Archive pour le 29 mars, 2008

Le tre Marie al Sepolcro

Le tre Marie al Sepolcro dans immagini sacre
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commento al vangelo di Giovanni 20, 19-31 – II domenica di Pasqua

dal sito:

http://www.sanpaolo.org/pj-online/RUBRICHE/solo-pan/Domeniche/anno%20A/A-02pasqua.htm 

commento al vangelo di Giovanni 20, 19-31 

Anno A
II Domenica di Pasqua – « in ALBIS« 
 

Vangelo di Giovanni 20, 19-31

 

Il Vangelo di questa seconda domenica di Pasqua (Gv 20,19-31) ci presenta la scena dell’apostolo Tommaso che incontra il Cristo Risorto. Tommaso chiede una « verifica » sperimentale della risurrezione, mentre il Cristo lo invita ad andare oltre i « segni » e ad essere credente. La risposta dell’incredulo Tommaso sarà proprio quella della fede, che sa leggere oltre la realtà concreta dei segni. La nuova beatitudine proclamata da Gesù fa risaltare la centralità della fede. Anche i « segni che Gesù ha compiuto hanno bisogno di questa lettura della fede, che sa discernere attraverso di essi chi è colui che li compie.  

Ma qual è stato il cammino di Tommaso? E che cosa ha da dirci la sua figura, per altro così « marginale » nel vangelo rispetto a quella di altri apostoli. 

 Tommaso, nel vangelo di Giovanni, ha anche un altro nome: « Didimo » (11,16), che in greco significa ‘gemello‘. I gemelli biblici, ad esempio Giacobbe ed Esaù, esprimono di solito un’antitesi, una polarità della condizione umana: natura e cultura, grossolanità ed astuzia, brama immediata e calcolo… Così è anche per Tommaso, combattuto tra la fede e il dubbio, tra l’audacia e la ritrosia. Ma di chi è gemello Tommaso, il cui fratello non è presentato nel vangelo? Tale silenzio sembra suggerire che Tommaso è il nostro « doppio », l’alter ego di noi cristiani che viviamo la tensione tra vedere e credere, tra scetticismo e adorazione.  

Sicuramente Tommaso ha compiuto un lungo cammino, che trova il suo momento « folgorante » proprio nel nostro brano del vangelo di Giovanni. Tommaso, come gli altri apostoli, è stato testimone delle opere che Gesù compie per rendere testimonianza al Padre (Gv 5,36), ma non si sottolinea nulla di particolare di lui: quasi un’immagine della « ordinarietà » del discepolo, di ogni discepolo, che in realtà…. compie un cammino straordinario, quello della fede.  

Qualcuno ho notato le somiglianze dell’episodio di Tommaso con quello della vocazione di Natanaele all’inizio del vangelo (1,43-51): entrambi conoscono il dubbio, ma anche il desiderio profondo che il dubbio sembra tradire, ed entrambi arrivano a una professione di fede (cfr. 1,49 e 20,28). Ma Natanaele ha difficoltà a credere perché Gesù è… troppo « umano », troppo concreto, mentre Tommaso per credere alla risurrezione ha bisogno proprio… dell’umanità di Gesù. Un magnifico modo del vangelo per esprimere come la fede è chiamata a cogliere l’umanità e la divinità di Gesù, senza perdere nessuna delle due.  

  

Il brano precedente al nostro, vede costituiti « testimoni » della risurrezione Pietro e il discepolo che Gesù amava, il quale « vide e credette » (20,8). Un’altra testimone sarà Maria di Magdala, a cui Gesù appare: sarà « l’apostola degli apostoli » (20,11-17). Infine Gesù appare ai discepoli riuniti (20,19-23), ma… quel « primo giorno dopo il sabato », Tommaso è assente. Vediamo qui chiaramente perché Tommaso è il nostro « gemello »: noi cristiani, come lui, non c’eravamo quel giorno in cui Gesù appare ai suoi! La nostra fede, come quella di Tommaso, è basata su una testimonianza, quella degli apostoli. Allora: come credere? La questione ci tocca tutti da vicino: è in gioco la base della vita cristiana.  

Significativamente, il discepolo che Gesù amava aveva trovato le bende, segno della « assenza » di Gesù. Il risultato: « vide e credette » (20,8). Tommaso, in questo più vicino al buon senso, chiede una « presenza »: vuole toccare, esplorare qualcosa di palpabile, con una esigenza di precisione « anatomica » (cfr. 20,25), a cui peraltro Gesù non si sottrae. Gesù lo invita a toccare, ma, sorprendentemente, l’evangelista non ci dice se Tommaso lo abbia fatto o meno. Riporta invece subito dopo, volutamente, la sua professione di fede, (20,28). Più che il toccare, a Gesù interessa che Tommaso abbia visto: « Perché mi hai visto hai creduto! » (20,29). In altre parole: la fede dipende dal vedere, non dal toccare il corpo del Risorto, come conferma la beatitudine che segue la confessione di fede di Tommaso (« beati quello che pur non avendo visto crederanno! »). E si intuisce che la fede nasce dall’incontro personale con Gesù Risorto, come è stato anche per Natanaele (1,45-51). È proprio il confronto tra questo spazio d’amore lasciato « aperto » da Gesù, che rispetta la libertà di ognuno, e il nostro dubbio che ci porta alla confessione di fede: « Signore mio e Dio mio! ». E che questa fede sia diventata ormai una fede personale è sottolineato da quel ‘mio’ che suggerisce una sfumatura di tenerezza. 

Da notare che Gesù è tornato « apposta » per Tommaso: « condiscende » a venire incontro al desiderio dell’apostolo ancora incredulo. Questo avrà colpito Tommaso: possiamo immaginare che vi abbia colto un segno dell’amore personale di Gesù per lui, proprio per lui che stentava a credere. È questa presenza di Cristo a dare « corpo » anche alla nostra fede. È l’incontro con il Risorto che diventa illuminante, per Tommaso e per noi. Una bella espressione di san Gregorio coglie il punto centrale del nostro brano, che è la fede, capace di penetrare la realtà profonda: « Ciò che Tommaso ha creduto non era quello che ha visto. Infatti la divinità non può essere vista dall’uomo mortale. Dunque egli ha visto l’uomo e ha riconosciuto Dio« .  

L’evangelista conclude poi che i segni riportati nel suo vangelo sono stati scritti proprio affinché anche noi possiamo credere che Gesù è il Cristo e così avere la vita nel suo nome (20,31). Dopo aver superato evidentemente i nostri dubbi e la nostra incredulità.

 

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MONS. GIANFRANCO RAVASI: MADDALENA: GLI EQUIVOCI DA SFATARE

dal sito: 

http://www.novena.it/ravasi/2003/162003.htm

 

MONS. GIANFRANCO RAVASI 

 

MADDALENA: GLI  EQUIVOCI  DA SFATARE 

 

È una storia strana quella di Maria, la discepola di Gesù originaria di Magdala, un villaggio di pescatori sul lago di Tiberiade, centro commerciale ittico denominato in greco Tarichea, cioè “pesce salato”.
La sua figura fu, infatti, sottoposta a una serie di equivoci. Noi vorremmo partire proprio da quell’alba primaverile evocata da un brano del Vangelo di Giovanni che la liturgia di Pasqua ci propone, sia pure parzialmente (20,1-18). Maria è davanti al sepolcro ove poche ore prima era stato deposto il corpo esanime di Gesù. Paradossale è l’equivoco in cui cade la donna che scambia quel Gesù, ritornato a nuova vita e presente davanti a lei, col custode dell’area cimiteriale.

Come è potuto accadere questo inganno? La risposta è nella natura stessa dell’evento pasquale che incide nella storia, ma è al tempo stesso un atto soprannaturale, misterioso, trascendente.
Per “riconoscere” il Risorto non bastano gli occhi del volto e neppure aver camminato con lui e ascoltato i suoi discorsi sulle piazze palestinesi o cenato con lui.

È necessario uno sguardo profondo, un canale di conoscenza superiore. Infatti Maria “riconosce” Gesù quando la chiama per nome e gli occhi della sua anima si aprono ed esclama: «in ebraico Rabbuni, che significa: Maestro!» (20,16) e, così, riceve la missione di essere testimone della risurrezione: «Va’ dai miei fratelli e di’ loro: Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro. Maria di Magdala, allora, andò subito ad annunziare ai discepoli: Ho visto il Signore!, e anche ciò che le aveva detto» (20,17-18).

Maria di Magdala era entrata in scena nei Vangeli per la prima volta come una delle donne che assistevano Gesù e i suoi discepoli coi loro beni. In quell’occasione si era aggiunta una precisazione piuttosto forte: «da lei erano usciti sette demoni» (Luca 8,1-3).
Proprio su quest’ultima notizia si è consumato un altro equivoco.

Di per sé, l’espressione poteva indicare un gravissimo (il sette è il numero della pienezza) male fisico o morale che aveva colpito la donna e da cui Gesù l’aveva liberata. Ma la tradizione, ripetuta mille volte nella storia dell’arte e perdurante fama ai nostri giorni, ha fatto di Maria una prostituta e questo solo perché nella pagina evangelica precedente — il capitolo 7,36-50 di Luca — si narra la storia della conversione di un’anonima «peccatrice nota in quella (innominata) città», colei che aveva cosparso di olio profumato i piedi di Gesù, ospite in casa di un notabile fariseo, li aveva bagnati con le sue lacrime e li aveva asciugati coi suoi capelli.

Ora, questo stesso gesto verrà ripetuto nei confronti di Gesù da un’altra Maria, la sorella di Marta e Lazzaro (Giovanni 12,1-8). E, così, si consumerà un ulteriore equivoco per Maria di Magdala, confusa da alcune tradizioni popolari con Maria di Betania, dopo essere stata confusa con la prostituta di Galilea.
Ma non era ancora finita la deformazione del volto di questa donna.
Alcuni testi apocrifi cristiani composti in Egitto attorno al III secolo identificano Maria di Magdala persino con Maria, la madre di Gesù! E lentamente la sua trasformazione è tale che essa diventa un simbolo, ossia un’immagine della sapienza divina che esce dalla bocca di Cristo.

È per questo — e non per maliziose allusioni a cui saremmo tentati di credere a una lettura superficiale — che il Vangelo apocrifo di Filippo dice che Gesù «amava Maria più di tutti i discepoli e la baciava sulla bocca».
Nella Bibbia, infatti, si dice che «la Sapienza esce dalla bocca dell’Altissimo» (Siracide 24,3).

Strano destino quello di Maria di Magdala, abbassata a prostituta ed elevata a Sapienza divina! Per fortuna l’unico che la chiamò per nome e la riconobbe fu proprio Gesù, il suo Maestro, il Rabbunì, in quel mattino di Pasqua. 

Publié dans:biblica, CAR. GIANFRANCO RAVASI |on 29 mars, 2008 |Pas de commentaires »

buona notte

buona notte dans immagini buon...notte, giorno Chateau_de_Chaumont

Chateau_de_Chaumont

http://www.simonerossi.it/wallpaper_gratis/12/index.htm

« I suoi seguaci erano in lutto e in pianto… Disse loro: ‘Andate i tutto il mondo e predicate il Vangelo’ »

dal sito:

http://levangileauquotidien.org/

San Leone Magno ( ?-circa 461), papa e dottore della Chiesa
Disorso 58, 20° sulla Passione ; SC 74, 252

« I suoi seguaci erano in lutto e in pianto… Disse loro: ‘Andate i tutto il mondo e predicate il Vangelo’ »

Non siamo presi dallo spettacolo delle cose di questo mondo; i beni della terra non distolgano i nostri sguardi dal cielo. Riteniamo superato ciò che è quasi un nulla ormai; che il nostro spirito, attaccato a quel che deve rimanere, fissi il suo desiderio sulle promesse dell’eternità. Benché ancora solo « nella speranza, noi siamo stati salvati » (Rm 8,24), benché assumiamo ancora una carne soggetta alla corruzione a alla morte, possiamo proprio affermare tuttavia che viviamo fuori della carne, se sfuggiamo al potere delle sue passioni. No, non meritiamo più il nome di questa carne, dal momento che ne abbiamo fatto tacere i richiami.

Il popolo di Dio si accorga dunque che è « una creazione nuova in Cristo » (2 Cor 5,17). Capisca bene da chi è stato scelto e a chi sceglie di appartenere. Che l’uomo nuovo non ritorni nell’incostanza del suo stato antico. Che colui « che ha messo mano all’aratro » (Lc 9,62) non cessi di lavorare, che vegli sul grano che ha seminato, che non ritorni verso quello che ha lasciato. Che nessuno ricada nella decadenza dalla quale si era rialzato. E se, per la debolezza della carne, qualcuno giace ancora in una di queste malattie, prenda la ferma risoluzione di guarire e di rialzarsi. Tale è la via della salvezza; tale è il modo di imitare la risurrezione iniziata da Cristo… I nostri passi abbandonino le sabbie mobili per camminare sulla terra ferma, poiché sta scritto: « Il Signore fa sicuri i passi dell’uomo e segue con amore il suo cammino. Se cade, non rimane a terra, perché il Signore lo tiene per mano » (Sal 36,23).

Fratelli carissimi, tenete ben presenti in mente questi pensieri, non solo per la festa di Pasqua, ma anche per santificare tutta la vostra vita.

E’ tempo, anima mia

dal sito:

http://www.monasterovirtuale.it/elepreg.html 

 

E’ tempo, anima mia

 

 E’ tempo, anima mia, è già tempo 

 se vuoi conoscere te stessa, 

il tuo essere ed il tuo destino, 

donde vieni e dove è giusto che tu riposi, 

se vita è quella che vivi 

o se aspetti di meglio. 

Mettiti all’opera, anima mia, 

bisogna che tu purifichi la tua vita così: 

cerca Dio ed i suoi misteri, 

quel che c’era prima di questo universo 

e che cosa è quest’universo per te, 

donde viene e quale è il suo destino. 

Mettiti all’opera, anima mia, 

tempo è che tu purifichi la tua vita. 

Gregorio di Nazianzo, Poesie su se stesso, LXXVIII 

 

Publié dans:preghiere |on 29 mars, 2008 |Pas de commentaires »

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