Santa Caterina da Siena
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dal sito:
http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/199301
Ebrei, musulmani, cristiani. Ultime notizie dal cantiere del dialogo
In Francia una moschea chiama a collaborare un ebreo. In Bangladesh cristiani ed islamici si confrontano in università. La lettera dei 138 trova un seguito a Mosca, a Ginevra, a Bruxelles. E intanto Benedetto XVI chiarisce cosa intende per dialogo interreligioso
di Sandro Magister
ROMA, 25 aprile 2008 – La proposta di incontri tra musulmani, cristiani ed ebrei lanciata un mese fa dal re dell’Arabia Saudita, Abdullah, ha avuto un sorprendente seguito pratico in Francia.
L’imam Hassan Chalghoumi, capo della comunità islamica di Drancy, nel dipartimento della Seine-Saint-Denis, poco fuori Parigi, ha scelto come incaricato delle relazioni esterne un ebreo, Bernard Koch, tra i fondatori della « Amitié judéo-musulmane de France ». La nomina è avvenuta nella moschea di Drancy alla presenza di altri esponenti dell’ebraismo francese. « L’Osservatore Romano » del 23 aprile ha dato alla notizia un forte rilievo.
Inoltre, il teologo musulmano Aref Ali Nayed – firma di spicco della famosa lettera indirizzata a Benedetto XVI e ad altri leader cristiani da 138 personalità islamiche – ha annunciato in un’intervista al mensile italiano « Jesus » di aprile:
« Stiamo lavorando a un documento indirizzato ai nostri fratelli e sorelle ebree. Vorremmo produrre un testo significativo dal punto di vista sia teologico che spirituale, che possa aiutare a sanare le relazioni tra le nostre due comunità che, in un passato non lontano, prosperarono e soffrirono insieme, come sotto l’inquisizione spagnola ».
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Quanto al dialogo con i cristiani, alla lettera dei 138 musulmani sono arrivate altre due risposte autorevoli, dopo quella della Chiesa di Roma.
La prima è venuta il 20 marzo dal Consiglio Ecumenico delle Chiese, l’organismo ecumenico con sede a Ginevra che raduna 349 Chiese e denominazioni cristiane di 110 paesi, ortodosse e protestanti.
Alle lettera dei 138 musulmani dal titolo « Una parola comune tra noi e voi », il CEC ha risposto con un documento intitolato: « Imparare a esplorare l’amore insieme ».
Il documento sollecita la creazione di un gruppo misto al fine di « organizzare una serie di consultazioni tra leader, studiosi e fedeli musulmani e cristiani che rifletteranno su punti di comprensione reciproca, lavoreranno su una piattaforma teologica ed etica per future iniziative comuni e stabiliranno nuovi mezzi per esplorare ulteriormente le questioni di fede e di vita in entrambi i contesti ».
La seconda risposta è arrivata a metà aprile dal patriarca ortodosso di Mosca e di tutte le Russie, Alessio II.
Il patriarca premette che il dialogo interreligioso deve rispettare l’identità di ciascun interlocutore, evitando che si arrivi a un pericoloso sincretismo. E indica due piani su cui costruire un dialogo fruttuoso: “a livello dottrinale su importanti questioni quali Dio, l’uomo, il mondo”; a livello più pratico su “la difesa del ruolo della religione nella vita sociale, il contrasto a xenofobia e intolleranza, la promozione di iniziative comuni di pace”.
Tra le sfide da affrontare insieme, musulmani e cristiani, Alessio II mette al primo posto “la visione del mondo anti-religiosa, la quale tende a subordinare ogni sfera della vita sociale e ad instaurare una nuova morale, contraria a quella tradizionale delle religioni”.
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Inoltre si è tenuto a Dhaka, nel Bangladesh, il 18 aprile, un incontro tra esponenti delle due religioni dal titolo: « Una comune chiamata: musulmani e cristiani »
L’incontro ha preso in esame la lettera dei 138 e il messaggio di risposta della Chiesa di Roma. Ed è stato promosso dal professor Kazi Nurul islam, docente all’università di Dhaka, con la collaborazione della conferenza episcopale dei vescovi cattolici del Bangladesh.
Il professor islam ha creato e dirige, in università, un dipartimento dedicato alle religioni mondiali, nel quale le principali religioni hanno docenti che professano la stessa fede da essi insegnata. Un sacerdote cattolico laureato in teologia insegna il cristianesimo, e lo stesso vale per l’islam, l’induismo, il buddismo e l’ebraismo: unico esempio del genere, nel mondo musulmano.
Alla vigilia dell’incontro, Kazi Nurul islam ha rilasciato la seguente intervista a « L’Osservatore Romano », in data 17 aprile 2008:
D. – Professor islam, come è nata questa sua iniziativa?
R. – Cristiani e musulmani insieme agli ebrei appartengono alla stirpe di Abramo. Ma per alcune ragioni storiche, sfortunatamente, abbiamo avuto spesso relazioni molto fredde. È questo il tempo che cristiani e islamici comincino a lavorare insieme. Gli appartenenti a queste due grandi religioni costituiscono più del 50 per cento della popolazione mondiale. È una responsabilità storica per noi tutti credenti dare il nostro apporto alla pace nel mondo. Personalmente ritengo che non possiamo certo cancellare il passato o modificare la storia, ma possiamo comunque modellare il futuro e creare una prospettiva migliore, un mondo più fraterno per le future generazioni. Con questi sentimenti ho iniziato a pensare come cristiani e islamici possano lavorare insieme per la pace. È un fatto che, almeno qui nel Bangladesh, non abbiamo grossi problemi nei rapporti tra cristiani e musulmani. Per secoli la convivenza si è svolta in armonia. Ora dobbiamo proteggere e preservare questa relazione e provare ad avere una migliore comprensione tra di noi per rivolgere al mondo un messaggio comune. Questo è il vero motivo per cui stiamo lavorando tutti insieme per la riuscita di questo appuntamento.
D. – Qual è il programma dell’incontro a Dhaka tra cristiani e musulmani?
R. – Due dotti musulmani pronunciano discorsi introduttivi ai partecipanti all’incontro, seguiti da altri due dotti cristiani. Le introduzioni servono a chiarire le rispettive posizioni. La sessione plenaria viene poi suddivisa in dieci gruppi a cui partecipano cristiani e musulmani in numero uguale. Essi discutono le tesi della Chiesa romana e quelle esposte dai 138 saggi musulmani. Poi vi sono le sintesi finali delle discussioni. La sessione plenaria del 18 aprile è stata preceduta da due incontri propedeutici: il 7 marzo i trentacinque esponenti musulmani si sono seduti insieme e hanno discusso su come migliorare le relazioni con i cristiani. Si sono chiesti quali sono i maggiori problemi tra i credenti delle due grandi religioni e perché i musulmani spesso non vengono capiti nelle nazioni del mondo cristiano. Il giorno seguente i nostri fratelli cristiani in pari numero hanno discusso tra di loro su come migliorare i rapporti con i musulmani. Nel progetto di questa iniziativa, dapprima si era pensato a una dichiarazione finale comune. Ora ci rendiamo conto che ci vuole maggior tempo. Si deve costituire un forum in Bangladesh dove cristiani e musulmani possano continuare a incontrarsi e a discutere per poi arrivare a una dichiarazione comune. Spero che questo traguardo sia conseguibile per la fine di quest’anno. Questa dichiarazione comune sarà la base per la pace tra cristiani e musulmani in Bangladesh e nel mondo intero.
D. – Come percepiscono i comuni cittadini del Bangladesh questo incontro tra cristiani e musulmani?
R. – C’è una vasta maggioranza dei cittadini del Bangladesh che non hanno una sufficiente istruzione per capire il grande significato di questo incontro, tuttavia anche la gente comune si rende conto di quel che accade. I media diffondono le notizie grazie soprattutto alle nuove tecnologie di comunicazione, come internet e la telefonia mobile, ormai alla portata di un numero crescente di persone. Così in molti hanno ricevuto la notizia di questo incontro tra cristiani e musulmani. A prescindere da come la notizia viene interpretata, posso comunque dire che sono in tanti a pensare che siamo all’inizio di una nuova epoca di rapporti. Ovviamente molti sperano che questi rapporti siano sempre più amichevoli.
D. – I trentacinque rappresentanti musulmani appartengono tutti al fronte moderato e alle classi più colte della società del Bangladesh?
R. – Quando abbiamo sollecitato esponenti musulmani e cristiani a partecipare all’incontro abbiamo tenuto conto di diverse fasce di età, di diverse professioni e anche di diverse convinzioni, in modo che il dialogo non fosse sbilanciato. Abbiamo quindi scelto anche qualche esponente dei gruppi radicali. Lo abbiamo fatto deliberatamente. È nostra cura conoscere il loro modo di pensare e offrire anche a loro la possibilità di esprimersi in un contesto di confronto e di dialogo.
D. – Perché come primo tema di di confronto avete scelto il documento dei 138 saggi islamici e la risposta della Chiesa di Roma?
R. – Abbiamo un ottimo ricordo di papa Giovanni Paolo II. Lui ha impostato il dialogo interreligioso in un modo molto serio. Con il nuovo papa Benedetto XVI si è invece creato qualche iniziale malinteso. Molti musulmani nel mondo hanno alzato la voce per protesta contro certe affermazioni. Più tardi c’è stato un chiarimento che ha calmato gli animi. Ciò che desideriamo è che non ci siano più ulteriori malintesi tra cristiani e musulmani a causa delle parole. Spero che si capisca che tra cristiani e musulmani ci sono molti più punti in comune che reali differenze.
D. – Le comunità dei cristiani che vivono in paesi a maggioranza musulmana a volte sono oggetto di attacchi che in casi estremi degenerano in episodi di violenza. Cosa prova quando sente questo genere di notizie?
R. – Spesso non c’è tra noi musulmani un grande rispetto per le comunità di cristiani. Personalmente sento una grande tristezza quando ascolto fratelli e sorelle musulmani parlare contro i cristiani. Questo non è giusto da parte nostra. Come pure non è giusto dimenticare il passato. Quando il profeta Maometto era ancora in vita i musulmani cominciarono a essere perseguitati dagli infedeli, che uccisero un grande numero di neoconvertiti. Allora il profeta inviò un grande numero di convertiti in Etiopia, che anche a quell’epoca era un paese cristiano. L’imperatore dell’Etiopia offrì a loro la sua protezione e così i convertiti non furono più massacrati dagli infedeli. I musulmani non dovrebbero mai dimenticare questi avvenimenti. Certo, molti altri aspetti della storia comune non sono stati positivi ma noi dobbiamo ricordare soprattutto quel che c’è stato di positivo per potere continuare ad avere, anche in questi tempi difficili, buone relazioni.
D. – Il fenomeno del terrorismo da parte di gruppi di estremisti islamici non si è certo esaurito. Di fronte a queste violenze, si sente anche personalmente preoccupato?
R. – Sì, mi sento personalmente preoccupato a causa dei terroristi. Non può esserci un terrorismo che possa definirsi musulmano, perché ritengo che l’insegnamento dell’islam non possa incoraggiare alcuna forma di terrorismo. Secondo il Corano l’uccisione di un innocente equivale a uccidere l’intero genere umano. Così come salvare un essere umano equivale alla salvezza dell’intera umanità. Chi segue il vero insegnamento dell’islam non può essere un terrorista. Tuttavia bisogna ammettere che alcuni gruppi terroristici trovano appoggio in ambienti che si definiscono musulmani. Questo non lo dico per compiacere i cristiani. Lo affermo anche durante le lezioni all’università e nel corso di seminari con studenti islamici. Lo scrivo anche nei miei articoli apparsi sui giornali. I terroristi sono solo terroristi e credo che non sono degni di appartenere al genere umano. Non si può giustificare la violenza con la religione.
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Infine, un comitato congiunto cattolico-protestante del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa, CCEE, e della Conferenza delle Chiese Europee, KEK, ha tenuto dal 17 al 20 aprile in Ungheria, a Esztergom, un incontro con esponenti musulmani al fine di preparare una conferenza cristiano-musulmana europea, che si terrà a Malines-Bruxelles dal 20 al 23 ottobre 2008, sul tema: « Essere cittadini europei e credenti. Cristiani e musulmani come partner attivi nelle società europee »
La conferenza di Malines-Bruxelles si aprirà con la presentazione della visione cristiana e di quella musulmana sul tema. In seguito i partecipanti lavoreranno in forma seminariale sui seguenti punti:
– il ruolo delle religioni nella società secolare;
– la religione tra istituzione e fede personale;
– come i cristiani e i musulmani si vedono gli uni gli altri; come promuovere il rispetto e la comprensione reciproca attraverso l’educazione;
– costruire ponti; le sfide davanti alle quali si trovano le nostre comunita.
Nell’incontro preparatorio di Esztergom – ospitato dal cardinale Péter Erdö, primate d’Ungheria e presidente del CCEE – si sono anche discussi due documenti in fase di elaborazione: il primo sui fenomeni di violenza nel nome della religione; il secondo sulle conseguenze della presenza musulmana sulla vita delle Chiesa in Europa e sulla formazione del clero e delle guide pastorali. Si prevede che questi documenti saranno resi pubblici all’inizio del 2009.
In più, quattro seminari su « Islam , cristianesimo ed Europa » – anch’essi promossi dal CCEE e dalla KEK, assieme alla Konrad Adenauer Stiftung e ad esponenti musulmani – sono nell’agenda del Parlamento Europeo.
Il primo si è svolto a Bruxelles il 17 aprile. Vi ha preso la parola, tra gli altri, l’imam Tareq Oubrou, rettore della moschea al-Houda di Bordeaux. Egli ha detto che il cristianesimo può insegnare molto su secolarismo e modernità ai musulmani, i quali dovrebbero fare affidamento sull’esperienza dei cristiani al riguardo.
Tra gli interlocutori cristiani è intervenuto padre Ignace Berten, domenicano, fondatore dell’associazione “Espaces” di Bruxelles. Ha rimarcato che il cristianesimo ha il vantaggio d’aver saputo interpretare i suoi testi religiosi nel loro contesto storico, arrivando così a distinguere tra quella che è la fede di fondo e ciò che è collegato alla cultura: distinzione che i musulmani hanno difficoltà a fare.
Il secondo dei quattro seminari si terrà il 29 maggio. Gli altri due entro l’anno.
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E intanto Benedetto XVI dialoga così
Durante il suo viaggio negli Stati Uniti, dal 15 al 21 aprile, Benedetto XVI ha visitato una sinagoga a New York e ha incontrato, a Washington, circa 200 rappresentanti di altre religioni, tra cui l’islam.
A questi ultimi, egli ha detto che il dialogo interreligioso « mira a qualcosa di più di un consenso per far progredire la pace ». L’obiettivo maggiore del dialogo è quello di scoprire la verità » e tener deste nel cuore di tutti gli uomini le domande più profonde ed essenziali.
Ebbene, ha proseguito Benedetto XVI:
« Messi di fronte a questi interrogativi più profondi riguardanti l’origine e il destino del genere umano, i cristiani propongono Gesù di Nazareth. Egli è – questa è la nostra fede – il Logos eterno, che si è fatto carne per riconciliare l’uomo con Dio e rivelare la ragione che sta alla base di tutte le cose. È Lui che noi portiamo nel forum del dialogo interreligioso. È l’ardente desiderio di seguire le sue orme che spinge i cristiani ad aprire le loro menti e i loro cuori al dialogo ».
Ed ha aggiunto:
« Cari amici, nel nostro tentativo di scoprire i punti di comunanza, forse abbiamo evitato la responsabilità di discutere le nostre differenze con calma e chiarezza. [...] Il più importante obiettivo del dialogo interreligioso richiede una chiara esposizione delle nostre rispettive dottrine religiose« .
Le sottolineature sono nostre. Il papa non poteva essere più chiaro di così, nel dire come egli concepisce il dialogo interreligioso.
dal sito:
http://www.santiebeati.it/dettaglio/20900
Santa Caterina da Siena Vergine e dottore della Chiesa, patrona d’Italia
29 aprile
Siena, 25 marzo 1347 – Roma, 29 aprile 1380
«Niuno Stato si può conservare nella legge civile in stato di grazia senza la santa giustizia»: queste alcune delle parole che hanno reso questa santa, patrona d’Italia, celebre. Nata nel 1347 Caterina non va a scuola, non ha maestri. I suoi avviano discorsi di maritaggio quando lei è sui 12 anni. E lei dice di no, sempre. E la spunta. Del resto chiede solo una stanzetta che sarà la sua « »cella »" di terziaria domenicana (o Mantellata, per l’abito bianco e il mantello nero). La stanzetta si fa cenacolo di artisti e di dotti, di religiosi, di processionisti, tutti più istruiti di lei. Li chiameranno « »Caterinati »". Lei impara a leggere e a scrivere, ma la maggior parte dei suoi messaggi è dettata. Con essi lei parla a papi e re, a donne di casa e a regine, e pure ai detenuti. Va ad Avignone, ambasciatrice dei fiorentini per una non riuscita missione di pace presso papa Gregorio XI. Ma dà al Pontefice la spinta per il ritorno a Roma, nel 1377. Deve poi recarsi a Roma, chiamata da papa Urbano VI dopo la ribellione di una parte dei cardinali che dà inizio allo scisma di Occidente. Ma qui si ammala e muore, a soli 33 anni. Sarà canonizzata nel 1461 dal papa senese Pio II. Nel 1939 Pio XII la dichiarerà patrona d’Italia con Francesco d’Assisi. (Avvenire)
Patronato: Italia, Europa (Giovanni Paolo II, 1/10/99)
Etimologia: Caterina = donna pura, dal greco
Emblema: Anello, Giglio
Martirologio Romano: Festa di Santa Caterina da Siena, vergine e dottore della Chiesa, che, preso l’abito delle Suore della Penitenza di San Domenico, si sforzò di conoscere Dio in se stessa e se stessa in Dio e di rendersi conforme a Cristo crocifisso; lottò con forza e senza sosta per la pace, per il ritorno del Romano Pontefice nell’Urbe e per il ripristino dell’unità della Chiesa, lasciando pure celebri scritti della sua straordinaria dottrina spiritualLo si dice oggi come una scoperta: « Se è in crisi la giustizia, è in crisi lo Stato ». Ma lo diceva già nel Trecento una ragazza: « Niuno Stato si può conservare nella legge civile in stato di grazia senza la santa giustizia ». Eccola, Caterina da Siena. Ultima dei 25 figli (con una gemella morta quasi subito) del rispettato tintore Jacopo Benincasa e di sua moglie Lapa Piacenti, figlia di un poeta. Caterina non va a scuola, non ha maestri. Accasarla bene e presto, ecco il pensiero dei suoi, che secondo l’uso avviano discorsi di maritaggio quando lei è sui 12 anni. E lei dice di no, sempre, anche davanti alle rappresaglie. E la spunta. Del resto chiede solo una stanzetta che sarà la sua “cella” di terziaria domenicana (o Mantellata, per l’abito bianco e il mantello nero).
La stanzetta si fa cenacolo di artisti e di dotti, di religiosi, di processionisti, tutti più istruiti di lei. E tutti amabilmente pilotati da lei. Li chiameranno “Caterinati”. Lei impara faticosamente a leggere, e più tardi anche a scrivere, ma la maggior parte dei suoi messaggi è dettata. Con essi lei parla a papi e re, a cuoiai e generali, a donne di casa e a regine. Anche ai « prigioni di Siena », cioè ai detenuti, che da lei non sentono una parola di biasimo per il male commesso. No, Caterina è quella della gioia e della fiducia: accosta le loro sofferenze a quelle di Gesù innocente e li vuole come lui: « Vedete come è dolcemente armato questo cavaliero! ». Nel vitalissimo e drammatico Trecento, tra guerra e peste, l’Italia e Siena possono contare su Caterina, come ci contano i colpiti da tutte le sventure, e i condannati a morte: ad esempio, quel perugino, Nicolò di Tuldo, selvaggiamente disperato, che lei trasforma prima del supplizio: « Egli giunse come uno agnello mansueto, e vedendomi, cominciò a ridere; e volse ch’io gli facessi il segno della croce ».
Va ad Avignone, ambasciatrice dei fiorentini per una non riuscita missione di pace presso papa Gregorio XI. Ma dà al Pontefice la spinta per il ritorno a Roma, nel 1377. Parla chiaro ai vertici della Chiesa. A Pietro, cardinale di Ostia, scrive: « Vi dissi che desideravo vedervi uomo virile e non timoroso (…) e fate vedere al Santo Padre più la perdizione dell’anime che quella delle città; perocché Dio chiede l’anime più che le città ». C’è pure chi la cerca per ammazzarla, a Firenze, trovandola con un gruppo di amici. E lei precipitosamente si presenta: « Caterina sono io! Uccidi me, e lascia in pace loro! ». Porge il collo, e quello va via sconfitto. Deve poi recarsi a Roma, chiamata da papa Urbano VI dopo la ribellione di una parte dei cardinali che dà inizio allo scisma di Occidente. Ma qui si ammala e muore, a soli 33 anni. Sarà canonizzata nel 1461 dal papa senese Pio II. Nel 1939 Pio XII la dichiarerà patrona d’Italia con Francesco d’Assisi. E nel 1970 avrà da Paolo VI il titolo di dottore della Chiesa.
La festa delle stigmate di S. Caterina è, per il solo ordine domenicano, il 1° aprile.
Autore: Domenico Agasso e.
SANTA MESSA CON ORDINAZIONI PRESBITERALI
OMELIA DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI
VI Domenica di Pasqua, 27 aprile 2008
dal sito:
http://www.levangileauquotidien.org/www/main.php?language=FR&localTime=04/29/2008
Giovanni Paolo II
Lettera apostolica per il 6° centenario del transito di Santa Caterina da Siena, 29/04/1980 ( © Libreria Editrice Vaticana)
Santa Caterina da Siena: una vita mistica e una vita di azione
Le condizioni d’Italia e dell’Europa non erano felici, quando venne alla luce in Siena, nel 1347, la piccola Caterina. Già si profilava all’orizzonte la tristemente famosa «peste nera», che l’anno dopo infierì dovunque e seminò la desolazione e la morte in ogni paese e quasi in ogni famiglia. Altri mali funestavano il mondo civile, come le guerre, particolarmente quella dei cento anni tra Francia e Inghilterra, e le incursioni delle compagnie di ventura. Nel mondo religioso tutto quel secolo è riempito, per tre quarti, dal soggiorno dei Papi in Avignone, e poi dal grande scisma d’occidente, che si prolungò fino al 1417. Figlia di un tintore di panni, penultima di 25 nati, Caterina prese molto presto coscienza dei bisogni del mondo e, attratta dall’ideale apostolico domenicano, volle entrare nelle file del terz’ordine o, come allora si diceva in Siena, tra «le mantellate», le quali, pur non essendo suore né vivendo in comunità, portavano l’abito bianco e il mantello nero dell’ordine dei predicatori…
Le si raggruppava poi intorno una varia accolta di discepoli d’ogni ceto, attratti dalla sua pura fede e dalla schietta accoglienza della parola di Dio, senza mezzi termini e senza compromessi… Il progresso spirituale culminò con lo sposalizio nella fede, che poteva sembrare il sigillo di una vita votata all’isolamento e alla contemplazione. Invece il Signore, nel darle l’anello invisibile, intendeva unirla a sé nelle imprese del suo regno. La popolana ventenne vedeva ciò in termini di separazione dallo Sposo celeste, ma egli invece la rassicurava che intendeva stringerla di più a sé «mediante la carità del prossimo», cioè contemporaneamente sul piano della mistica interiore e su quello dell’azione esteriore o della «mistica sociale», com’è stato detto…
Passò dalla conversione di singoli peccatori alla riconciliazione tra persone o famiglie avversarie; alla rappacificazione fra città e repubbliche… L’impulso del maestro divino svelò in lei come un’umanità d’accrescimento. Per lei, figlia d’artigiani e donna senza lettere, cioè senza scuola né istruzione, la visione del mondo e dei suoi problemi superò enormemente i limiti del suo quartiere, fino a progettare la sua azione in termini mondiali.
CHIESA DEL GESÙ A ROMA – QUANDO ERO GIOVANE CI ANDAVO SPESSO A PREGARE
questa sera ho voglia di raccontarvi, magari solo in parte poi continuo un’altra volta, della Chiesa del Gesù, si trova, per chi conosce Roma almeno un po’, non lontana da Piazza Venezia, vicina c’è Piazza Argentina, anche essa molto centrale ed importante dove si trovano degli scavi anticho-romani e il Teatro Argentina restaurato alcuni anno fa, in una delle strade che danno a Largo Argentina sono nata io (così è diventata importante… ehmmm);
quando ero piccola, giovane… piccola ci andavo spesso a pregare, è molto bella, è in stile barocco che a me non piace più di tanto però nell’insieme è bella, a sinistra c’è una cappellina dedicata alla madonna veramente incantevole e che invita alla preghiera;
insomma ci andavo spesso, anche perché la parrocchia era un po’ più lontana e, sinceramente, un po’ meno bella, vicino, sulla Piazza c’è anche la Chiesa delle Stimmate dei frati francescani cappuccini, anche li andavo spesso;
quando ero piccola i gesuiti facevano quello che allora erano i « quaresimali »: prediche, io me le ricordo molto belle, che mi hanno aiutato molto; poi c’è il crocifisso che ha un volto di uno che sta morendo o morto, molto veritiero, quando morì papà io ero lì in ospedale e il suo viso mi ha ricordato quello di quel Crocifisso;
un certo periodo della mia giovinezza, ma non ricordo l’età, ho avuto dei problemi seri, era un periodo difficile, la guerra non era ancora molto lontana, difficoltà di ordine finanziario, di lavoro che era difficile trovare anche allora, di persone che, magari solo a causa delle loro sofferenze insultavano gli altri e, facilmente, le bambine venivano prese di petto con le leggi più strane e con un moralismo (moralismo poi!) che con la fede non aveva nulla a che fare, insomma soffrivo molto e non avevo voglia di uscire di casa, ma desideravo, comunque, andare alla Chiesa del Gesù, così piano, piano, ho ritrovato la serenità, questo periodo della vita mi è rimasto dentro, e, ogni tanto ci vado a pregare, solo che fino a qualche anno fa c’era la messa ogni mezz’ora sempre piena, poi è successo qualcosa, la Chiesa ultimamente è diventata quasi un museo, celebrano in una cappella della sacrestia, ci ho sofferto molto;
questi giorni so che ci è andato Mons. Ravasi per il restauro di non so quale opera d’arte forse per la statua, complesso statuario di Santa Teresa d’Avila, ma non sono sicura; così mi sono consolata un po’, Ravasi è in grado… e in fede per aiutare la Chiesa del Gesù, perlomeno ci spero; questa sera mi vengono in mente questi ricordi, se mi ricorderò ancora qualcosa la scrivo, perché per me è importante, e lo è anche per molti, tanti che hanno pregato nella Chiesa del Gesù e sono stati aiutati dai religiosi gesuiti;
spero di raccontarvi gli sviluppi di questi lavori perché veramente su Mons. Ravasi ci conto un po’;
di immagini ce ne sono diverse, ma non danno veramente il senso della conformazione e della bellezza della chiesa, comunque ho trovato un sito sul quale vedere qualcosa e metto il link;
c’è l’archivio fotografico e, a sinistra la visita virtuale;
http://www.chiesadelgesu.org/html/archivio_fotografico_001_it.html