Archive pour mars, 2008

Præconii paschalis (veglia del Sabato Santo)

IN ITALIANO 

Præconii paschalis  (Italiano) 

 

 

Esulti il coro egli angeli, esulti l’assemblea celeste: 
un inno di gloria saluti il trionfo del Signore risorto. 

Gioisca la terra inondata da così grande splendore; 
la luce del Re eterno ha vinto le tenebre del mondo. 

Gioisca la madre Chiesa, splendente della gloria del suo Signore, 
e questo tempio tutto risuoni 
per le acclamazioni del popolo in festa. 

[(E voi, fratelli carissimi, 
qui radunati nella solare chiarezza di questa nuova luce, 
invocate con me la misericordia di Dio onnipotente. 
Egli che mi ha chiamato, senza alcun merito, 
nel numero dei suoi ministri, irradi il suo mirabile fulgore, 
perché sia piena e perfetta la lode di questo cero.)]

[Il Signore sia con voi.
E con il tuo spirito.]

In alto i nostri cuori.
Sono rivolti al Signore.

Rendiamo grazie al Signore, nostro Dio.
E’ cosa buona e giusta.
 
E’ veramente cosa buona e giusta 
esprimere con il canto l’esultanza dello spirito, 
e inneggiare al Dio invisibile, Padre onnipotente, 
e al suo unico Figlio, Gesù Cristo nostro Signore. 

Egli ha pagato per noi all’eterno Padre il debito di Adamo, 
e con il sangue sparso per la nostra salvezza 
ha cancellato la condanna della colpa antica. 

Questa è la vera Pasqua, in cui è ucciso il vero Agnello, 
che con il suo sangue consacra le case dei fedeli. 

Questa è la notte in cui hai liberato i figli di Israele, nostri padri, 
dalla schiavitù dell’Egitto, 
e li hai fatti passare illesi attraverso il Mar Rosso. 

Questa è la notte in cui hai vinto le tenebre del peccato 
con lo splendore della colonna di fuoco. 

Questa è la notte che salva su tutta la terra i credenti nel Cristo 
dall’oscurità del peccato e dalla corruzione del mondo, 
li consacra all’amore del Padre 
e li unisce nella comunione dei santi. 

Questa è la notte in cui Cristo, spezzando i vincoli della morte, 
risorge vincitore dal sepolcro. 

(Nessun vantaggio per noi essere nati, se lui non ci avesse redenti.) 

O immensità del tuo amore per noi! O inestimabile segno di bontà: 
per riscattare lo schiavo, hai sacrificato il tuo Figlio! 

Davvero era necessario il peccato di Adamo, 
che è stato distrutto con la morte del Cristo. 
Felice colpa, che meritò di avere un così grande redentore! 

(O notte beata, tu sola hai meritato di conoscere 
il tempo e l’ora in cui Cristo è risorto dagli inferi. 

Di questa notte è stato scritto: la notte splenderà come il giorno, 
e sarà fonte di luce per la mia delizia.) 

Il santo mistero di questa notte sconfigge il male, 
lava le colpe, restituisce l’innocenza ai peccatori, 
la gioia agli afflitti. 

(Dissipa l’odio, piega la durezza dei potenti,  
promuove la concordia e la pace.)  


O notte veramente gloriosa, 
che ricongiunge la terra al cielo e l’uomo al suo creatore!

In questa notte di grazia accogli, Padre santo, il sacrificio di lode, 
che la Chiesa ti offre per mano dei suoi ministri, 
nella solenne liturgia del cero,  
frutto del lavoro delle api, simbolo della nuova luce.  


(Riconosciamo nella colonna dell’Esodo  
gli antichi presagi di questo lume pasquale 
che un fuoco ardente ha acceso in onore di Dio. 
Pur diviso in tante fiammelle non estingue il suo vivo splendore, 
ma si accresce nel consumarsi della cera 
che l’ape madre ha prodotto 
per alimentare questa preziosa lampada.) 

Ti preghiamo, dunque, Signore, che questo cero, 
offerto in onore del tuo nome 
per illuminare l’oscurità di questa notte, 
risplenda di luce che mai si spegne. 

Salga a te come profumo soave, 
si confonda con le stelle del cielo. 
Lo trovi acceso la stella del mattino, 
questa stella che non conosce tramonto: 
Cristo, tuo Figlio, che risuscitato dai morti 
fa risplendere sugli uomini la sua luce serena 
e vive e regna nei secoli dei secoli. Amen.
 

IN LATINO 

  

Præconii paschalis 

  

forma lunga 

  

Exsúltet iam angélica turba cælórum: 

exsúltent divína mystéria: 

et pro tanti Regis victória tuba ínsonet salutáris. 

  

Gáudeat et tellus tantis irradiáta fulgóribus: 

et, ætérni Regis splendóre illustráta, 

totíus orbis se séntiat amisísse calíginem. 

  

Lætétur et mater Ecclésia, 

tanti lúminis adornáta fulgóribus: 

et magnis populórum vócibus hæc aula resúltet. 

  

(Quaprópter astántes vos, fratres caríssimi, 

ad tam miram huius sancti lúminis claritátem, 

una mecum, quæso, 

Dei omnipoténtis misericórdiam invocáte. 

  

Ut, qui me non meis méritis intra 

Levitárum númerum dignátus est aggregáre, 

lúminis sui claritátem infúndens, 

cérei huius laudem implére perfíciat). 

  

(V/. Dóminus vobíscum. R. Et cum spíritu tuo.) 

  

V/. Sursum corda. 

R/. Habémus ad Dóminum. 

  

V/. Grátias agámus Dómino Deo nostro. 

R/. Dignum et iustum est. 

  

Vere dignum et iustum est, 

invisíbilem Deum Patrem omnipoténtem 

Filiúmque eius Unigénitum, 

Dóminum nostrum Iesum Christum, 

toto cordis ac mentis afféctu et vocis ministério personáre. 

  

Qui pro nobis ætérno Patri Adæ débitum solvit, 

et véteris piáculi cautiónem pio cruóre detérsit. 

Hæc sunt enim festa paschália, 

in quibus verus ille Agnus occíditur, 

cuius sánguine postes fidélium consecrántur. 

  

Hæc nox est, in qua primum patres nostros, 

fílios Isræl edúctos de Ægypto, 

Mare Rubrum sicco vestígio transíre fecísti. 

  

Hæc ígitur nox est, 

quæ peccatórum ténebras colúmnæ illuminatióne purgávit. 

  

Hæc nox est, quæ hódie per univérsum mundum 

in Christo credéntes, a vítiis sæculi 

et calígine peccatórum segregátos, reddit grátiæ, 

sóciat sanctitáti. 

  

Hæc nox est, in qua, destrúctis vínculis mortis, 

Christus ab ínferis victor ascéndit. 

  

Nihil enim nobis nasci prófuit, nisi rédimi profuísset. 

  

O mira circa nos tuæ pietátis dignátio! 

  

O inæstimábilis diléctio caritátis: 

ut servum redímeres, Fílium tradidísti! 

  

O certe necessárium Adæ peccátum, 

quod Christi morte delétum est! O felix culpa, 

quæ talem ac tantum méruit habére Redemptórem! 

O vere beáta nox, quæ sola méruit scire tempus et horam, 

in qua Christus ab ínferis resurréxit! Hæc nox est, de qua scriptum est:  

Et nox sicut dies illuminábitur: et nox illuminátio mea in delíciis meis. 

  

Huius ígitur sanctificátio noctis fugat scélera, 

culpas lavat: et reddit innocéntiam lapsis et mæstis lætítiam. 

Fugat ódia, concórdiam parat et curvat impéria. 

  

In huius ígitur noctis grátia, súscipe, 

sancte Pater, laudis huius sacrifícium vespertínum, 

quod tibi in hac cérei oblatióne sollémni, 

per ministrórum manus de opéribus apum, 

sacrosáncta reddit Ecclésia. 

  

Sed iam colúmnæ huius præcónia nóvimus, 

quam in honórem Dei rútilans ignis accéndit. 

Qui, licet sit divísus in partes, 

mutuáti tamen lúminis detriménta non novit. 

  

Alitur enim liquántibus ceris, 

quas in substántiam pretiósæ huius lámpadis apis mater edúxit. 

O vere beáta nox, in qua terrénis cæléstia, humánis divína iungúntur! 

Orámus ergo te, Dómine, 

ut céreus iste in honórem tui nóminis consecrátus, 

ad noctis huius calíginem destruéndam, 

indefíciens persevéret. 

  

Et in odórem suavitátis accéptus, 

supérnis lumináribus misceátur. 

Flammas eius lúcifer matutínus invéniat: 

Ille, inquam, lúcifer, qui nescit occásum: 

Christus Fílius tuus, qui, regréssus ab ínferis, 

humáno géneri serénus illúxit, 

et vivit et regnat in sæcula sæculórum. 

R. Amen. 

 

 

Publié dans:liturgia |on 20 mars, 2008 |Pas de commentaires »

MONS. GIANFRANCO RAVASI: LA SANTA RADICE DI ISRAELE

dal sito:

http://www.novena.it/ravasi/ravasi13.htm 

 

MONS. GIANFRANCO RAVASI 

 

LA SANTA RADICE DI ISRAELE 

 

Il testo apocrifo cristiano della fine del II secolo intitolato Atti di Paolo e Tecla ci offre questo curioso e realistico ritratto di Paolo: «Era un uomo di bassa statura, la testa calva, le gambe arcuate, il corpo vigoroso, le sopracciglia congiunte, il naso alquanto sporgente, pieno di amabilità: a volte aveva le sembianze di un uomo, a volte l’aspetto di un angelo».
Al di là della finale un po’ “aureolata”, questo profilo rivela i tratti di un uomo dell’Oriente.
Egli, infatti, pur proclamando con orgoglio la cittadinanza romana che gli derivava dall’essere nato a Tarso, una colonia romana dell’attuale Turchia, non esitava a marcare le sue radici ebraiche.
«Sono un ebreo di Tarso in Cilicia», dichiarava al tribunale romano che gli chiedeva le generalità al momento dell’arresto a Gerusalemme (Atti 21,39).
In polemica coi suoi detrattori ebrei di Corinto rivendicava le sue origini: «Sono essi ebrei? Lo sono anch’io! Sono israeliti? Anch’io! Sono stirpe di Abramo? Anch’io!» (2 Corinzi 11,22).
Agli amati cristiani greci di Filippi ribadiva vigorosamente di essere «circonciso l’ottavo giorno, della stirpe di Israele, della tribù di Beniamino, ebreo da ebrei, fariseo secondo la legge (Filippesi 3,5).
Ebbene, nella lettera ai Romani che ci ha accompagnato nelle nostre puntate durante questa Quaresima ci sono ben tre capitoli – dal 9 all’11 – dedicati proprio al popolo ebraico.
Essi si aprono con questa appassionata dichiarazione:
«Vorrei essere io stesso maledetto, separato da Cristo a vantaggio dei miei fratelli, miei consanguinei secondo la carne. Essi sono israeliti e a loro appartengono l’adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse, i patriarchi.
Da essi proviene Cristo secondo la carne» (9,3-5).
Pur ribadendo che gli Ebrei come i pagani hanno bisogno di essere salvati in Cristo dal loro peccato, Paolo ne esalta la grandezza e il destino di gloria.
La Chiesa, che comprende anche i non-ebrei, deve sentirsi innestata alla “santa radice” di quell’olivo che è Israele.
L’immagine vegetale e agricola dell’olivo è usata però dall’Apostolo in modo paradossale:
l’innesto lo si compie su un albero selvatico con un pollone fruttifero:
nella storia della Chiesa è avvenuto il contrario.
Infatti sull’olivo, che è Israele, è stato innestato un oleastro che «partecipa della radice e della linfa dell’olivo», cioè i pagani convertiti al cristianesimo (11,16-24).
E anche se gli Israeliti si sono ridotti a essere rami e polloni piantati altrove, essi potranno sempre riconnettersi alla loro radice e al loro tronco sano.
Conclude, infatti, Paolo la sua parabola dell’olivo così:
«Se tu, pagano, sei stato reciso dal tuo oleastro per essere innestato — sia pure contro natura — su un olivo buono, quanto più essi (gli Ebrei) potranno essere di nuovo innestati sul proprio olivo secondo la loro natura! » (11,24). 

Publié dans:CAR. GIANFRANCO RAVASI |on 20 mars, 2008 |Pas de commentaires »

Benedetto XVI invita a vivere con fede il Triduo Pasquale

19/03/2008, dal sito:

http://www.zenit.org/article-13869?l=italian

 

 Benedetto XVI invita a vivere con fede il Triduo Pasquale 

 

Intervento in occasione dell’udienza generale del mercoledì 

 

CITTA’ DEL VATICANO, mercoledì, 19 marzo 2008 (ZENIT.org).- Riportiamo di seguito le parole pronunciate da Benedetto XVI questo mercoledì in occasione dell’udienza generale, alla quale hanno assistito fedeli e pellegrini provenienti dall’Italia e dal mondo. 

 

Cari fratelli e sorelle, 

siamo giunti alla vigilia del Triduo Pasquale. I prossimi tre giorni vengono comunemente chiamati « santi » perché ci fanno rivivere l’evento centrale della nostra Redenzione; ci riconducono infatti al nucleo essenziale della fede cristiana: la passione, la morte e la risurrezione di Gesù Cristo. Sono giorni che potremmo considerare come un unico giorno: essi costituiscono il cuore ed il fulcro dell’intero anno liturgico come pure della vita della Chiesa. Al termine dell’itinerario quaresimale, ci apprestiamo anche noi ad entrare nel clima stesso che Gesù visse allora a Gerusalemme. Vogliamo ridestare in noi la viva memoria delle sofferenze che il Signore ha patito per noi e prepararci a celebrare con gioia, domenica prossima, « la vera Pasqua, che il Sangue di Cristo ha coperto di gloria, la Pasqua in cui la Chiesa celebra la Festa che è l’origine di tutte le feste », come dice il Prefazio per il giorno di Pasqua nel rito ambrosiano. 

Domani, Giovedì Santo, la Chiesa fa memoria dell’Ultima Cena durante la quale il Signore, la vigilia della sua passione e morte, ha istituito il Sacramento dell’Eucaristia e quello del Sacerdozio ministeriale. In quella stessa notte Gesù ci ha lasciato il comandamento nuovo, « mandatum novum« , il comandamento dell’amore fraterno. Prima di entrare nel Triduo Santo, ma già in stretto collegamento con esso, avrà luogo in ogni Comunità diocesana, domani mattina, la Messa Crismale, durante la quale il Vescovo e i sacerdoti del presbiterio diocesano rinnovano le promesse dell’Ordinazione. Vengono anche benedetti gli olii per la celebrazione dei Sacramenti: l’olio dei catecumeni, l’olio dei malati e il sacro crisma. E’ un momento quanto mai importante per la vita di ogni comunità diocesana che, raccolta attorno al suo Pastore, rinsalda la propria unità e la propria fedeltà a Cristo, unico Sommo ed Eterno Sacerdote. Alla sera, nella Messa in Cena Domini si fa memoria dell’Ultima Cena quando Cristo si è dato a tutti noi come nutrimento di salvezza, come farmaco di immortalità: è il mistero dell’Eucaristia, fonte e culmine della vita cristiana. In questo Sacramento di salvezza il Signore ha offerto e realizzato per tutti coloro che credono in Lui la più intima unione possibile tra la nostra e la sua vita. Col gesto umile e quanto mai espressivo della lavanda dei piedi, siamo invitati a ricordare quanto il Signore fece ai suoi Apostoli: lavando i loro piedi proclamò in maniera concreta il primato dell’amore, amore che si fa servizio fino al dono di se stessi, anticipando anche così il sacrificio supremo della sua vita che si consumerà il giorno dopo sul Calvario. Secondo una bella tradizione, i fedeli chiudono il Giovedì Santo con una veglia di preghiera e di adorazione eucaristica per rivivere più intimamente l’agonia di Gesù al Getsemani. 

Il Venerdì Santo è la giornata che fa memoria della passione, crocifissione e morte di Gesù. In questo giorno la liturgia della Chiesa non prevede la celebrazione della Santa Messa, ma l’assemblea cristiana si raccoglie per meditare sul grande mistero del male e del peccato che opprimono l’umanità, per ripercorrere, alla luce della Parola di Dio e aiutata da commoventi gesti liturgici, le sofferenze del Signore che espiano questo male. Dopo aver ascoltato il racconto della passione di Cristo, la comunità prega per tutte le necessità della Chiesa e del mondo, adora la Croce e si accosta all’Eucaristia, consumando le specie conservate dalla Messa in Cena Domini del giorno precedente. Come ulteriore invito a meditare sulla passione e morte del Redentore e per esprimere l’amore e la partecipazione dei fedeli alle sofferenze di Cristo, la tradizione cristiana ha dato vita a varie manifestazioni di pietà popolare, processioni e sacre rappresentazioni, che mirano ad imprimere sempre più profondamente nell’animo dei fedeli sentimenti di vera partecipazione al sacrificio redentivo di Cristo. Fra queste spicca la Via Crucis, pio esercizio che nel corso degli anni si è arricchito di molteplici espressioni spirituali ed artistiche legate alla sensibilità delle diverse culture. Sono così sorti in molti Paesi santuari con il nome di « Calvaria », ai quali si giunge attraverso un’erta salita che richiama il cammino doloroso della Passione, consentendo ai fedeli di partecipare all’ascesa del Signore verso il Monte della Croce, il Monte dell’Amore spinto fino alla fine. 

Il Sabato Santo è segnato da un profondo silenzio. Le Chiese sono spoglie e non sono previste particolari liturgie. Mentre attendono il grande evento della Risurrezione, i credenti perseverano con Maria nell’attesa pregando e meditando. C’è bisogno in effetti di un giorno di silenzio, per meditare sulla realtà della vita umana, sulle forze del male e sulla grande forza del bene scaturita dalla Passione e dalla Risurrezione del Signore. Grande importanza viene data in questo giorno alla partecipazione al Sacramento della riconciliazione, indispensabile via per purificare il cuore e predisporsi a celebrare intimamente rinnovati la Pasqua. Almeno una volta all’anno abbiamo bisogno di questa purificazione interiore di questo rinnovamento di noi stessi. Questo Sabato di silenzio, di meditazione, di perdono, di riconciliazione sfocia nella Veglia Pasquale, che introduce la domenica più importante della storia, la domenica della Pasqua di Cristo. Veglia la Chiesa accanto al nuovo fuoco benedetto e medita la grande promessa, contenuta nell’Antico e nel Nuovo Testamento, della liberazione definitiva dall’antica schiavitù del peccato e della morte. Nel buio della notte viene acceso dal fuoco nuovo il cero pasquale, simbolo di Cristo che risorge glorioso. Cristo luce dell’umanità disperde le tenebre del cuore e dello spirito ed illumina ogni uomo che viene nel mondo. Accanto al cero pasquale risuona nella Chiesa il grande annuncio pasquale: Cristo è veramente risorto, la morte non ha più alcun potere su di Lui. Con la sua morte Egli ha sconfitto il male per sempre ed ha fatto dono a tutti gli uomini della vita stessa di Dio. Per antica tradizione, durante la Veglia Pasquale, i catecumeni ricevono il Battesimo, per sottolineare la partecipazione dei cristiani al mistero della morte e della risurrezione di Cristo. Dalla splendente notte di Pasqua, la gioia, la luce e la pace di Cristo si espandono nella vita dei fedeli di ogni comunità cristiana e raggiungono ogni punto dello spazio e del tempo. 

Cari fratelli e sorelle, in questi giorni singolari orientiamo decisamente la vita verso un’adesione generosa e convinta ai disegni del Padre celeste; rinnoviamo il nostro « sì » alla volontà divina come ha fatto Gesù con il sacrificio della croce. I suggestivi riti del Giovedì Santo, del Venerdì Santo, il silenzio ricco di preghiera del Sabato Santo e la solenne Veglia Pasquale ci offrono l’opportunità di approfondire il senso e il valore della nostra vocazione cristiana, che scaturisce dal Mistero Pasquale e di concretizzarla nella fedele sequela di Cristo in ogni circostanza, come ha fatto Lui, sino al dono generoso della nostra esistenza. 

Far memoria dei misteri di Cristo significa anche vivere in profonda e solidale adesione all’oggi della storia, convinti che quanto celebriamo è realtà viva ed attuale. Portiamo dunque nella nostra preghiera la drammaticità di fatti e situazioni che in questi giorni affliggono tanti nostri fratelli in ogni parte del mondo. Noi sappiamo che l’odio, le divisioni, le violenze non hanno mai l’ultima parola negli eventi della storia. Questi giorni rianimano in noi la grande speranza: Cristo crocifisso è risorto e ha vinto il mondo. L’amore è più forte dell’odio, ha vinto e dobbiamo associarci a questa vittoria dell’amore. Dobbiamo quindi ripartire da Cristo e lavorare in comunione con Lui per un mondo fondato sulla pace, sulla giustizia e sull’amore. In quest’impegno, che tutti ci coinvolge, lasciamoci guidare da Maria, che ha accompagnato il Figlio divino sulla via della passione e della croce e ha partecipato, con la forza della fede, all’attuarsi del suo disegno salvifico. Con questi sentimenti, formulo fin d’ora i più cordiali auguri di lieta e santa Pasqua a tutti voi, ai vostri cari e alle vostre Comunità. 

[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:] 

Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini di lingua italiana. Auguro a ciascuno di vivere con intensa partecipazione il Triduo Pasquale, per celebrare con più salda fede il mistero della morte e risurrezione di Cristo. 

Il mio pensiero va ora ai giovani, ai malati e agli sposi novelli, ai quali formulo uno speciale augurio pasquale. A voi, cari giovani, auguro di non avere paura a seguire Cristo, anche quando vi invita a percorrere con lui la via difficile della croce. A voi, cari malati, la meditazione della Passione di Gesù, mistero di sofferenza trasfigurata dall’amore, rechi conforto e consolazione. E in voi, cari sposi novelli, la morte e la risurrezione del Signore rinnovi la gioia e l’impegno del vostro patto nuziale. 

Seguo con grande trepidazione le notizie, che in questi giorni giungono dal Tibet. Il mio cuore di Padre sente tristezza e dolore di fronte alla sofferenza di tante persone. Il mistero della passione e morte di Gesù, che riviviamo in questa Settimana Santa, ci aiuta ad essere particolarmente sensibili alla loro situazione. 

Con la violenza non si risolvono i problemi, ma solo si aggravano. Vi invito ad unirvi a me nella preghiera. Chiediamo a Dio onnipotente, fonte di luce, che illumini le menti di tutti e dia a ciascuno il coraggio di scegliere la via del dialogo e della tolleranza. 

Publié dans:Papa Benedetto XVI, ZENITH |on 20 mars, 2008 |Pas de commentaires »

buona notte

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http://www.floralimages.co.uk/red.htm

« Uno di voi mi tradirà »

dal sito: 

http://levangileauquotidien.org/

Papa Benedetto XVI
Udienza generale del 18/10/06

« Uno di voi mi tradirà »

Perché Giuda tradì Gesù? La questione è oggetto di varie ipotesi. Alcuni ricorrono al fattore della sua cupidigia di danaro; altri sostengono una spiegazione di ordine messianico: Giuda sarebbe stato deluso nel vedere che Gesù non inseriva nel suo programma la liberazione politico-militare del proprio Paese. In realtà, i testi evangelici insistono su un altro aspetto: Giovanni dice espressamente che « il diavolo aveva messo in cuore a Giuda Iscariota, figlio di Simone, di tradirlo » (Gv 13,2); analogamente scrive Luca: « Allora satana entrò in Giuda, detto Iscariota, che era nel numero dei Dodici » (Lc 22,3). In questo modo, si va oltre le motivazioni storiche e si spiega la vicenda in base alla responsabilità personale di Giuda, il quale cedette miseramente ad una tentazione del Maligno. Il tradimento di Giuda rimane, in ogni caso, un mistero. Gesù lo ha trattato da amico (cfr Mt 26,50), però, nei suoi inviti a seguirlo sulla via delle beatitudini, non forzava le volontà né le premuniva dalle tentazioni di Satana, rispettando la libertà umana…Ricordiamoci che anche Pietro voleva opporsi a lui e a ciò che lo aspettava a Gerusalemme, ma ne ricevette un rimprovero fortissimo: « Tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini » (Mc 8,32-33)! Pietro, dopo la sua caduta, si è pentito ed ha trovato perdono e grazia. Anche Giuda si è pentito, ma il suo pentimento è degenerato in disperazione e così è divenuto autodistruzione… Teniamo quindi presenti due cose. La prima: Gesù rispetta la nostra libertà. La seconda: Gesù aspetta la nostra disponibilità al pentimento ed alla conversione; è ricco di misericordia e di perdono.

Del resto, quando, pensiamo al ruolo negativo svolto da Giuda dobbiamo inserirlo nella superiore conduzione degli eventi da parte di Dio. Il suo tradimento ha condotto alla morte di Gesù, il quale trasformò questo tremendo supplizio in spazio di amore salvifico e in consegna di sé al Padre (cfr Gal 2,20; Ef 5,2.25). Il Verbo « tradire » è la versione di una parola greca che significa « consegnare ». Talvolta il suo soggetto è addirittura Dio in persona: è stato lui che per amore « consegnò » Gesù per tutti noi (cfr Rm 8,32). Nel suo misterioso progetto salvifico, Dio assume il gesto inescusabile di Giuda come occasione del dono totale del Figlio per la redenzione del mondo.

Benedetto XVI 2006 : Meditazioni sul significato del triduo pasquale

dal sito:

http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/audiences/2006/documents/hf_ben-xvi_aud_20060412_it.html

 BENEDETTO XVI 

UDIENZA GENERALE  Piazza San Pietro
Mercoledì, 12 aprile 2006 
 

Meditazione sul significato del Triduo Pasquale 

Cari fratelli e sorelle, inizia domani il Triduo pasquale, che è il fulcro dell’intero anno liturgico. Aiutati dai sacri riti del Giovedì Santo, del Venerdì Santo e della solenne Veglia Pasquale, rivivremo il mistero della passione, della morte e della risurrezione del Signore. Questi sono giorni atti a ridestare in noi un più vivo desiderio di aderire a Cristo e di seguirlo generosamente, consapevoli del fatto che Egli ci ha amati sino a dare la sua vita per noi. Cosa sono, in effetti, gli eventi che il Triduo santo ci ripropone, se non la manifestazione sublime di questo amore di Dio per l’uomo? Apprestiamoci, pertanto, a celebrare il Triduo pasquale accogliendo l’esortazione di sant’Agostino: “Ora considera attentamente i tre giorni santi della crocifissione, della sepoltura e della risurrezione del Signore. Di questi tre misteri compiamo nella vita presente ciò di cui è simbolo la croce, mentre compiamo per mezzo della fede e della speranza ciò di cui è simbolo la sepoltura e la risurrezione” (Epistola 55, 14, 24: Nuova Biblioteca Agostiniana (NBA), XXI/II, Roma 1969, p. 477).    

Il Triduo pasquale si apre domani, Giovedì Santo, con la Messa vespertina “in Cena Domini”, anche se al mattino normalmente si tiene un’altra significativa celebrazione liturgica, la Messa del Crisma, durante la quale, raccolto attorno al Vescovo, l’intero presbiterio di ogni Diocesi rinnova le promesse sacerdotali, e partecipa alla benedizione degli oli dei catecumeni, dei malati e del Crisma, e così faremo domani mattina anche qui, in San Pietro. Oltre all’istituzione del Sacerdozio, in questo giorno santo si commemora l’offerta totale che Cristo ha fatto di Sé all’umanità nel sacramento dell’Eucaristia. In quella stessa notte in cui fu tradito, Egli ci ha lasciato, come ricorda la Sacra Scrittura, il “comandamento nuovo” – “mandatum novum” – dell’amore fraterno compiendo il gesto toccante della lavanda dei piedi, che richiama l’umile servizio degli schiavi. Questa singolare giornata, evocatrice di grandi misteri, si chiude con l’Adorazione eucaristica, nel ricordo dell’agonia del Signore nell’orto del Getsemani. Preso da grande angoscia, narra il Vangelo, Gesù chiese ai suoi di vegliare con Lui rimanendo in preghiera: “Restate qui e vegliate con me » (Mt 26,38), ma i discepoli si addormentarono. Ancora oggi il Signore dice a noi: “Restate e vegliate con me”. E vediamo come anche noi, discepoli di oggi, spesso dormiamo. Quella fu per Gesù l’ora dell’abbandono e della solitudine, a cui seguì, nel cuore della notte, l’arresto e l’inizio del doloroso cammino verso il Calvario.  

Centrato sul mistero della Passione è il Venerdì Santo, giorno di digiuno e di penitenza, tutto orientato alla contemplazione di Cristo sulla Croce. Nelle chiese viene proclamato il racconto della Passione e risuonano le parole del profeta Zaccaria: “Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto” (Gv 19,37). E il Venerdì Santo anche noi vogliamo realmente volgere lo sguardo al cuore trafitto del Redentore, nel quale – scrive san Paolo – sono “nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza” (Col 2,3), anzi “abita corporalmente tutta la pienezza della divinità” (Col 2,9), per questo l’Apostolo può affermare con decisione di non voler sapere altro “se non Gesù Cristo e questi crocifisso” (1 Cor 2,2). E’ vero: la Croce rivela “l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità” – le dimensioni cosmiche, questo è il senso – di un amore che sorpassa ogni conoscenza – l’amore va oltre quanto si conosce – e ci ricolma “di tutta la pienezza di Dio” (cfr Ef 3,18-19).Nel mistero del Crocifisso “si compie quel volgersi di Dio contro se stesso nel quale egli si dona per rialzare l’uomo e salvarlo – amore, questo, nella sua forma più radicale” (Deus caritas est, 12).La Croce di Cristo, scrive nel V° secolo il Papa san Leone Magno, “è sorgente di tutte le benedizioni, e causa di tutte le grazie” (Disc. 8 sulla passione del Signore, 6-8; PL 54, 340-342).  

Nel Sabato Santo la Chiesa, unendosi spiritualmente a Maria, resta in preghiera presso il sepolcro, dove il corpo del Figlio di Dio giace inerte come in una condizione di riposo dopo l’opera creativa della redenzione, realizzata con la sua morte (cfr Eb 4,1-13). A notte inoltrata inizierà la solenne Veglia pasquale, durante la quale in ogni Chiesa il canto gioioso del Gloria e dell’Alleluia pasquale si leverà dal cuore dei nuovi battezzati e dall’intera comunità cristiana, lieta perché Cristo è risorto e ha vinto la morte.   

Cari fratelli e sorelle, per una proficua celebrazione della Pasqua, la Chiesa chiede ai fedeli di accostarsi in questi giorni al sacramento della Penitenza, che è come una specie di morte e di risurrezione per ognuno di noi. Nell’antica comunità cristiana, il Giovedì Santo si teneva il rito della Riconciliazione dei Penitenti presieduto dal Vescovo. Le condizioni storiche sono certamente mutate, ma prepararsi alla Pasqua con una buona confessione resta un adempimento da valorizzare appieno, perché ci offre la possibilità di ricominciare di nuovo la nostra vita e di avere realmente un nuovo inizio nella gioia del Risorto e nella comunione del perdono datoci da Lui. Consapevoli di essere peccatori, ma fiduciosi nella misericordia divina, lasciamoci riconciliare da Cristo per gustare più intensamente la gioia che Egli ci comunica con la sua risurrezione. Il perdono, che ci viene donato da Cristo nel sacramento della Penitenza, è sorgente di pace interiore ed esteriore e ci rende apostoli di pace in un mondo dove continuano purtroppo le divisioni, le sofferenze e i drammi dell’ingiustizia, dell’odio e della violenza, dell’incapacità di riconciliarsi per ricominciare di nuovo con un perdono sincero. Noi sappiamo però che il male non ha l’ultima parola, perché a vincere è Cristo crocifisso e risorto e il suo trionfo si manifesta con la forza dell’amore misericordioso. La sua risurrezione ci dà questa certezza: nonostante tutta l’oscurità che vi è nel mondo, il male non ha l’ultima parola. Sorretti da questa certezza potremo con più coraggio ed entusiasmo impegnarci perché nasca un mondo più giusto.  

Questo auspicio formulo di cuore per tutti voi, cari fratelli e sorelle, augurandovi di prepararvi con fede e devozione alle ormai prossime feste pasquali. Vi accompagniMaria Santissima che, dopo aver seguito il Figlio divino nell’ora della passione e della croce, ha condiviso il gaudio della sua risurrezione.    

Publié dans:Papa Benedetto XVI |on 19 mars, 2008 |Pas de commentaires »

buona notte

buona notte dans immagini buon...notte, giorno scilla_autumnalis_ce6

http://www.floralimages.co.uk/index.htm

« Non canterà il gallo, prima che tu non mi abbia rinnegato tre volte »

du site: 

http://levangileauquotidien.org/

Sant’Ambrogio (circa 340-397), vescovo di Milano e dottore della Chiesa
Commento sul vangelo di Luca, 10, 89 ; SC 52, 186

« Non canterà il gallo, prima che tu non mi abbia rinnegato tre volte »

Pietro ha rinnegato una prima volta e non ha pianto, perché il Signore non l’aveva guardato. Ha rinnegato una seconda volta, e non ha pianto, perché il Signore ancora non l’aveva guardato. Ha rinnegato una terza volta, Gesù l’ha guardato, ed egli ha pianto amaramente (Lc 22,62). Guardaci, Signore, perché sappiamo piangere il nostro peccato. Questo ci mostra che anche la caduta dei santi può esserci utile. Il rinnegamento di Pietro non mi ha fatto torto; al contrario, al suo pentimento, ho guadagnato: ho imparato a diffidare di una cerchia infedele…

Pietro ha dunque pianto, e amaramente; ha pianto per giungere a lavare la sua colpa con le sue lacrime. Anche voi, se volete ottenere il perdono, cancellate la vostra colpa con le lacrime; allo stesso momento, all’istante, Cristo vi guarda. Se vi succede qualche caduta, egli, testimone presente alla vostra vita segreta, vi guarda per farvi ricordare e confessare il vostro errore. Fate allora come Pietro che disse altrove tre volte: « Signore, sai che ti voglio bene » (Gv 21,15). Ha rinnegato tre volte, anche tre volte confessa; ma ha rinnegato nella notte, e confessa in piena luce.

Tutto questo è stato scritto per farvi capire che nessuno deve gloriarsi. Se Pietro è caduto lui che aveva detto: « Anche se tutti si scandalizzassero di te, io non mi scandalizzerò mai » (Mt 26,3), chi potrebbe contare su se stesso?… Da dove ti richiamerò, Pietro, per insegnarmi i tuoi pensieri quando piangevi? Dal cielo dove già hai preso posto tra il coro degli angeli? o ancora dal sepolcro? La morte infatti, della quale il Signore è risuscitato, neanche a te ripugna. Insegnaci a cosa ti hanno servito le tue lacrime. Ma questo hai insegnato velocemente: essendo caduto infatti prima di piangere, a motivo delle tue lacrime sei stato scelto per condurre gli altri, tu che, prima, non avevi saputo condurre te stesso.

La preghiera purifica i cuori

dal sito: 

http://www.novena.it/

MADRE TERESA DI CALCUTTA 

La preghiera purifica i cuori

 

Per poter amare abbiamo bisogno di avere un cuore puro.

Abbiamo un cuore puro se preghiamo.

La preghiera è un contatto e una relazione con
Dio. Ascoltiamo Dio nei nostri cuori e poi parliamo con lui dai nostri cuori. Sentire e parlare dal cuore: questo è la preghiera. Ma dove nascono quest’amore e questa preghiera?

Nascono nella famiglia.

La famiglia che prega unita resta unita.
E se i membri della famiglia restano uniti, si ameranno reciprocamente come Dio li ama individualmente.
Dedicate almeno mezz’ora al giorno alla preghiera personale con Dio.

La preghiera purificherà i vostri cuori e al tempo stesso vi darà luce e mezzi per trattare chiunque con amore e con rispetto.
Frutto della preghiera è sempre un amore profondo e una generosità ugualmente profonda. E questo ci avvicina molto gli uni agli altri.
Sappiamo che Cristo Gesù venne nel mondo con il preciso obiettivo di mostrarci siffatto amore.
Quanto ci amò!
Conosciamo la croce.
Quando la guardiamo o pensiamo a essa, ci rendiamo conto che fu il suo amore per noi che lo mosse ad accettarla.
Per questo, amiamo fin tanto che ci costa!

Publié dans:preghiere |on 18 mars, 2008 |Pas de commentaires »

Omelia di Benedetto XVI nella Domenica delle Palme

16/03/2008, du site:

 

 http://www.zenit.org/article-13834?l=italian 

 

Omelia di Benedetto XVI nella Domenica delle Palme 

 

CITTA’ DEL VATICANO, domenica, 16 marzo 2008 (ZENIT.org).- Riportiamo di seguito il testo dell’omelia pronunciata questa domenica mattina da Benedetto XVI presiedendo in Piazza San Pietro in Vaticano la solenne celebrazione liturgica della Domenica delle Palme e della Passione del Signore.

 

Cari fratelli e sorelle,  

anno dopo anno il brano evangelico della Domenica delle Palme ci racconta l’ingresso di Gesù in Gerusalemme. Insieme ai suoi discepoli e ad una schiera crescente di pellegrini, Egli era salito dalla pianura della Galilea alla Città Santa. Come gradini di questa salita, gli evangelisti ci hanno trasmesso tre annunzi di Gesù relativi alla sua Passione, accennando con ciò allo stesso tempo all’ascesa interiore che si stava compiendo in questo pellegrinaggio. Gesù è in cammino verso il tempio – verso il luogo, dove Dio, come dice il Deuteronomio, aveva voluto « fissare la sede » del suo nome (cfr 12, 11; 14, 23). Il Dio che ha creato cielo e terra si è dato un nome, si è reso invocabile, anzi, si è reso quasi toccabile da parte degli uomini. Nessun luogo può contenerLo e tuttavia, o proprio per questo, Egli stesso si dà un luogo e un nome, affinché Lui personalmente, il vero Dio, possa esservi venerato come il Dio in mezzo a noi. Dal racconto su Gesù dodicenne sappiamo che Egli ha amato il tempio come la casa del Padre suo, come la sua casa paterna. Ora viene di nuovo a questo tempio, ma il suo percorso va oltre: l’ultima meta della sua salita è la Croce. È la salita che la Lettera agli Ebrei descrive come la salita verso la tenda non fatta da mani d’uomo, fino al cospetto di Dio. L’ascesa fino al cospetto di Dio passa attraverso la Croce. È l’ascesa verso « l’amore sino alla fine » (cfr Gv 13, 1), che è il vero monte di Dio, il definitivo luogo del contatto tra Dio e l’uomo. 

Durante l’ingresso a Gerusalemme, la gente rende omaggio a Gesù come figlio di Davide con le parole del Salmo 118 [117] dei pellegrini: « Osanna al figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Osanna nel più alto dei cieli! » (Mt 21, 9). Poi Egli arriva al tempio. Ma là dove doveva esservi lo spazio dell’incontro tra Dio e l’uomo, Egli trova commercianti di bestiame e cambiavalute che occupano con i loro affari il luogo di preghiera. Certo, il bestiame lì in vendita era destinato ai sacrifici da immolare nel tempio. E poiché nel tempio non si potevano usare le monete su cui erano rappresentati gli imperatori romani che stavano in contrasto col Dio vero, bisognava cambiarle in monete che non portassero immagini idolatriche. Ma tutto ciò poteva essere svolto altrove: lo spazio dove ora ciò avveniva doveva essere, secondo la sua destinazione, l’atrio dei pagani. Il Dio d’Israele, infatti, era appunto l’unico Dio di tutti i popoli. E anche se i pagani non entravano, per così dire, nell’interno della Rivelazione, potevano tuttavia, nell’atrio della fede, associarsi alla preghiera all’unico Dio. Il Dio d’Israele, il Dio di tutti gli uomini, era in attesa sempre anche della loro preghiera, della loro ricerca, della loro invocazione. Ora, invece, vi dominavano gli affari – affari legalizzati dall’autorità competente che, a sua volta, era partecipe del guadagno dei mercanti. I mercanti agivano in modo corretto secondo l’ordinamento vigente, ma l’ordinamento stesso era corrotto. « L’avidità è idolatria », dice la Lettera ai Colossesi (cfr 3, 5). È questa l’idolatria che Gesù incontra e di fronte alla quale cita Isaia: « La mia casa sarà chiamata casa di preghiera » (Mt 21, 13; cfr Is 56, 7) e Geremia: « Ma voi ne fate una spelonca di ladri » (Mt 21, 13; cfr Ger 7, 11). Contro l’ordine interpretato male Gesù, con il suo gesto profetico, difende l’ordine vero che si trova nella Legge e nei Profeti. 

Tutto ciò deve oggi far pensare anche noi come cristiani: è la nostra fede abbastanza pura ed aperta, così che a partire da essa anche i « pagani », le persone che oggi sono in ricerca e hanno le loro domande, possano intuire la luce dell’unico Dio, associarsi negli atri della fede alla nostra preghiera e con il loro domandare diventare forse adoratori pure loro? La consapevolezza che l’avidità è idolatria raggiunge anche il nostro cuore e la nostra prassi di vita? Non lasciamo forse in vari modi entrare gli idoli anche nel mondo della nostra fede? Siamo disposti a lasciarci sempre di nuovo purificare dal Signore, permettendoGli di cacciare da noi e dalla Chiesa tutto ciò che Gli è contrario? 

Nella purificazione del tempio, però, si tratta di più che della lotta agli abusi. È preconizzata una nuova ora della storia. Adesso sta cominciando ciò che Gesù aveva annunciato alla Samaritana riguardo alla sua domanda circa la vera adorazione: « È giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; perché il Padre cerca tali adoratori » (Gv 4, 23). È finito il tempo in cui venivano immolati a Dio degli animali. Già da sempre i sacrifici di animali erano stati una miserevole sostituzione, un gesto di nostalgia del vero modo di adorare Dio. La Lettera agli Ebrei, sulla vita e sull’operare di Gesù ha posto come motto una frase del Salmo 40 [39]: « Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato » (Ebr 10, 5). Al posto dei sacrifici cruenti e delle offerte di vivande subentra il corpo di Cristo, subentra Lui stesso. Solo « l’amore sino alla fine », solo l’amore che per gli uomini si dona totalmente a Dio, è il vero culto, il vero sacrificio. Adorare in spirito e verità significa adorare in comunione con Colui che è la verità; adorare nella comunione col suo Corpo, nel quale lo Spirito Santo ci riunisce. 

Gli evangelisti ci raccontano che, nel processo contro Gesù, si presentarono falsi testimoni e affermarono che Gesù aveva detto: « Posso distruggere il tempio di Dio e ricostruirlo in tre giorni » (Mt 26, 61). Davanti a Cristo pendente dalla Croce alcuni schernitori fanno riferimento alla stessa parola, gridando: « Tu che distruggi il tempio e lo ricostruisci in tre giorni, salva te stesso! » (Mt 27, 40). La giusta versione della parola, come uscì dalla bocca di Gesù stesso, ce l’ha tramandata Giovanni nel suo racconto della purificazione del tempio. Di fronte alla richiesta di un segno con cui Gesù doveva legittimarsi per una tale azione, il Signore rispose: « Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere » (Gv 2, 18s). Giovanni aggiunge che, ripensando a quell’evento dopo la Risurrezione, i discepoli capirono che Gesù aveva parlato del Tempio del suo Corpo (cfr 2, 21s). Non è Gesù che distrugge il tempio; esso viene abbandonato alla distruzione dall’atteggiamento di coloro che, da luogo d’incontro di tutti i popoli con Dio, l’hanno trasformato in una « spelonca di ladri », in un luogo dei loro affari. Ma, come sempre a partire dalla caduta di Adamo, il fallimento degli uomini diventa l’occasione per un impegno ancora più grande dell’amore di Dio nei nostri confronti. L’ora del tempio di pietra, l’ora dei sacrifici di animali era superata: il fatto che ora il Signore scacci fuori i mercanti non solo impedisce un abuso, ma indica il nuovo agire di Dio. Si forma il nuovo Tempio: Gesù Cristo stesso, nel quale l’amore di Dio si china sugli uomini. Egli, nella sua vita, è il Tempio nuovo e vivente. Egli, che è passato attraverso la Croce ed è risorto, è lo spazio vivente di spirito e vita, nel quale si realizza la giusta adorazione. Così la purificazione del tempio, come culmine dell’ingresso solenne di Gesù in Gerusalemme, è insieme il segno della incombente rovina dell’edificio e della promessa del nuovo Tempio; promessa del regno della riconciliazione e dell’amore che, nella comunione con Cristo, viene instaurato oltre ogni frontiera. 

San Matteo, il cui Vangelo ascoltiamo in questo anno, riferisce alla fine del racconto della Domenica delle Palme, dopo la purificazione del tempio, ancora due piccoli avvenimenti che, di nuovo, hanno un carattere profetico e ancora una volta rendono a noi chiara la vera volontà di Gesù. Immediatamente dopo la parola di Gesù sulla casa di preghiera di tutti i popoli, l’evangelista continua così: « Gli si avvicinarono ciechi e storpi nel tempio ed Egli li guarì ». Inoltre, Matteo ci dice che dei fanciulli ripeterono nel tempio l’acclamazione che i pellegrini avevano fatto all’ingresso della città: « Osanna al figlio di Davide » (Mt 21, 14s). Al commercio di animali e agli affari col denaro Gesù contrappone la sua bontà risanatrice. Essa è la vera purificazione del tempio. Egli non viene come distruttore; non viene con la spada del rivoluzionario. Viene col dono della guarigione. Si dedica a coloro che a causa della loro infermità vengono spinti agli estremi della loro vita e al margine della società. Gesù mostra Dio come Colui che ama, e il suo potere come il potere dell’amore. E così dice a noi che cosa per sempre farà parte del giusto culto di Dio: il guarire, il servire, la bontà che risana. 

E ci sono poi i fanciulli che rendono omaggio a Gesù come figlio di Davide ed acclamano l’Osanna. Gesù aveva detto ai suoi discepoli che, per entrare nel Regno di Dio, avrebbero dovuto ridiventare come i bambini. Egli stesso, che abbraccia il mondo intero, si è fatto piccolo per venirci incontro, per avviarci verso Dio. Per riconoscere Dio dobbiamo abbandonare la superbia che ci abbaglia, che vuole spingerci lontani da Dio, come se Dio fosse nostro concorrente. Per incontrare Dio bisogna divenire capaci di vedere col cuore. Dobbiamo imparare a vedere con un cuore giovane, che non è ostacolato da pregiudizi e non è abbagliato da interessi. Così, nei piccoli che con un simile cuore libero ed aperto riconoscono Lui, la Chiesa ha visto l’immagine dei credenti di tutti i tempi, la propria immagine. 

Cari amici, in questa ora ci associamo alla processione dei giovani di allora – una processione che attraversa l’intera storia. Insieme ai giovani di tutto il mondo andiamo incontro a Gesù. Da Lui lasciamoci guidare verso Dio, per imparare da Dio stesso il retto modo di essere uomini. Con Lui ringraziamo Dio, perché con Gesù, il Figlio di Davide, ci ha donato uno spazio di pace e di riconciliazione che abbraccia il mondo. PreghiamoLo, affinché diventiamo anche noi con Lui e a partire da Lui messaggeri della sua pace, affinché in noi ed intorno a noi cresca il suo Regno. Amen. 

Publié dans:Papa Benedetto XVI, ZENITH |on 18 mars, 2008 |Pas de commentaires »
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