LES PELERINS D’EMMAUS
Titre LES PELERINS D’EMMAUS Source représentation Nouveau Testament Période 1er quart 16e siècle Millésime 1509

Titre LES PELERINS D’EMMAUS Source représentation Nouveau Testament Période 1er quart 16e siècle Millésime 1509
dal sito:
http://www.cantalamessa.org/it/omelieView.php?id=42
Padre Raniero Cantalamessa (sulle apparizioni ai discepoli ed Emmaus)
II Domenica di Pasqua
C -15 aprile 2007
Atti 4, 32-35;
1 Giovanni 5, 1-6;
Giovanni 20,19-31
Il vangelo della Domenica in Albis narra le due apparizioni di Gesú risorto agli apostoli nel cenacolo. Nella prima di tali apparizioni Gesú dice agli apostoli: “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi. Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: Ricevete lo Spirito Santo”.
E il momento solenne dell’invio. Nel vangelo di Marco lo stesso invio è espresso con le parole: “Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura” (Mc 16,15). Il vangelo di Luca che ci accompagna in questo anno ha espresso questo movimento da Gerusalemme verso il mondo con l’episodio dei due discepoli che vanno da Gerusalemme ad Emmaus accompagnati dal Risorto che spiega loro le Scritture e spezza il pane per essi.
Emmaus è una delle poche località dei vangeli che non si è mai riusciti a identificare. Vi sono tre o quattro villaggi che rivendicano il titolo di essere l’antica Emmaus del vangelo. Forse anche questo particolare, come tutto l’episodio, ha valore simbolico. Emmaus è ormai ogni luogo; Gesú risorto accompagna i suoi discepoli per tutte le strade del mondo e in tutte le direzioni.
Il problema storico che vogliamo affrontare in quest’ultima conversazione della serie riguarda proprio l’invio in missione degli apostoli. Le domande che ci poniamo sono: ma Gesú ha veramente ordinato ai discepoli di andare in tutto il mondo? Ha pensato che dal suo messaggio dovesse nascere una comunità? che esso dovesse avere un seguito? che dovesse esserci una chiesa? Ci poniamo queste domande perché, come al solito, c’è chi da ad esse una risposta negativa, contraria ai dati storici.
Il fatto indiscutibile dell’elezione dei dodici apostoli indica che Gesú aveva l’intenzione di dare vita a una sua comunità e prevedeva che la sua vita e il suo insegnamento avrebbero avuto un seguito. Non si spiegano diversamente tutte quelle parabole, il cui nucleo originario contiene proprio la prospettiva di un allargamento alle genti. Si pensi alla parabola dei vignaioli omicidi, degli operai nella vigna, al detto sugli ultimi che saranno i primi, sui molti che “verranno dall’oriente e dall’occidente per sedersi a mensa con Abramo”, mentre altri ne saranno esclusi e innumerevoli altri detti…
Durante la sua vita Gesú non è uscito dalla terra d’Israele, eccetto qualche breve puntata nei territori pagani del Nord, ma questo si spiega con la sua convinzione di essere mandato anzitutto per Israele, per poi spingerlo, una volta convertito, ad accogliere nel suo seno tutte le genti, secondo le prospettive universalistiche annunciate dai profeti.
Un’affermazione spesso ripetuta è che nel passaggio da Gerusalemme a Roma il messaggio evangelico sia stato profondamente modificato. In altre parole, che tra il Cristo dei vangeli e quello predicato dalle diverse chiese cristiane non ci sia continuità, ma rottura.
Certo c’è tra le due cose una diversità. Ma questa si spiega. Se mettiamo a confronto la foto di un embrione nel seno materno con il bambino di dieci a trent’anni nato da esso si potrebbe concludere che si tratta di due realtà del tutto diverse; si sa invece che tutto quello che l’uomo è diventato era contenuto e programmato nell’embrione. Gesù stesso paragonava il regno dei cieli da lui predicato a un piccolo seme, ma diceva che esso era destinato a crescere e diventare albero grande sul quale sarebbero venuti a posarsi gli uccelli del cielo (Mt 13,32).
Anche se non sono le parole esatte da lui usate, è importante quello che Gesú dice nel vangelo di Giovanni: “Ho molte altre da dirvi, ma per ora non sareste in grado di portarne il peso (cioè di comprenderle); ma lo Spirito Santo vi insegnerà ogni cosa e vi condurrà alla verità tutt’intera”. Dunque Gesú prevedeva uno sviluppo della sua dottrina, guidato dallo Spirito Santo. Non per nulla nel vangelo odierno l’invio in missione è accompagnato dal dono dello Spirito Santo.
Ma è poi vero che il cristianesimo attuale nasce nel III secolo, con Costantino, come si insinua da qualche parte? Pochi anni dopo la morte di Gesú, troviamo già attestati gli elementi fondamentali della Chiesa: la celebrazione dell’Eucaristia, una festa di Pasqua con contenuto nuovo rispetto a quello dell’Esodo (“la nostra Pasqua”, come la chiama Paolo), il battesimo cristiano che prende presto il posto della circoncisione, il canone delle Scritture, che nel suo nucleo fondamentale risale ai primi decenni del II secolo, la domenica come nuovo giorno festivo che prende ben presto, per i cristiani, il posto del sabato ebraico. Anche la struttura gerarchica della Chiesa (vescovi, presbiteri e diaconi) è attestata da Ignazio d’Antiochia all’inizio del II secolo.
Non tutto certo nella Chiesa si può far risalire a Gesú. Ci sono tante cose in essa che sono prodotto umano della storia e anche del peccato degli uomini di cui deve periodicamente liberarsi, e non finisce mai di farlo…Ma per le cose essenziali la fede della Chiesa ha tutto il diritto di reclamarsi storicamente a Cristo.
Abbiamo iniziato la serie di commenti ai vangeli quaresimali mossi dallo stesso intento dichiarato da Luca all’inizio del suo vangelo: “Perché ci si renda conto della solidità degli insegnamenti ricevuti”. Giunti alla conclusione del ciclo, non mi resta che sperare di avere, in qualche misura, ottenuto lo stesso scopo, anche se giova ripeterlo: al Gesú vivo e vero non si giunge, recto tramite, dalla storia, ma attraverso il salto della fede. La storia può però mostrare che non è insensato spiccare quel salto.
15/04/2007, dal sito:
http://www.zenit.org/article-9141?l=italian
Benedetto XVI riflette sul significato della Pasqua
CITTA’ DEL VATICANO, domenica, 15 aprile 2007 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il testo della meditazione pronunciata da Benedetto XVI in occasione dell’Udienza Generale tenutasi l’11 aprile scorso in piazza San Pietro e incentrata sul significato della Pasqua.
Cari fratelli e sorelle!
Ci ritroviamo quest’oggi, dopo le solenni celebrazioni della Pasqua per il consueto incontro del mercoledì, ed è mio desiderio anzitutto rinnovare a ciascuno di voi i più fervidi voti augurali. Vi ringrazio per la vostra presenza così numerosa e ringrazio il Signore per il bel sole che oggi ci dà. Nella Veglia pasquale è risuonato questo annuncio: « Il Signore è davvero risorto, alleluia! ». Ora è Lui stesso a parlarci: « Non morirò – proclama – resterò in vita ». Ai peccatori dice: « Ricevete la remissione dei peccati. Sono io, infatti, la vostra remissione ». A tutti infine ripete: « Sono io la Pasqua della salvezza, l’Agnello immolato per voi, io il vostro riscatto, io la vostra vita, io la vostra risurrezione, io la vostra luce, io la vostra salvezza, io il vostro re. Io vi mostrerò il Padre ». Così si esprime uno scrittore del II secolo, Melitone di Sardi, interpretando con realismo le parole e il pensiero del Risorto (Sulla Pasqua, 102-103).
In questi giorni, la liturgia ricorda diversi incontri che Gesù ebbe dopo la sua risurrezione: con Maria Maddalena e le altre donne andate al sepolcro di buon mattino, il giorno dopo il sabato; con gli Apostoli riuniti increduli nel Cenacolo; con Tommaso e altri discepoli. Queste diverse sue apparizioni costituiscono anche per noi un invito ad approfondire il fondamentale messaggio della Pasqua; ci stimolano a ripercorrere l’itinerario spirituale di quanti hanno incontrato Cristo e lo hanno riconosciuto in quei primi giorni dopo gli eventi pasquali.
L’evangelista Giovanni narra che Pietro e lui stesso, udita la notizia data da Maria Maddalena, erano corsi, quasi a gara, verso il sepolcro (cfr Gv 20, 3s). I Padri della Chiesa hanno visto in questo loro rapido affrettarsi verso la tomba vuota un’esortazione a quell’unica competizione legittima tra credenti: la gara nella ricerca di Cristo. E che dire di Maria Maddalena? Piangente resta accanto alla tomba vuota con l’unico desiderio di sapere dove abbiano portato il suo Maestro. Lo ritrova e lo riconosce quando viene da Lui chiamata per nome (cfr Gv 20,11-18). Anche noi, se cerchiamo il Signore con animo semplice e sincero, lo incontreremo, anzi sarà Lui stesso a venirci incontro; si farà riconoscere, ci chiamerà per nome, ci farà cioè entrare nell’intimità del suo amore.
Quest’oggi, Mercoledì fra l’Ottava di Pasqua, la liturgia ci fa meditare su un altro singolare incontro del Risorto, quello con i due discepoli di Emmaus (cfr Lc 24,13-35). Mentre sconsolati per la morte del loro Maestro ritornavano a casa, il Signore si fece loro compagno di cammino senza che essi lo riconoscessero. Le sue parole, a commento delle Scritture che lo riguardavano, resero ardenti i cuori dei due discepoli che, giunti a destinazione, gli chiesero di restare con loro. Quando, alla fine, Egli « prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro »(v. 30), i loro occhi si aprirono. Ma in quello stesso istante Gesù si sottrasse alla loro vista. Lo riconobbero dunque quando Egli scomparve. Commentando questo episodio evangelico, sant’Agostino osserva: « Gesù spezza il pane, lo riconoscono. Allora noi non diciamo più che non conosciamo il Cristo! Se crediamo, lo conosciamo! Anzi, se crediamo, lo abbiamo! Avevano il Cristo alla loro tavola, noi lo abbiamo nella nostra anima! ». E conclude: « Avere Cristo nel proprio cuore è molto di più che averlo nella propria dimora: Infatti il nostro cuore è più intimo a noi che la nostra casa » (Discorso 232,VII,7). Cerchiamo realmente di portare Gesù nel cuore.
Nel prologo degli Atti degli Apostoli, san Luca afferma che il Signore risorto « si mostrò (agli apostoli) vivo, dopo la sua passione, con molte prove, apparendo loro per quaranta giorni » (1, 3). Occorre capire bene: quando l’autore sacro dice che « si mostrò vivo » non vuole dire che Gesù fece ritorno alla vita di prima, come Lazzaro. La Pasqua che noi celebriamo, osserva san Bernardo, significa « passaggio » e non « ritorno », perché Gesù non è tornato nella situazione precedente, ma « ha varcato una frontiera verso una condizione più gloriosa », nuova e definitiva. Per questo, egli aggiunge, « ora, il Cristo è veramente passato a una vita nuova » (cfr Discorso sulla Pasqua).
A Maria Maddalena il Signore aveva detto: « Non trattenermi, perché non sono ancora salito al Padre » (Gv 20,17). Un’espressione che ci sorprende, soprattutto se confrontata con quanto invece avviene con l’incredulo Tommaso. Lì, nel Cenacolo, fu il Risorto stesso a presentare le mani e il costato all’Apostolo perché li toccasse e da questo traesse la certezza che era proprio Lui (cfr Gv 20,27). In realtà, i due episodi non sono in contrasto; al contrario, l’uno aiuta a comprendere l’altro. Maria Maddalena vorrebbe riavere il suo Maestro come prima, ritenendo la croce un drammatico ricordo da dimenticare. Ormai però non c’è più posto per un rapporto con il Risorto che sia meramente umano. Per incontrarlo non bisogna tornare indietro, ma porsi in modo nuovo in relazione con Lui: bisogna andare avanti! Lo sottolinea san Bernardo: Gesù « ci invita tutti a questa vita nuova, a questo passaggio… Noi non vedremo il Cristo voltandoci indietro » (Discorso sulla Pasqua). E’ ciò che è avvenuto con Tommaso. Gesù gli mostra le sue ferite non per dimenticare la croce, ma per renderla anche nel futuro indimenticabile.
E’ verso il futuro, infatti, che lo sguardo è ormai proiettato. Compito del discepolo è di testimoniare la morte e la risurrezione del suo Maestro e la sua vita nuova. Per questo Gesù invita l’incredulo suo amico a « toccarlo »: lo vuole rendere testimone diretto della sua risurrezione. Cari fratelli e sorelle, anche noi, come Maria Maddalena, Tommaso e gli altri apostoli, siamo chiamati ad essere testimoni della morte e risurrezione di Cristo. Non possiamo conservare per noi la grande notizia. Dobbiamo recarla al mondo intero: « Abbiamo visto il Signore! » (Gv 20,25). Ci aiuti la Vergine Maria a gustare pienamente la gioia pasquale, perché, sostenuti dalla forza dello Spirito Santo, diventiamo capaci di diffonderla a nostra volta dovunque viviamo ed operiamo. Ancora una volta, Buona Pasqua a tutti voi!
[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]
Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i sacerdoti di Bergamo, i diaconi della Compagnia di Gesù e i Seminaristi di Catania. Su ognuno di voi, cari amici, invoco una copiosa effusione di doni celesti, a conferma dei vostri generosi propositi di amore a Cristo e alla Chiesa. Saluto poi, i fedeli delle Diocesi della Basilicata, qui convenuti in occasione della visita ad limina dei loro Vescovi.
Cari fratelli e sorelle, esorto voi tutti a tenere sempre salda la vostra vita sulla roccia dell’indefettibile Parola di Dio, per esserne fedeli annunciatori agli uomini del nostro tempo. Le feste pasquali, che abbiamo solennemente celebrato, vi siano di stimolo ad aderire sempre più al Signore crocifisso e risorto e vi spingano a partecipare con generosità alla missione delle vostre rispettive comunità cristiane.
Il mio pensiero va infine ai malati, agli sposi novelli e ai giovani, specialmente ai numerosi adolescenti, provenienti dall’arcidiocesi di Milano. Cari giovani amici anche, a voi, come ai primi discepoli, Cristo risorto ripete: « Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi… Ricevete lo Spirito Santo » (Gv 20,21-22).
Rispondetegli con gioia e con amore, grati per l’immenso dono della fede, e sarete ovunque autentici testimoni della sua gioia e della sua pace. Per voi, cari malati, la risurrezione di Cristo sia fonte inesauribile di conforto e di speranza. E voi, cari sposi novelli, rendete operante la presenza del Risorto nella vostra famiglia con la quotidiana preghiera, che alimenti il vostro amore coniugale.
du site:
http://levangileauquotidien.org/
San Jose-Maria Escriva di Balaguer (1902-1975), sacerdote, fondatore
Omelia in Amigos de Dios
« Resta con noi »
I due discepoli si recavano a Èmmaus. Il loro passo era normale, come quello di tanti altri che passavano in quei paraggi. E lì, con naturalezza, Gesù appare loro e cammina con loro, iniziando una conversazione che fa loro dimenticare la fatica… Gesù sul cammino. Signore, sei sempre grande! Ma mi commuovi quando accondiscendi a seguirci, a cercarci nel nostro viavai quotidiano. Signore, concedici la semplicità di spirito; dacci uno sguardo puro, un’intelligenza limpida per poter capirti quando vieni senza nessun segno esteriore della tua gloria.
Arrivati al villaggio, finito il percorso, i due discepoli che, senza accorgersene sono stati trafitti nel più profondo del loro cuore dalla parola e dall’amore di Dio fatto uomo, rimpiangono che egli debba andare. Infatti Gesù prende congedo da loro, facendo « come se dovesse andare più lontano ». Il nostro Signore non si impone mai. Una volta che abbiamo intravvisto la purezza dell’amore che ha messo nel nostro animo, egli vuole che lo chiamiamo liberamente. Dobbiamo trattenerlo a forza e pregarlo: « Resta con noi, perché si fa sera e il giorno già volge al declino ».
Noi siamo così: sempre poco audaci, forse per mancanza di sincerità, o per pudore. Pensiamo in fondo: Resta con noi, perché le tenebre avvolgono la nostra anima, e tu solo sei la luce, tu solo puoi placare questa sete che ci consuma… E Gesù resta con noi. I nostri occhi si aprono come quelli di Clèopa e del suo compagno, quando Cristo spezzò il pane; e benché egli scomparisse di nuovo ai nostri occhi, anche noi saremo capaci di rimetterci in cammino – si fa notte – per parlare di lui agli altri, perché tanta gioia non può essere contenuta in un solo cuore.
Cammino di Èmmaus. Il nostro Dio ha riempito questo nome di dolcezza. E Èmmaus, è il mondo intero, perché il Signore ha aperto i cammini divini della terra.