte in favore dei più piccoli e poveri, che segnano l’esistenza della Comunità cristiana, suscitano talvolta un’avversione violenta. Quanto utile è allora guardare alla luminosa testimonianza di chi ci ha preceduto nel segno di una fedeltà eroica sino al martirio! E in questa antica basilica, grazie alla cura della Comunità di Sant’Egidio, è custodita e venerata la memoria di tanti testimoni della fede, caduti in tempi recenti. Cari amici della Comunità di Sant’Egidio, guardando a questi eroi della fede, sforzatevi anche voi di imitarne il coraggio e la perseveranza nel servire il Vangelo, specialmente tra i poveri. Siate costruttori di pace e di riconciliazione fra quanti sono nemici o si combattono. Nutrite la vostra fede con l’ascolto e la meditazione della Parola di Dio, con la preghiera quotidiana, con l’attiva partecipazione alla Santa Messa. L’autentica amicizia con Cristo sarà la fonte del vostro amore scambievole. Sostenuti dal suo Spirito, potrete contribuire a costruire un mondo più fraterno. La Vergine Santa, Regina dei Martiri, vi sostenga ed aiuti ad essere autentici testimoni di Cristo. Amen!

[LE PAROLE DEL PAPA AL TERMINE DELLA CELEBRAZIONE:]

Al termine dell’incontro di preghiera in memoria dei testimoni della fede dei tempi recenti, volentieri rivolgo un saluto a voi tutti, soprattutto a voi che avete seguito la liturgia sulla piazza o in collegamento radiotelevisivo. Nel venticinquesimo anniversario della Comunità, venendo a Santa Maria in Trastevere il Servo di Dio Giovanni Paolo II affidò alla Comunità di Sant’Egidio questa basilica di San Bartolomeo e nel 2000 stabilì che in essa si alimentasse il ricordo dei nuovi martiri.

Cari amici della Comunità di Sant’Egidio, voi avete mosso i primi passi proprio qui a Roma negli anni difficili dopo il ‘68. Figli di questa Chiesa che presiede nella carità, avete poi diffuso il vostro carisma in tante parti del mondo. La Parola di Dio, l’amore per la Chiesa, la predilezione per i poveri, la comunicazione del Vangelo sono state le stelle che vi hanno guidato testimoniando, sotto cieli diversi, l’unico messaggio di Cristo. Vi ringrazio per questa vostra opera apostolica; vi ringrazio per l’attenzione agli ultimi e per la ricerca della pace, che contraddistinguono la vostra Comunità. L’esempio dei martiri, che abbiamo ricordato, continui a guidare i vostri passi, perché siate veri amici di Dio e autentici amici dell’umanità. E non temete le difficoltà e le sofferenze che questa azione missionaria comporta: rientrano nella « logica » della coraggiosa testimonianza dell’amore cristiano.

Desidero, infine, rivolgere a voi e, tramite voi, a tutte le vostre Comunità sparse per il mondo il mio più cordiale augurio nel quarantesimo anniversario della vostra nascita. Estendo il mio saluto agli ammalati, al personale sanitario, ai religiosi e ai volontari dell’attiguo Ospedale Fatebenefratelli dell’Isola Tiberina. Per tutti e per ciascuno assicuro un ricordo nella preghiera, mentre, invocando la materna protezione della Vergine Santa, imparto a tutti la Benedizione Apostolica.

Publié dans:Papa Benedetto XVI, ZENITH |on 8 avril, 2008 |Pas de commentaires »

questa immagine mi è rimasta, nel computer e nel cuore, dopo che ho postato un articolo sul Blog San Paolo, insieme con lui, sono certa che lo fa volentieri, vi do la buona notte

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http://santiebeati.it/

« Non Mosè vi ha dato il pane dal cielo, la il Padre mio vi dà il pane del cielo, quello vero »

dal sito:

http://levangileauquotidien.org/

Catechismo della Chiesa Cattolica
§ 1337-1341

« Non Mosè vi ha dato il pane dal cielo, la il Padre mio vi dà il pane del cielo, quello vero »

« Il Signore, avendo amato i suoi, li amò sino alla fine. Sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, mentre cenavano », lavò loro i piedi e diede loro il comandamento dell’amore [Gv 13,1-17 ]. Per lasciare loro un pegno di questo amore, per non allontanarsi mai dai suoi e renderli partecipi della sua Pasqua, istituì l’Eucaristia come memoriale della sua morte e della sua risurrezione, e comandò ai suoi apostoli di celebrarla fino al suo ritorno, costituendoli « in quel momento sacerdoti della Nuova Alleanza » [Concilio di Trento]…

Celebrando l’ultima Cena con i suoi Apostoli durante un banchetto pasquale, Gesù ha dato alla pasqua ebraica il suo significato definitivo. Infatti, la nuova Pasqua, il passaggio di Gesù al Padre attraverso la sua morte e la sua risurrezione, è anticipata nella Cena e celebrata nell’Eucaristia, che porta a compimento la pasqua ebraica e anticipa la pasqua finale della Chiesa nella gloria del Regno.

Quando Gesù comanda di ripetere i suoi gesti e le sue parole « finché egli venga » ( 1Cor 11,26 ), non chiede soltanto che ci si ricordi di lui e di ciò che ha fatto. Egli ha di mira la celebrazione liturgica, per mezzo degli apostoli e dei loro successori, del memoriale di Cristo, della sua vita, della sua morte, della sua risurrezione e della sua intercessione presso il Padre.

Papa Benedetto: « I nonni: la loro testimonianza e presenza nella famiglia »

06/04/2008, dal sito:
http://www.zenit.org/article-13976?l=italian

 

 Discorso del Papa alla Plenaria del Dicastero per la Famiglia 

« I nonni: la loro testimonianza e presenza nella famiglia »

CITTA’ DEL VATICANO, domenica, 6 aprile 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato da Benedetto XVI nel ricevere questo sabato in udienza i partecipanti alla Plenaria del Pontificio Consiglio per la Famiglia che ha avuto per tema: « I nonni: la loro testimonianza e presenza nella famiglia« .

 

Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell
episcopato e nel sacerdozio,
cari fratelli e sorelle! 

Sono lieto di incontrarvi al termine della XVIII Assemblea Plenaria del Pontificio Consiglio per la Famiglia, che ha avuto per tema: « I nonni: la loro testimonianza e presenza nella famiglia« . Vi ringrazio per aver accolto la mia proposta di Valencia, dove dissi: « Mai, per nessuna ragione, i nonni siano esclusi dallambito familiare. Essi sono un tesoro che non possiamo strappare alle nuove generazioni, soprattutto quando danno testimonianza di fede ». Saluto in particolare il Cardinale Ricardo Vidal, Arcivescovo di Cebu, membro del Comitato di Presidenza, che si è fatto interprete dei sentimenti di tutti voi, e rivolgo un affettuoso pensiero al caro Cardinale Alfonso López Trujillo, che da 18 anni guida il Dicastero con passione e competenza. Sentiamo la sua mancanza in mezzo a noi. A lui il nostro augurio di pronta guarigione e la nostra preghiera. 

Il tema che avete affrontato è a tutti molto familiare. Chi non ricorda i suoi nonni? Chi può dimenticare la loro presenza e la loro testimonianza nel focolare domestico? Quanti tra di noi ne portano il nome in segno di continuità e di riconoscenza! E consuetudine nelle famiglie, dopo la loro dipartita, ricordarne lanniversario con la celebrazione della Messa in loro suffragio e, se possibile, con una visita al cimitero. Questi ed altri gesti di amore e di fede sono la manifestazione della nostra gratitudine nei loro confronti. Essi per noi si sono donati, si sono sacrificati, in certi casi si sono anche immolati. 

La Chiesa ha sempre avuto nei riguardi dei nonni unattenzione particolare, riconoscendo loro una grande ricchezza sotto il profilo umano e sociale, come pure sotto quello religioso e spirituale. I miei venerati Predecessori Paolo VI e Giovanni Paolo II di questultimo abbiamo appena celebrato il terzo anniversario della morte sono intervenuti più volte sottolineando la considerazione che la comunità ecclesiale ha per gli anziani, per la loro dedizione e la loro spiritualità. In particolare, Giovanni Paolo II, durante il Giubileo dellAnno 2000, convocò nel settembre in Piazza San Pietro il mondo della « terza età » e in quella circostanza ebbe a dire: « Nonostante le limitazioni sopraggiunte con letà, conservo il gusto della vita. Ne ringrazio il Signore. E bello potersi spendere fino alla fine per la causa del Regno di Dio ». Sono parole contenute nel messaggio che circa un anno prima, nellottobre del 1999, egli aveva indirizzato agli anziani e che conserva intatta la sua attualità umana, sociale e culturale. 

La vostra Assemblea Plenaria ha affrontato il tema della presenza dei nonni nella famiglia, nella Chiesa e nella società, con uno sguardo capace di comprendere il passato, il presente e il futuro. Analizziamo brevemente questi tre momenti. In passato i nonni avevano un ruolo importante nella vita e nella crescita della famiglia. Anche quando letà avanzava, essi continuavano ad essere presenti con i loro figli, con i nipoti e magari i pronipoti, dando viva testimonianza di premura, di sacrificio e di un quotidiano donarsi senza riserve. Erano testimoni di una storia personale e comunitaria che continuava a vivere nei loro ricordi e nella loro saggezza. Oggi, levoluzione economica e sociale ha portato profonde trasformazioni nella vita delle famiglie. Gli anziani, tra cui molti nonni, si sono trovati in una sorta di « zona di parcheggio »: alcuni si accorgono di essere un peso in famiglia e preferiscono vivere soli o in case di riposo, con tutte le conseguenze che queste scelte comportano. 

Da più parti poi sembra purtroppo avanzare la « cultura della morte », che insidia anche la stagione della terza età. Con crescente insistenza si giunge persino a proporre leutanasia come soluzione per risolvere certe situazioni difficili. La vecchiaia, con i suoi problemi legati anche ai nuovi contesti familiari e sociali a causa dello sviluppo moderno, va valutata con attenzione e sempre alla luce della verità sulluomo, sulla famiglia e sulla comunità. Occorre sempre reagire con forza a ciò che disumanizza la società. Le comunità parrocchiali e diocesane sono fortemente interpellate da queste problematiche e stanno cercando di venire incontro alle moderne esigenze degli anziani. Ci sono associazioni e movimenti ecclesiali che hanno abbracciato questa causa importante e urgente. Occorre unirsi per sconfiggere insieme ogni emarginazione, perché ad essere travolti dalla mentalità individualistica non sono solo loro i nonni, le nonne, gli anziani ma tutti. Se i nonni, come spesso e da più parti si dice, costituiscono una preziosa risorsa, occorre mettere in atto scelte coerenti che permettano di valorizzarla al meglio. 

Ritornino i nonni ad essere presenza viva nella famiglia, nella Chiesa e nella società. Per quanto riguarda la famiglia, i nonni continuino ad essere testimoni di unità, di valori fondati sulla fedeltà ad un unico amore che genera la fede e la gioia di vivere. I cosiddetti nuovi modelli di famiglia ed il relativismo dilagante hanno indebolito questi valori fondamentali del nucleo familiare. I mali della nostra società come giustamente avete osservato nel corso dei vostri lavori hanno bisogno di urgenti rimedi. Di fronte alla crisi della famiglia non si potrebbe forse proprio ripartire dalla presenza e dalla testimonianza di coloro i nonni che hanno una maggiore robustezza di valori e di progetti? Non si può, infatti, progettare il futuro senza rifarsi ad un passato carico di esperienze significative e di punti di riferimento spirituale e morale. Pensando ai nonni, alla loro testimonianza di amore e di fedeltà alla vita, vengono in mente le figure bibliche di Abramo e Sara, di Elisabetta e Zaccaria, di Gioacchino e Anna, come pure gli anziani Simeone e Anna, o anche Nicodemo: tutti costoro ci ricordano come in ogni età il Signore chiede a ciascuno lapporto dei propri talenti. 

Rivolgiamo ora lo sguardo verso il VI Incontro Mondiale delle Famiglie, che si celebrerà in Messico nel gennaio del 2009. Saluto e ringrazio il Cardinale Norberto Rivera Carrera, Arcivescovo di México, qui presente, per quanto ha già realizzato in questi mesi di preparazione insieme con i suoi collaboratori. Tutte le famiglie cristiane del mondo guardano a questa nazione « sempre fedele » alla Chiesa, che aprirà le porte a tutte le famiglie del mondo. Invito le comunità ecclesiali, specialmente i gruppi familiari, i movimenti e le associazioni di famiglie, a preparasi spiritualmente a questo evento di grazia. Venerati e cari Fratelli, vi ringrazio di nuovo per la vostra visita e per il lavoro svolto in questi giorni; vi assicuro il mio ricordo nella preghiera e di cuore imparto a voi e ai vostri cari la Benedizione Apostolica.

Publié dans:famiglia, ZENITH |on 8 avril, 2008 |Pas de commentaires »

Francia: ogni anno diventano cattolici tra 150 e 200 musulmani

07/04/2008, dal sito:

 

http://www.zenit.org/article-13990?l=italian

 Francia: ogni anno diventano cattolici tra 150 e 200 musulmani 

Tra loro, molti figli di coppie miste

 PARIGI, lunedì, 7 aprile 2008 (ZENIT.org).- Tra 150 e 200 musulmani si convertono ogni anno al cattolicesimo in Francia, rivela il quotidiano francese Le Monde in un rapporto pubblicato il 2 aprile. Tra loro, ci sono molti figli di coppie miste. 

Pur mantenendo discrezione nei confronti del tema negli ultimi anni, la Chiesa cattolica afferma che d’ora in poi considererà la libertà religiosa e la reciprocità essenziali

Non è necessario arrivare a dire le cose, senza portare avanti dei segreti?, si chiede su Le Monde monsignor Michel Dubost, Vescovo di Evry, impegnato nel dialogo con l’islam. Nella sua Diocesi ogni anno viene battezzata una decina di musulmani. Quest’anno, un battesimo ha dovuto essere celebrato in forma non pubblica

Il quotidiano francese riferisce l’iter di alcuni dei nuovi battezzati cattolici di origine musulmana. La maggior parte di loro si scontra contro l’incomprensione e viene accusata di aver rinnegato la propria cultura. Alcuni hanno anche nascosto la conversione ai familiari. 

In questo contesto, la conversione diffusa sui media del giornalista musulmano Magdi Cristiano Allam, il 22 marzo in Vaticano, ha rallegrato i convertiti in Francia. 

Benedico il Papa, che ha posto il dito laddove fa male, commenta su Le Monde Mohammed Christophe Bilek, fondatore di Notre-Dame-de-Kabylie, a Créteil. Ciascuno deve poter essere battezzato, è un fatto che deriva dai diritti umani

Nonostante siano in aumento, le conversioni dall’islam al cristianesimo, considerando tutte le confessioni, non superano quelle di quanti diventano musulmani. 

Nell’agosto 2006, il quotidiano francese La Croix rivelava che il fenomeno delle conversioni all’islam raggiungerebbe le 3.600 persone all’anno in Francia, soprattutto nei sobborghi.

Publié dans:conversioni, ZENITH |on 8 avril, 2008 |Pas de commentaires »
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