L’arte cristiana primitiva: le prime immagini di Cristo
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L’arte cristiana primitiva: le prime immagini di Cristo
di Raffaele Cammarano/ 10/11/2006
Un viaggio nel tempo, agli albori dell’arte cristiana. Korazym.org alla scoperta di come nasce l’immagine di Cristo nell’arte: da pastore a filosofo, l’evoluzione figurativa di un uomo.
Il cristianesimo, con la fede nella resurrezione del corpo, portò all’abbandono della pratica della cremazione. A questa si sostituì l’inumazione del defunto che avveniva o in catacombe, oppure in cimiteri in superficie e fu proprio in questo genere di luoghi che si sviluppò la prima arte cristiana. Queste notizie sono fondamentali, in quanto testimoniano come la prima arte cristiana fu contraddistinta da un carattere funerario eludendo alcunché di didattico.
La prima arte mirava alla trasmissione del messaggio evangelico usando un linguaggio figurativo semplice e desunto da modelli pagani e giudaici. Le scene rappresentate venivano estrapolate dall’Antico Testamento e tra esse ebbero molteplici rappresentazioni il « Diluvio, Daniele nella fossa dei leoni, la Resurrezione di Lazzaro ». I temi contenevano un messaggio chiaro e immediato sul cristiano osservante: rappresentavano episodi di salvazione dei giusti che prefiguravano simbolicamente la salvazione degli uomini da parte di Cristo. In pratica, l’arte abbandonò una rappresentazione naturalistica, mimetica e oggettiva, avvicinandosi a una lettura simbolica e allusiva. Diventa quindi necessario trovare immagini che, senza riprodurre la divinità, alludano a essa, ne siano il simbolo. Il simbolismo e la narrazione furono dunque le due forme espressive proprie dell’arte cristiana primitiva.
L’evoluzione delle arti figurative nei secoli III e IV appare segnata dalla volontà di non riprodurre la rappresentazione della realtà fisica. Le figurazioni trascendono il mondo naturale, a loro interessa la puntuale descrizione solo marginalmente, quello che cercano è ancora una volta “il simbolo”.
Come già detto da André Grabar le immagini narrative di questo periodo sono “immagini-segno”. Queste raggiungono il loro scopo nel momento in cui risultano immediatamente intelligibili a chi le osserva. È caratteristica di queste figurazioni il non descrivere gli avvenimenti, non si elaborano immagini nuove, ma si attribuisce un nuovo significato a immagini preesistenti. Ciò che caratterizza il segno è il suo valore convenzionale. Il messaggio trasmesso dal segno deve essere ed è facilmente compreso dall’ambiente in cui viene diffuso.
Anche l’immagine di Cristo dovette attenersi a questi canoni di rappresentazione. L’uso della forma allegorica nella rappresentazione del Salvatore si risolse nella riproduzione di varie immagini. All’inizio Cristo venne riprodotto come “il Buon Pastore” che sulle spalle portava la pecorella. L’animale aveva un ruolo fondamentale nella figurazione, infatti, simboleggiava come Gesù fosse il salvatore delle anime.
Tale iconografia venne sostituita dal Cristo come “Filosofo”. Questi incarnava il concetto di testimonianza ed è frequente nell’arte già dalla seconda metà del III secolo. Un’ulteriore visione è il tipo del “Cristo mistico”. In esso il Salvatore è rappresentato giovane. L’attribuzione all’immagine di Cristo di un’insolita giovinezza, come notato ancora una volta da Grabar, significa collocarlo fuori dal tempo: la giovinezza diventa manifestazione fisica della sua dimensione eterna.
L’ultimo tipo di Cristo analizzato è il “Cristo storico”. Questo fece la sua comparsa in età teodosiana (seconda metà del IV sec.) ed evoca il significato salvifico della Passione e della Resurrezione, oppure, esalta la maestà divina anticipando nella severità il “Cristo Giudice” della successiva iconografia bizantino-medievale.
In conclusione si deve solo aggiungere come, l’attuale immagine del Cristo, caratterizzato dalla tunica, la lunga barba, la pelle olivastra si desume sia un’evoluzione dell’immagine del Cristo filosofo.
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