commento al vangelo di Giovanni 20, 19-31 – II domenica di Pasqua

dal sito:

http://www.sanpaolo.org/pj-online/RUBRICHE/solo-pan/Domeniche/anno%20A/A-02pasqua.htm 

commento al vangelo di Giovanni 20, 19-31 

Anno A
II Domenica di Pasqua – « in ALBIS« 
 

Vangelo di Giovanni 20, 19-31

 

Il Vangelo di questa seconda domenica di Pasqua (Gv 20,19-31) ci presenta la scena dell’apostolo Tommaso che incontra il Cristo Risorto. Tommaso chiede una « verifica » sperimentale della risurrezione, mentre il Cristo lo invita ad andare oltre i « segni » e ad essere credente. La risposta dell’incredulo Tommaso sarà proprio quella della fede, che sa leggere oltre la realtà concreta dei segni. La nuova beatitudine proclamata da Gesù fa risaltare la centralità della fede. Anche i « segni che Gesù ha compiuto hanno bisogno di questa lettura della fede, che sa discernere attraverso di essi chi è colui che li compie.  

Ma qual è stato il cammino di Tommaso? E che cosa ha da dirci la sua figura, per altro così « marginale » nel vangelo rispetto a quella di altri apostoli. 

 Tommaso, nel vangelo di Giovanni, ha anche un altro nome: « Didimo » (11,16), che in greco significa ‘gemello‘. I gemelli biblici, ad esempio Giacobbe ed Esaù, esprimono di solito un’antitesi, una polarità della condizione umana: natura e cultura, grossolanità ed astuzia, brama immediata e calcolo… Così è anche per Tommaso, combattuto tra la fede e il dubbio, tra l’audacia e la ritrosia. Ma di chi è gemello Tommaso, il cui fratello non è presentato nel vangelo? Tale silenzio sembra suggerire che Tommaso è il nostro « doppio », l’alter ego di noi cristiani che viviamo la tensione tra vedere e credere, tra scetticismo e adorazione.  

Sicuramente Tommaso ha compiuto un lungo cammino, che trova il suo momento « folgorante » proprio nel nostro brano del vangelo di Giovanni. Tommaso, come gli altri apostoli, è stato testimone delle opere che Gesù compie per rendere testimonianza al Padre (Gv 5,36), ma non si sottolinea nulla di particolare di lui: quasi un’immagine della « ordinarietà » del discepolo, di ogni discepolo, che in realtà…. compie un cammino straordinario, quello della fede.  

Qualcuno ho notato le somiglianze dell’episodio di Tommaso con quello della vocazione di Natanaele all’inizio del vangelo (1,43-51): entrambi conoscono il dubbio, ma anche il desiderio profondo che il dubbio sembra tradire, ed entrambi arrivano a una professione di fede (cfr. 1,49 e 20,28). Ma Natanaele ha difficoltà a credere perché Gesù è… troppo « umano », troppo concreto, mentre Tommaso per credere alla risurrezione ha bisogno proprio… dell’umanità di Gesù. Un magnifico modo del vangelo per esprimere come la fede è chiamata a cogliere l’umanità e la divinità di Gesù, senza perdere nessuna delle due.  

  

Il brano precedente al nostro, vede costituiti « testimoni » della risurrezione Pietro e il discepolo che Gesù amava, il quale « vide e credette » (20,8). Un’altra testimone sarà Maria di Magdala, a cui Gesù appare: sarà « l’apostola degli apostoli » (20,11-17). Infine Gesù appare ai discepoli riuniti (20,19-23), ma… quel « primo giorno dopo il sabato », Tommaso è assente. Vediamo qui chiaramente perché Tommaso è il nostro « gemello »: noi cristiani, come lui, non c’eravamo quel giorno in cui Gesù appare ai suoi! La nostra fede, come quella di Tommaso, è basata su una testimonianza, quella degli apostoli. Allora: come credere? La questione ci tocca tutti da vicino: è in gioco la base della vita cristiana.  

Significativamente, il discepolo che Gesù amava aveva trovato le bende, segno della « assenza » di Gesù. Il risultato: « vide e credette » (20,8). Tommaso, in questo più vicino al buon senso, chiede una « presenza »: vuole toccare, esplorare qualcosa di palpabile, con una esigenza di precisione « anatomica » (cfr. 20,25), a cui peraltro Gesù non si sottrae. Gesù lo invita a toccare, ma, sorprendentemente, l’evangelista non ci dice se Tommaso lo abbia fatto o meno. Riporta invece subito dopo, volutamente, la sua professione di fede, (20,28). Più che il toccare, a Gesù interessa che Tommaso abbia visto: « Perché mi hai visto hai creduto! » (20,29). In altre parole: la fede dipende dal vedere, non dal toccare il corpo del Risorto, come conferma la beatitudine che segue la confessione di fede di Tommaso (« beati quello che pur non avendo visto crederanno! »). E si intuisce che la fede nasce dall’incontro personale con Gesù Risorto, come è stato anche per Natanaele (1,45-51). È proprio il confronto tra questo spazio d’amore lasciato « aperto » da Gesù, che rispetta la libertà di ognuno, e il nostro dubbio che ci porta alla confessione di fede: « Signore mio e Dio mio! ». E che questa fede sia diventata ormai una fede personale è sottolineato da quel ‘mio’ che suggerisce una sfumatura di tenerezza. 

Da notare che Gesù è tornato « apposta » per Tommaso: « condiscende » a venire incontro al desiderio dell’apostolo ancora incredulo. Questo avrà colpito Tommaso: possiamo immaginare che vi abbia colto un segno dell’amore personale di Gesù per lui, proprio per lui che stentava a credere. È questa presenza di Cristo a dare « corpo » anche alla nostra fede. È l’incontro con il Risorto che diventa illuminante, per Tommaso e per noi. Una bella espressione di san Gregorio coglie il punto centrale del nostro brano, che è la fede, capace di penetrare la realtà profonda: « Ciò che Tommaso ha creduto non era quello che ha visto. Infatti la divinità non può essere vista dall’uomo mortale. Dunque egli ha visto l’uomo e ha riconosciuto Dio« .  

L’evangelista conclude poi che i segni riportati nel suo vangelo sono stati scritti proprio affinché anche noi possiamo credere che Gesù è il Cristo e così avere la vita nel suo nome (20,31). Dopo aver superato evidentemente i nostri dubbi e la nostra incredulità.

 

Publié dans : biblica, liturgia |le 29 mars, 2008 |Pas de Commentaires »

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