Archive pour le 13 avril, 2008

Christ in the house of Martha and Maria,

Christ in the house of Martha and Maria, dans immagini sacre Bloot_Vaduz_Christ_Maria_Martha

Pieter de Bloot
Rotterdam 1601 – 1658 Rotterdam

Christ in the house of Martha and Maria, Vaduz, 1637

http://www.casa-in-italia.com/artpx/dut/dutch_17.htm

Publié dans:immagini sacre |on 13 avril, 2008 |Pas de commentaires »

San Massimo il Confessore: Mistero sempre nuovo

dal sito: 

http://www.prayerpreghiera.it/padri/padri.html

 

Dai « 500 Capitoli » di san Massimo il Confessore, abate
(Centuria 1,8-13; PG 90,1182-1186)
Mistero sempre nuovo

Il Verbo di Dio fu generato secondo la carne una volta per tutte. Ora, per la sua benignità verso l’uomo, desidera ardentemente di nascere secondo lo spirito in coloro che lo vogliono e diviene bambino che cresce con il crescere delle loro virtù. Si manifesta in quella misura di cui sa che è capace chi lo riceve. Non restringe la visuale immensa della sua grandezza per invidia e gelosia, ma saggia, quasi misurandola, la capacità di coloro che desiderano vederlo. Così il Verbo di Dio, pur manifestandosi nella misura di coloro che ne sono partecipi, rimane tuttavia sempre imperscrutabile a tutti, data l’elevatezza del mistero. Per questa ragione l’Apostolo di Dio, considerando con sapienza la portata del mistero, dice: « Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre! » (Eb 13,8), intendendo dire in tal modo che il mistero è sempre nuovo e non invecchia mai per la comprensione di nessuna mente umana.
Cristo Dio nasce e si fa uomo, prendendo un corpo dotato di un’anima intelligente, lui, che aveva concesso alle cose di uscire dal nulla. Dall’oriente una stella che brilla in pieno giorno guida i magi verso il luogo dove il Verbo ha preso carne, per dimostrare misticamente che il Verbo contenuto nella legge e nei profeti supera ogni conoscenza dei sensi e conduce le genti alla suprema luce della conoscenza.
Infatti la parola della legge e dei profeti, a guisa di stella, rettamente intesa, conduce a riconoscere il Verbo incarnato coloro che in virtù della grazia sono stati chiamati secondo il beneplacito divino.
Dio si fa perfetto uomo, non cambiando nulla di quanto è proprio della natura umana, tolto, si intende il peccato, che del resto non le appartiene. Si fa uomo per provocare il dragone infernale avido e impaziente di divorare la sua preda cioè l’umanità del Cristo. Cristo in effetti, gli dà in pasto la sua carne. Quella carne però doveva tramutarsi per il diavolo in veleno. La carne abbatteva totalmente il mostro con la potenza della divinità che in essa si celava. Per la natura umana, invece, sarebbe stata il rimedio, perché l’avrebbe riportata alla grazia originale con la forza della divinità in essa presente.
Come infatti il dragone, avendo istillato il suo veleno nell’albero della scienza, aveva rovinato il genere umano, facendoglielo gustare, così il medesimo, presumendo divorare la carne del Signore, fu rovinato e spodestato per la potenza della divinità che era in essa.
Ma il grande mistero dell’incarnazione divina rimane pur sempre un mistero. In effetti come può il Verbo, che con la sua persona è essenzialmente nella carne, essere al tempo stesso come persona ed essenzialmente tutto nel Padre? Così come può lo stesso Verbo, totalmente Dio per natura, diventare totalmente uomo per natura? E questo senza abdicare per niente né alla natura divina, per cui è Dio, né alla nostra, per cui è divenuto uomo?
Soltanto la fede arriva a questi misteri, essa che è la sostanza e la base di quelle cose che superano ogni comprensione della mente umana.

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di Sandro Magister: « Oremus pro conversione Judæorum ». Entra in campo il cardinale Kasper

dal sito:

http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/197381

« Oremus pro conversione Judæorum ». Entra in campo il cardinale Kasper

Il presidente della commissione per i rapporti con il giudaismo replica a chi rifiuta che si preghi per la conversione degli ebrei: « Il quando e il come della salvezza di israele va rimesso nelle mani di Dio »

di Sandro Magister



ROMA, 12 aprile 2008 Alle proteste di alcuni ebrei e anche di alcuni cristiani per la nuova preghiera introdotta da Benedetto XVI nella liturgia del Venerdì Santo secondo il rito antico è arrivata dal Vaticano una nuova riposta autorevole: quella del cardinale Walter Kasper.

Kasper è presidente del pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani e della commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo.

Prima di lui, tra le autorità vaticane, erano intervenuti in difesa della nuova preghiera l’arcivescovo Gianfranco Ravasi, presidente del pontificio consiglio della cultura, con un commento su « L’Osservatore Romano » del 15 febbraio, e poi la segreteria di stato, con un comunicato del 4 aprile.

Anche tra gli ebrei vi è stato chi si è espresso in difesa della nuova preghiera: ad esempio il rabbino americano Jacob Neusner, con un articolo del 23 febbraio sul giornale tedesco « Die Tagespost ».

Ma la controversia non si è acquietata. È di pochi giorni fa un nuovo intervento critico di un importante esponente dell’ebraismo, il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni.

Di tutti gli interventi citati, www.chiesa ha riprodotto i testi integrali. E altrettanto fa, più sotto, con quello del cardinale Kasper, uscito su « L’Osservatore Romano » del 10 aprile.

Come utile promemoria, la nuova formula di preghiera per gli ebrei introdotta lo scorso 6 febbraio da Benedetto XVI nel rito antico del Venerdì Santo si apre con questo invito:

« Preghiamo affinché Dio e Signore nostro illumini i loro cuori perché riconoscano Gesù Cristo salvatore di tutti gli uomini ».

E prosegue con questa orazione:

« Dio onnipotente ed eterno, che vuoi che tutti gli uomini si salvino e giungano alla conoscenza della verità, concedi nella tua bontà che, entrando la pienezza dei popoli nella tua Chiesa, tutto Israele sia salvo. Per Cristo nostro Signore. Amen ».

Ciò che alcuni ebrei giudicano intollerabile è che nella Chiesa cattolica si preghi per la conversione di Israele alla fede in Gesù Cristo.

Ecco dunque come il cardinale Kasper replica alle critiche:

La discussione sulle recenti modifiche della preghiera del Venerdì Santo per gli ebrei

di Walter Kasper

La preghiera del Venerdì Santo per gli ebrei ha una lunga storia. La nuova formulazione della preghiera per la forma straordinaria del rito romano (Messale del 1962) realizzata da papa Benedetto XVI è stata opportuna perché alcune formulazioni sono state considerate offensive da parte ebraica e urtanti anche da parte di vari cattolici. La nuova formulazione ha portato importanti miglioramenti del testo del 1962. Ha, però, suscitato nuove reazioni irritate, sollevando questioni di principio sia presso gli ebrei che presso alcuni cristiani (1).

Le reazioni avutesi da parte ebraica sono in gran parte motivate non in modo razionale, ma emozionale. Non si deve però liquidarle precipitosamente come causate da ipersensibilità. Pure presso amici ebrei che da decenni sono coinvolti in un intenso dialogo con cristiani, la memoria collettiva di catechesi e conversioni forzate è ancora sempre viva. Il ricordo della Shoah è per l’ebraismo odierno una traumatica caratteristica di identità che crea comunione. Molti ebrei considerano la missione verso gli ebrei una minaccia alla loro esistenza; talvolta si parla addirittura di una Shoah con altri mezzi. Bisogna dunque avere ancora una grande sensibilità nel rapporto ebraico-cristiano.

Nel frattempo le spiegazioni date sulla riformulata preghiera del Venerdì Santo hanno potuto eliminare i malintesi più grossolani.

Già il puro fatto che la preghiera del Venerdì Santo del Messale del 1970 nella forma ordinaria del rito romano, quindi, adoperata di gran lunga nel maggior numero dei casi resti pienamente in vigore, dimostra che la riformulata preghiera del Venerdì Santo, adoperata soltanto da una parte estremamente piccola di comunità, non può significare un passo indietro rispetto alla dichiarazione « Nostra ætate » del Concilio Vaticano II.

Ciò vale ancora di più per il fatto che la sostanza della dichiarazione « Nostra ætate » è compresa anche in un documento di più alto livello formale, la costituzione sulla Chiesa « Lumen gentium » (n. 16); perciò, per principio, non può essere messa in questione.

Inoltre, a partire dal Concilio c’è stato un gran numero di prese di posizione dei pontefici, anche del papa attuale, che si riferiscono alla « Nostra ætate » e che confermano l’importanza di questa dichiarazione.

Diversamente dal testo del 1970, la nuova formulazione del testo del 1962 parla di Gesù come il Cristo e come salvezza di tutti gli uomini, quindi anche degli ebrei.

Molti hanno inteso questa affermazione come nuova e non amichevole nei confronti degli ebrei. Ma essa è fondata sull’insieme del Nuovo Testamento (cfr 1 Timoteo, 2, 4) e indica la differenza fondamentale, nota ovunque, che permane sia per i cristiani, sia per gli ebrei. Anche se non se ne parla esplicitamente nella « Nostra ætate », né nella preghiera del 1970, non si può estrapolare la « Nostra ætate » dal contesto di tutti gli altri documenti conciliari e nemmeno la preghiera del Venerdì Santo del Messale del 1970 dall’insieme della liturgia del Venerdì Santo che ha come oggetto, appunto, quella convinzione della fede cristiana.

La nuova formulazione della preghiera del Venerdì Santo del Messale del 1962, quindi, non dice nulla di veramente nuovo, ma esprime soltanto ciò che già finora era presupposto come ovvio, ma che evidentemente, in tanti dialoghi, non era stato tematizzato a sufficienza (2).

Nel passato la fede in Cristo, che differenzia i cristiani dagli ebrei, si è trasformata spesso in un « linguaggio del disprezzo » (Jules Isaac) con tutte le gravi conseguenze che ne derivavano. Se oggi ci impegniamo per un rispetto reciproco, esso può fondarsi solo nel fatto che riconosciamo reciprocamente la nostra diversità. Perciò non aspettiamo dagli ebrei che concordino sul contenuto cristologico della preghiera del Venerdì Santo, ma che rispettino che noi preghiamo da cristiani secondo la nostra fede, come naturalmente anche noi facciamo nei confronti del loro modo di pregare. In questa prospettiva ambedue le parti hanno ancora da imparare.

La vera questione controversa è: devono i cristiani pregare per la conversione degli ebrei? Ci può essere una missione verso gli ebrei?

Nella preghiera riformulata non si trova la parola conversione. Ma è indirettamente inclusa nell’invocazione di illuminare gli ebrei affinché riconoscano Gesù Cristo. In più, c’è il fatto che il Messale del 1962 contiene titoli per le singole preghiere. Il titolo della preghiera per gli ebrei non è stato modificato; esso suona come prima: « Pro conversione Judæorum », per la conversione degli ebrei. Molti ebrei hanno letto la nuova formulazione nell’ottica di questo titolo, e ciò ha suscitato la reazione già descritta.

In risposta a ciò, si può far notare che la Chiesa Cattolica, a differenza di alcuni gruppi « evangelical », non conosce una missione verso gli ebrei organizzata e istituzionalizzata. Con tale richiamo, però, il problema della missione verso gli ebrei di fatto non è ancora chiarito teologicamente. Questo è proprio il merito della nuova formulazione della preghiera del Venerdì Santo, che, nella sua seconda parte, presenta una prima indicazione per una sostanziale risposta teologica.

Si parte ancora una volta dal capitolo 11 della Lettera ai Romani, che è fondamentale anche per la « Nostra ætate » (3).

La salvezza degli ebrei è per Paolo un profondo mistero dell’elezione mediante la grazia divina (9, 14-29). I doni di Dio sono senza pentimento, e le promesse di Dio fatte al suo popolo, nonostante la disobbedienza di questo, non sono state revocate da Dio (9, 6; 11, 1.29). L’indurimento d’Israele torna a salvezza dei pagani. I rami selvatici dei pagani sono stati innestati sul ceppo santo d’Israele (11, 16s). Dio ha però la potenza di innestare di nuovo i rami tagliati (11, 23). Quando la pienezza dei pagani sarà entrata nella salvezza, sarà salvato tutto l’Israele (11, 25s). Israele rimane quindi portatore della promessa e della benedizione.

Paolo parla, nel linguaggio dell’apocalittica, di un mistero (11, 25). Con ciò si intende esprimere qualcosa di più del fatto che gli ebrei sono spesso per gli altri popoli un enigma e che la loro esistenza è per altri ancora una testimonianza di Dio. Con il termine « mistero » Paolo intende l’eterna volontà salvifica di Dio, la quale si manifesta nella storia attraverso la predicazione dell’Apostolo. Si riferisce concretamente a Isaia, 59, 20 e Geremia, 31, 33s. Con ciò fa riferimento al raduno escatologico dei popoli in Sion, promesso dai profeti e da Gesù, e alla pace universale (shalom) che poi sorgerà (4).

Paolo vede tutta la sua opera missionaria tra i pagani in tale prospettiva escatologica. La sua missione dovrebbe preparare il raduno dei popoli, il quale, poi, quando vi entrerà il numero completo dei pagani, tornerà a salvezza per Israele e farà sorgere la pace escatologica per il mondo.

Si può dunque dire: non a motivo della missione verso gli ebrei, ma a seguito della missione verso i pagani Dio realizzerà alla fine, quando il numero completo dei pagani sarà entrato nella salvezza, la salvezza d’Israele. Solo Colui che ha indurito la maggior parte d’Israele, può anche scioglierne l’indurimento. Lo farà, quando « il liberatore » uscirà da Sion (11, 26). Costui, secondo il linguaggio paolino (cfr 1 Tessalonicesi, 1, 10), non è nessun altro se non il Cristo che ritorna. Ebrei e pagani, infatti, hanno lo stesso Signore (10, 12) (5).

La riformulata preghiera del Venerdì Santo esprime questa speranza in una preghiera di intercessione rivolta a Dio (6). Con questa preghiera la Chiesa ripete, in fondo, l’invocazione del Padre nostro « Venga il tuo regno » (Matteo, 6, 10; Luca, 11, 2) e l’acclamazione liturgica protocristiana « Maranà tha »: Vieni, Signore Gesù, vieni presto (1 Corinzi, 16, 22; Apocalisse, 22, 20; Didachè, 10, 6).

Tali preghiere per la venuta del Regno di Dio e per la realizzazione del mistero della salvezza, secondo la loro natura, non sono un appello rivolto alla Chiesa a compiere un’azione missionaria verso gli ebrei. Anzi, esse rispettano tutta la profondità abissale del « Deus absconditus », della Sua elezione per grazia, dell’indurimento, come della Sua misericordia infinita.

Con la sua preghiera la Chiesa, dunque, non assume la regia della realizzazione del mistero imperscrutabile. Non lo può affatto. Piuttosto mette del tutto il « quando » e il « come » di tale realizzazione nelle mani di Dio. Solo Dio può far sorgere il Suo Regno, nel quale tutto l’Israele sarà salvato e la pace escatologica toccherà il mondo.

Per sostenere quest’interpretazione ci si può riferire a un testo di san Bernardo di Chiaravalle, che dice che non siamo noi a doverci occupare degli ebrei, ma che Dio stesso se ne occuperà (7). Quanto sia giusta questa interpretazione risulta ancora dalla dossologia che conclude il capitolo 11 della Lettera ai Romani: « O profondità della ricchezza, della sapienza e della scienza di Dio! Quanto sono imperscrutabili i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie! » (11, 33). Questa dossologia manifesta ancora una volta che si tratta della glorificazione adorante di Dio e della sua elezione imperscrutabile mediante la grazia, e non di un appello a qualsiasi azione, neanche alla missione.

L’esclusione di una missione mirata e istituzionalizzata verso gli ebrei non significa che i cristiani debbano stare con le mani in mano. Missione mirata e organizzata da un lato e testimonianza cristiana dall’altro lato vanno distinte. Naturalmente, i cristiani devono, dove è opportuno, dare ai fratelli e alle sorelle maggiori nella fede di Abramo (Giovanni Paolo II) testimonianza della propria fede e della ricchezza e bellezza della loro fede in Cristo. Ciò ha fatto anche Paolo. Durante i suoi viaggi missionari Paolo si è recato ogni volta prima nella sinagoga, e solo quando lì non vi ha trovato la fede, è andato dai pagani (Atti degli Apostoli, 13, 5.14s.42-52; 14, 1-6 e altri; fondamentale Romani, 1, 16).

Tale testimonianza è richiesta oggi anche a noi. Deve avvenire certo con tatto e rispetto; sarebbe però disonesto se i cristiani nell’incontrare amici ebrei tacessero sulla propria fede o addirittura la negassero.

Attendiamo altrettanto dagli ebrei credenti nei nostri confronti. Nei dialoghi che io conosco, quest’atteggiamento è del tutto normale. Un dialogo sincero tra ebrei e cristiani, infatti, è possibile solo, da un lato, sulla base della comunanza nella fede nell’unico Dio, Creatore del cielo e della terra, e nelle promesse fatte ad Abramo e ai Padri, e, dall’altro, nella consapevolezza e nel rispetto della differenza fondamentale che consiste nella fede in Gesù quale Cristo e Redentore di tutti gli uomini.

L’incomprensione diffusa della riformulata preghiera del Venerdì Santo è un segnale di quanto grande sia ancora il compito che ci sta davanti nel dialogo ebraico-cristiano. Le reazioni irritate che sono sorte dovrebbero, quindi, essere un’occasione per chiarire e approfondire ancora le basi e gli obiettivi del dialogo ebraico-cristiano. Se si potesse avviare in questo modo un approfondimento del dialogo, l’agitazione sorta porterebbe alla fine davvero a un risultato positivo. Si deve certo essere sempre consapevoli che il dialogo tra ebrei e cristiani resterà, per sua natura, sempre difficile e fragile e che esige in grande misura sensibilità da entrambi le parti.

NOTE

(1) Una sintesi delle prime reazioni pro e contra si trova in « Il Regno » n. 1029, 2008, 89-91. Oltre a tali prime reazioni nei mass media, è pervenuta alla commissione vaticana per i rapporti religiosi con l’ebraismo una serie di prese di posizione dettagliate e particolareggiate, provenienti soprattutto dagli Stati Uniti d’America, dalla Germania e dall’Italia, tra gli altri da R. Di Segni, « La preghiera per gli ebrei », in « Shalom » 2008, n. 3, 4-7.

(2) Ciò non vale per il dialogo ebraico-cristiano internazionale in cui questa questione è sorta già dopo la dichiarazione « Dominus Iesus » (2000). La commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo ne ha tenuto conto e ha organizzato a questo scopo colloqui di esperti ad Ariccia (Italia), Lovanio (Belgio) e Francoforte (Germania); il prossimo colloquio è programmato da lungo tempo a Notre Dame (Indiana, Stati Uniti d’America).

(3) Quanto all’interpretazione rimando soprattutto all’ampio commentario, ricco anche per la nostra questione, di Tommaso d’Aquino, « Super ad Romanos », capitolo 11, lectio 1-5. Commentari più recenti: E. Peterson, « Der Brief an die Römer » (Ausgewählte Schriften, 6), Würzburg, 1997, 312-330, specialmente 323; E. Käsemann, « An die Römer » (Handbuch zum Neuen Testament, 8a), Tübingen 1973, 298-308; H. Schlier, « Der Römerbrief » (Herders Theologischer Kommentar zum Neuen Testament, 6), Freiburg i. Br., 1997, 320-350, spec. 337-341; O. Kuss, « Der Römerbrief », 3. Lieferung, Regensburg, 1978, 809-825; U. Wilckens, « Der Brief an die Römer » (EKK, VI/2), Zürich-Neukirchen, 1980, 234-274, spec. 252-257. Basilare il documento della Pontificia Commissione Biblica « Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana » (2001). Inoltre: F. Mussner, « Traktat über die Juden », München, 1979, 52-67; J. Ratzinger, « La Chiesa, Israele e le religioni del mondo », Torino, 2000; J. M. Lustiger, « La promesse », Paris, 2002; W. Kasper, « L’antica e la nuova alleanza nel dialogo ebraico-cristiano », in « Nessuno è perduto. Comunione, dialogo ecumenico, evangelizzazione », Bologna 2005, 95-119. A ciò si aggiunge una gran quantità di letteratura più recente, la maggior parte di lingua inglese, sulle questioni del dialogo ebraico-cristiano.

(4) Importanti sono passi come Isaia, 2, 2-5; 49, 9-13; 60; Michea, 4, 1-3 e altri. In merito: J. Jeremias, « Jesu Verheißung für die Völker », Göttingen 1959.

(5) Con questo si affronta la questione teologica più fondamentale dell’attuale dialogo ebraico-cristiano: c’è una sola alleanza o ci sono due alleanze parallele per ebrei e cristiani? Tale questione tratta dell’universalità della salvezza, dal punto di vista cristiano irrinunciabile, in Gesù Cristo. Cfr la sintesi della letteratura più antica in J. T. Pawlikowski, « Judentum und Christentum », in « Theologische Realenzyklopädie », 18 (1988), 386-403; Pawlikowski, a causa degli interventi miei e di altri, ha sviluppato la sua posizione in modo essenziale e ha riferito ampiamente circa lo stato attuale della discussione in « Reflections on Covenant and Mission » in: « Themes in Jewish-Christian Relations », ed. E. Kessler and M. J. Wreight, Cambridge (Inghilterra), 2005, 273-299.

(6) La preghiera ha modificato questo testo nella misura in cui parla dell’entrata dei pagani « nella Chiesa », cosa che non si trova così in Paolo. Da ciò alcuni critici ebrei hanno concluso che si trattasse dell’entrata d’Israele nella Chiesa, cosa che non si dice nella preghiera. Nel senso dell’apostolo Paolo si dovrebbe piuttosto dire che la salvezza della maggior parte degli ebrei viene comunicata attraverso Cristo, ma non attraverso l’entrata nella Chiesa. Alla fine dei giorni, quando il Regno di Dio si realizzerà definitivamente, non ci sarà più una Chiesa visibile. Si tratta quindi del fatto che alla fine dei giorni l’unico Popolo di Dio composto di ebrei e pagani divenuti credenti sarà di nuovo unito e riconciliato.

(7) Bernardo di Chiaravalle, « De consideratione », III, 1, 3. In merito anche: « Sermones super Cantica Canticorum », 79, 5.

Publié dans:Sandro Magister |on 13 avril, 2008 |Pas de commentaires »

Portavoce vaticano: Benedetto XVI porta agli Stati Uniti la « regola d’oro » della convivenza

13/04/2008, dal sito:
http://www.zenit.org/article-14048?l=italian

Portavoce vaticano: Benedetto XVI porta agli Stati Uniti la « regola d’oro » della convivenza

Padre Lombardi analizza la prima visita del Papa al Paese e alle Nazioni Unite

CITTA’ DEL VATICANO, domenica, 13 aprile 2008 (ZENIT.org).- Benedetto XVI porta agli Stati Uniti la « regola d’oro » della convivenza per la famiglia dei popoli e, in particolare, per il Paese che ha un peso enorme nelle sorti dell’umanità, spiega il suo portavoce.

Padre Federico Lombardi. S.I., direttore della Sala Stampa della Santa Sede, parla degli argomenti che il Papa affronterà nel suo primo viaggio in questo Paese e nella sede della Nazioni Unite nell’editoriale dell’ultimo numero di « Octava Dies« , settimanale del Centro Televisivo Vaticano, di cui è direttore. Il portavoce analizza gli argomenti centrali che il Pontefice svilupper

à a Washington e a New York, dal 15 al 20 aprile, tenendo conto del messaggio, « semplice e breve », che il Santo Padre ha indirizzato al popolo americano (Cf. Video-messaggio di Benedetto XVI al popolo statunitense).

Il motto della visita pastorale è « Gesù Cristo è la speranza per gli uomini e le donne di ogni lingua, razza, cultura e nazione ». « Non solo ogni singola persona – chiarisce padre Lombardi -, ma anche i popoli possono trovare in lui orientamento e senso, per costruire una ‘famiglia’ fraterna, secondo il disegno di un Dio che

è Padre per tutti ».

« Questo Gesù, con il comandamento dell’amore reciproco, illumina e porta a compimento la ‘regola d’oro’ che è scritta nella coscienza di ogni persona umana e su cui tutti possiamo ritrovarci al di là delle differenze fra le religioni, al di là dello stesso credere o non credere: ‘Fate agli altri ciò che volete facciano a voi, non fate ciò che non volete che essi vi facciano’ », afferma il portavoce citando Benedetto XVI. « Nell’Assemblea dei rappresentanti di tutti i popoli del mondo, nel cuore di una nazione che ha un peso grandissimo nelle sorti dell’umanit

à di oggi e di domani, Benedetto XVI vuole offrire a tutti il suo servizio di autorità religiosa e morale mettendo in luce, con la sua abituale chiarezza, ciò di cui abbiamo oggi più bisogno: il fondamento, il punto d’appoggio solido e comune, su cui costruire insieme le risposte alle sfide storiche di fronte a cui ci troviamo », ricorda.

« Insieme – spiega -, perché, come già diceva Giovanni Paolo II proprio alle Nazioni Unite, formiamo una famiglia di popoli ». « E se ritroviamo insieme il fondamento, possiamo guardare al futuro con speranza ‘di pace, di giustizia, di libert

à‘. Il fondamento e la direzione. Non è poco ciò che la Chiesa vuole offrire, fraternamente, a tutti ».

« Buon viaggio al Papa in America! », conclude padre Lombardi.

Publié dans:Papa Benedetto XVI, ZENITH |on 13 avril, 2008 |Pas de commentaires »

questi giorni ero molto stanca ed ho fatto poco sui Blog…buona notte

questi giorni ero molto stanca ed ho fatto poco sui Blog...buona notte dans immagini buon...notte, giorno cat_sleeping_on_computer_screen

http://www.pantherkut.com/wp-content/uploads/2007/10/cat_sleeping_on_computer_screen.jpg

Publié dans:immagini buon...notte, giorno |on 13 avril, 2008 |Pas de commentaires »

« Chi entra per la porta, è il pastore delle pecore. Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce »

dal sito:

http://www.levangileauquotidien.org/www/main.php?language=FR&localTime=04/13/2008#

il commento mi sembra lo stesso che in francese e ed scritto che è di:

Théodore de Mopsueste (?-428), évêque de Mopsueste en Cilicie et théologien
Commentaire de St Jean ; CSCO 115-116, p. 197 (trad. Jean expliqué, DDB 1985, p. 94)

Commento al vangelo di Giovanni

« Chi entra per la porta, è il pastore delle pecore. Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce »

Il guardiano di questo ovile, è il beato Mosè, che lo stabilì sui precetti della Legge per permettere a coloro che conducono la loro esistenza secondo queste norme di vivervi al sicuro. Il pastore… conduce gli uomini come delle pecore ai pascoli della retta dottrina, mostrando loro il cibo delle parole, quelle di cui devono nutrirsi prima, quelle di cui devono nutrirsi dopo. Mostra loro quale è il senso profondo di queste parole, come occorre capire le Scritture, e anche da quali dottrine ci si deve allontanare, dottrine che altri forse insegneranno per ingannarli, per la dispersione delle pecore…

«Ricerchiamo dunque, dice il Signore ai farisei, chi, di voi o di me, entra per la porta prescritta dalla Legge, chi compie con zelo i precetti della Legge, a chi Mosè, guardiano dell’ovile, apre veramente la porta, a chi concede lode e onore a motivo delle sue opere, chi viene dichiarato vero pastore. Se nel suo libro Mosè fa l’elogio di chi compie le precetti della Legge, certamente il compimento di questi precetti non si trova in voi bensì in me…

«Senza fare nulla di ciò che è utile alle pecore, ricercate solo il vostro vantaggio. Per questo motivo, non avete nessuna autorità per cacciare qualcuno… Io, a buon diritto e a giusto titolo, sono chiamato pastore, poiché prima ho osservato la Legge con cura; poi sono entrato per la porta prescritta dalla Legge, che mi è stata mostrata dal guardiano in persona; in fine ho compiuto con zelo quanto occorre fare per il bene delle pecore.»

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