vangelo di oggi: Gv 8, 1-11 La donna sorpresa in adulterio

dal sito:
http://www.vatican.va/spirit/documents/spirit_20010414_omelia-sabato-santo_it.html
La discesa agli inferi del Signore
« Che cosa è avvenuto? Oggi sulla terra c’è grande silenzio, grande silenzio e solitudine. Grande silenzio perché il Re dorme: la terra è rimasta sbigottita e tace perché il Dio fatto carne si è addormentato e ha svegliato coloro che da secoli dormivano. Dio è morto nella carne ed è sceso a scuotere il regno degli inferi.
Certo egli va a cercare il primo padre, come la pecorella smarrita. Egli vuole scendere a visitare quelli che siedono nelle tenebre e nell’ombra di morte. Dio e il Figlio suo vanno a liberare dalle sofferenze Adamo ed Eva che si trovano in prigione.
Il Signore entrò da loro portando le armi vittoriose della croce. Appena Adamo, il progenitore, lo vide, percuotendosi il petto per la meraviglia, gridò a tutti e disse: « Sia con tutti il mio Signore ». E Cristo rispondendo disse ad Adamo: « E con il tuo spirito ». E, presolo per mano, lo scosse, dicendo: « Svegliati, tu che dormi, e risorgi dai morti, e Cristo ti illuminerà.
Io sono il tuo Dio, che per te sono diventato tuo figlio; che per te e per questi, che da te hanno avuto origine, ora parlo e nella mia potenza ordino a coloro che erano in carcere: Uscite! A coloro che erano nelle tenebre: Siate illuminati! A coloro che erano morti: Risorgete! A te comando: Svegliati, tu che dormi! Infatti non ti ho creato perché rimanessi prigioniero nell’inferno. Risorgi dai morti. Io sono la vita dei morti. Risorgi, opera delle mie mani! Risorgi mia effige, fatta a mia immagine! Risorgi, usciamo di qui! Tu in me e io in te siamo infatti un’unica e indivisa natura.
Per te io, tuo Dio, mi sono fatto tuo figlio. Per te io, il Signore, ho rivestito la tua natura di servo. Per te, io che sto al di sopra dei cieli, sono venuto sulla terra e al di sotto della terra. Per te uomo ho condiviso la debolezza umana, ma poi son diventato libero tra i morti. Per te, che sei uscito dal giardino del paradiso terrestre, sono stato tradito in un giardino e dato in mano ai Giudei, e in un giardino sono stato messo in croce. Guarda sulla mia faccia gli sputi che io ricevetti per te, per poterti restituire a quel primo soffio vitale. Guarda sulle mie guance gli schiaffi, sopportati per rifare a mia immagine la tua bellezza perduta.
Guarda sul mio dorso la flagellazione subita per liberare le tue spalle dal peso dei tuoi peccati. Guarda le mie mani inchiodate al legno per te, che un tempo avevi malamente allungato la tua mano all’albero. Morii sulla croce e la lancia penetrò nel mio costato, per te che ti addormentasti nel paradiso e facesti uscire Eva dal tuo fianco. Il mio costato sanò il dolore del tuo fianco. Il mio sonno ti libererà dal sonno dell’inferno. La mia lancia trattenne la lancia che si era rivolta contro di te.
Sorgi, allontaniamoci di qui. Il nemico ti fece uscire dalla terra del paradiso. Io invece non ti rimetto più in quel giardino, ma ti colloco sul trono celeste. Ti fu proibito di toccare la pianta simbolica della vita, ma io, che sono la vita, ti comunico quello che sono. Ho posto dei cherubini che come servi ti custodissero. Ora faccio sì che i cherubini ti adorino quasi come Dio, anche se non sei Dio.
Il trono celeste è pronto, pronti e agli ordini sono i portatori, la sala è allestita, la mensa apparecchiata, l’eterna dimora è addobbata, i forzieri aperti. In altre parole, è preparato per te dai secoli eterni il regno dei cieli ».«
Da un’antica « Omelia sul Sabato santo ». (PG 43, 439. 451. 462-463)
Proponiamo un articolo di Pietro Citati, scrittore e critico letterario, che – seppure in qualche affermazione ci appare non condivisibile – riteniamo di grande bellezza e profondità, anche perchè ha qualcosa da dirci di concreto per la nostra fede, quando afferma la centralità della Scrittura nella vita della Chiesa e l’amore a grandi testimoni della fede – come San Paolo –, giustamente definito “intransigente”. Un tipo di intransigenza che ci sembra l’unica possibile nell’esperienza e nella testimonianza cristiana, e anzi ne rappresenta il cuore e la vitalità, alla luce delle parole di Paolo: “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” e ancora “la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio”. Nel guardare al Cristianesimo nella sua forma originaria ed essenziale, Citati ha denunciato qualche anno fa che “la riduzione della religione a etica è una vera catastrofe” e che “il cristianesimo è un avvenimento religioso, ma questa cosa oggi non la dice quasi più nessuno”.
L’articolo è tratto da “la Repubblica” dell’11 aprile 2007.
26/11/2007
Non so se qualcuno ricordi la condizione delle culture religiose, in Italia, durante gli anni tra il 1930 e il 1950. Nelle scuole elementari, il Catechismo: strumento efferato, che mi ha fatto odiare il cattolicesimo fino ai venticinque anni, quando ho letto san Paolo e sono stato conquistato e sconvolto, come non mi è mai più accaduto nella vita. E l´ora di religione: tenuta nell´ultima ora del sabato (sebbene studiassi in un istituto di Gesuiti), nella noia, nella disattenzione e nell´inquietudine dei ragazzi, che sognavano le gioie dei prossimi giorni di vacanza. Sulle cattedre stava di solito un sacerdote poco colto mentre l´insegnamento della religione cristiana deve essere uno dei fondamentali dei programmi scolastici, specialmente nei licei.
Le chiese erano piene la domenica e nei giorni feriali: fioriva l´istituto del matrimonio: i seminari erano gremiti di giovani, che sarebbero diventati sacerdoti e talvolta missionari; molte famiglie conoscevano una devozione che impregnava ogni attimo della vita. C´era il digiuno del venerdì e della settimana santa: istituzione a cui sono favorevolissimo. C´era l´abitudine della confessione: altro rito eccellente, purché il confessore conosca quella sottilissima scienza dell´anima, superiore a qualsiasi dottrina psicanalitica, che la tradizione cristiana possiede.
Nella mia scuola, ascoltavo la messa ogni mattina: facevo la comunione due volte la settimana: durante la quaresima, si svolgevano lunghi ritiri ed esercizi spirituali; e, nel mese di maggio, se un bambino o un ragazzo compiva opere buone, disponeva una collana di fioretti cartacei attorno al collo o ai piedi di una statua della Madonna. C´erano vespri, messe cantate, processioni, vie crucis, benedizioni, canti, riti d´ogni specie, ai quali un intero popolo partecipava.
Tra questi cristiani devoti, chi leggeva veramente i Vangeli, con la preparazione che quei testi semplici e difficilissimi esigono da ciascuno di noi? Chi leggeva libri su Gesù e le origini cristiane? Non esistevano buone edizioni commentate dell´Antico e del Nuovo Testamento. Le case editrici cattoliche pubblicavano pessime edizioni di santa Teresa o di san Francesco di Sales, tradotti in un italiano inesistente; o mediocri libri di devozione.
Quanto alle case editrici « laiche », stampavano pochissimi testi religiosi, poiché, come mi disse ancora nel 1965 il dirigente di una grande casa editrice, i libri di religione non si vendono. Negli studi sulle origini cristiane, famosissimi studiosi avvicinavano il Cristianesimo alle «religioni dei misteri» e Gesù alla figura greco-ellenistica del dio che muore e rinasce. Qualche modesto studioso cattolico sosteneva che tutto ciò era falso, e che il cristianesimo si era nutrito di idee e immagini ebraiche. Aveva perfettamente ragione: segno che alle volte la Provvidenza ama lasciare segni nella storia, affidando la verità agli indotti o ai poco dotti.
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Intanto, negli anni tra il 1930 e il 1960, un gruppo di teologi e storici da Hans Urs von Balthasar a Henri Bremond e Jean Daniélou a Hugo Rahner a Henri de Lubac a Antonio Orbe a Irénée Hausherr, promuoveva una grande rivoluzione silenziosa, che trasformò completamente il volto della religionecristiana.
Nell´ultimo secolo e mezzo, questo volto era stato ridotto, limitato, immiserito. Geniali padri della Chiesa, meravigliosi scrittori mistici erano stati gettati ai margini del mondo cristiano, accusati di eresiao di semieresia, o almeno guardati con sospetto o disprezzo.
Quei teologi e quegli storici studiarono appassionatamente i Padri della Chiesa: riscoprirono la grandezza di Origene, e di una moltitudine di scrittori bizantini, siriaci, armeni e latini, dimostrando che né la gnosi (almeno agli inizi) né il nestorianesimo erano stati fenomeni eretici. Gregorio di Nissa, Dionigi Areopagita, Isacco di Ninive, Giovanni Scoto, Ildegarda di Bingen, Riccardo di san Vittore, Angela di Foligno, Gregorio Palamas riapparvero nella loro ricchezza. Il platonismo cristiano riassunse il luogo che gli spettava. Così quando guardiamo indietro, verso il passato che ci ha nutriti, non vediamo più un tronco potatissimo, obbediente a una rigida ortodossia: ma un immenso fiume religioso, pieno di variazioni, di interpretazioni, di discordanze, persino di antitesi e di opposizioni.
Oggi, almeno in Italia, viviamo in una condizione esattamente opposta a quella degli anni dal 1930 al 1950. Con gioia degli editori, i libri religiosi si vendono benissimo. Ci sono molte Bibbie commentate: non tutte eccelse. Decine di case editrici (vorrei ricordare almeno Paideia e Qiqajon) traducono testi cristiani antichi e medioevali, cercando di compiere in Italia, sia pure in modo meno sistematico, ciò che fece in Francia la bellissima collana, oggi purtroppo esausta, delle Sources Chrétiennes: pubblicano lessici teologici e dizionari esegetici del Nuovo Testamento: e studi sulla Bibbia, l´ebraismo, i Vangeli, san Paolo, la tradizione cattolica. Non esiste quasi studio importante, inglese o francese o tedesco, o spagnolo, che non venga tradotto in italiano.
A questo fervore editoriale corrisponde il fervore dei lettori.
Una notevole minoranza di italiani legge, di preferenza, libri di argomento religioso: anche, come ègiusto, buddhisti o induisti o taoisti o islamici.
Alcuni obiettano che si tratta di un entusiasmo frivolo ed empio: si pensa ai Vangeli come se fossero stati scritti da Dan Brown. L´obiezione è completamente falsa: gli uomini hanno sempre amato con perversa delizia le storie di misteri e di complotti, specialmente se esoterici. Dan Brown non è uno scrittore peggiore di Eugène Sue, il romanziere francese più venduto nel diciannovesimo secolo, colle sue storie di «Misteri».
I testi di cui parlo vengono letti soltanto per un autentico desiderio di conoscenza religiosa.
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Molti mostrano le chiese semivuote, le vocazioni religiose diminuite; e sostengono che la fede non è fatta di libri. Ma i libri (come Ermanno Olmi sa benissimo) concentrano in sé tutto ciò che la vita umana ha di più prezioso: i sentimenti, la tenerezza, le amicizie, gli amori, le passioni per questo e l´altro mondo, le rivelazioni, l´attività instancabile della mente, il pensiero metafisico (senza il quale la letteratura impoverisce), Dio conosciuto ed inconoscibile, il brusio delle ali degli angeli, l´eterno femminino, la confessione, la preghiera; e, certo, gli abissi del male e della disperazione. E la religione, in Italia, non vive soltanto nei libri. Nessuno ha ancora raccontato l´opera vastissima e capillare delle molte comunità, che formano il cosiddetto laicato cattolico; e l´opera dei missionari, che sostiene la vita quotidiana di molti paesi africani.
Qualcuno afferma che i lettori di libri sono una piccola minoranza, e che, oggi, la società italiana è decristianizzata. Credo che sia una parola del tutto impropria. Il cristianesimo è sempre stata una religione di minoranze. Quanti erano i cristiani al tempo di san Paolo, o di Origene, o di sant´Agostino?
Nulla ha nuociuto al cristianesimo (dico cose ovvie) come la tendenza a diventare istituzione, società, partito, stato, crociata, persecuzione di eretici. La condizione di minoranza è favorevole al cristianesimo: purché questa minoranza conosca i Vangeli, san Paolo, Pascal, e sappia irradiare il mondo con la luce delle loro parole. Così credo che la descrizione della civiltà italiana, cara a una parte della gerarchia ecclesiastica, sia sbagliata. Oggi il cattolicesimo non è una cittadella esausta, gettata in un angolo, perseguitata, ignorata, dimenticata, disprezzata, che deve rinchiudersi in sé stessa e difendersi. E tantomeno ha bisogno di piegarsi, impallidire, rinunciare alla propria storia, diventando una specie di morale pratica, utile alla società e agli stati. Il cristianesimo deve restare ciò che è sempre stato nei suoi periodi gloriosi: vastissimo, molteplice, duro e inflessibile, come erano san Paolo e Pascal.
Mentre la società italiana non è affatto decristianizzata, la creatività religiosa delle istituzioni cattoliche è debole: la teologia povera; le ricerche religiose affievolite; nei seminari (così mi ha detto un cardinale amabilissimo) lo studio dei Padri della Chiesa è ridotto ad un´ora la settimana. E poi, perché tanti teologi e studiosi cattolici scrivono così male? Lo stile non è un ornamento, ma il segno. Il cristianesimo è stato per secoli, il fondamento della letteratura: Origene, Basilio, Agostino, Giovanni Scoto, san Bernardo, santa Teresa hanno attinto allo stesso tesoro di immagini biblico-evangeliche, che formava il cuore del loro cuore, variandolo e intrecciandolo all´infinito. Goethe, Baudelaire, Proust e persino Leopardi grondano di allusioni evangeliche, e questo antico sapore cristiano allarga il nostro respiro. Sembra che questa tradizione vivente sia, oggi, esausta.
Spesso i teologi cattolici vogliono essere alla moda. Qualcuno scrive in heideggeriano-lacanianodeleuziano; e l´adozione di questo penoso gergo, cosiddetto «moderno», stringe il cuore come davanti a una decadenza insostenibile.
09/03/2008, dal sito:
http://www.zenit.org/article-13759?l=italian
Udienza del Papa alla Plenaria del Pontificio Consiglio della Cultura
ROMA, domenica, 9 marzo 2008 (ZENIT.org).- Riportiamo il discorso pronunciato da Benedetto XVI questo sabato ricevendo in udienza i partecipanti all’Assemblea Plenaria del Pontificio Consiglio della Cultura, svoltasi dal 6 all’8 marzo.
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Signori Cardinali,
cari Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
gentili Signore, illustri Signori!
Sono lieto di accogliervi, in occasione dell’Assemblea Plenaria del Pontificio Consiglio della Cultura, congratulandomi per il lavoro che svolgete e, in particolare, per il tema scelto per questa Sessione: « La Chiesa e la sfida della secolarizzazione ». È questa una questione fondamentale per il futuro dell’umanità e della Chiesa. La secolarizzazione, che spesso si muta in secolarismo abbandonando l’accezione positiva di secolarità, mette a dura prova la vita cristiana dei fedeli e dei pastori, e voi l’avete, durante i vostri lavori, interpretata e trasformata anche in una sfida provvidenziale così da proporre risposte convincenti ai quesiti e alle speranze dell’uomo, nostro contemporaneo.
Ringrazio l’Arcivescovo Mons. Gianfranco Ravasi, da pochi mesi Presidente del Dicastero, per le cordiali parole con le quali si è fatto vostro interprete e ha illustrato la scansione dei vostri lavori. Sono grato anche a voi tutti per l’impegno profuso nel far sì che la Chiesa si ponga in dialogo con i movimenti culturali di questo nostro tempo, e sia così conosciuto sempre più capillarmente l’interesse che la Santa Sede nutre per il vasto e variegato mondo della cultura. Oggi più che mai, infatti, la reciproca apertura tra le culture è un terreno privilegiato per il dialogo tra uomini e donne impegnati nella ricerca di un autentico umanesimo, aldilà delle divergenze che li separano. La secolarizzazione, che si presenta nelle culture come impostazione del mondo e dell’umanità senza riferimento alla Trascendenza, invade ogni aspetto della vita quotidiana e sviluppa una mentalità in cui Dio è di fatto assente, in tutto o in parte, dall’esistenza e dalla coscienza umana. Questa secolarizzazione non è soltanto una minaccia esterna per i credenti, ma si manifesta già da tempo in seno alla Chiesa stessa. Snatura dall’interno e in profondità la fede cristiana e, di conseguenza, lo stile di vita e il comportamento quotidiano dei credenti. Essi vivono nel mondo e sono spesso segnati, se non condizionati, dalla cultura dell’immagine che impone modelli e impulsi contraddittori, nella negazione pratica di Dio: non c’è più bisogno di Dio, di pensare a Lui e di ritornare a Lui. Inoltre, la mentalità edonistica e consumistica predominante favorisce, nei fedeli come nei pastori, una deriva verso la superficialità e un egocentrismo che nuoce alla vita ecclesiale.
La « morte di Dio » annunciata, nei decenni passati, da tanti intellettuali cede il posto ad uno sterile culto dell’individuo. In questo contesto culturale, c’è il rischio di cadere in un’atrofia spirituale e in un vuoto del cuore, caratterizzati talvolta da forme surrogate di appartenenza religiosa e di vago spiritualismo. Si rivela quanto mai urgente reagire a simile deriva mediante il richiamo dei valori alti dell’esistenza, che danno senso alla vita e possono appagare l’inquietudine del cuore umano alla ricerca della felicità: la dignità della persona umana e la sua libertà, l’uguaglianza tra tutti gli uomini, il senso della vita e della morte e di ciò che ci attende dopo la conclusione dell’esistenza terrena. In questa prospettiva il mio predecessore, il Servo di Dio Giovanni Paolo II, consapevole dei cambiamenti radicali e rapidi delle società, con insistenza richiamò l’urgenza di incontrare l’uomo sul terreno della cultura per trasmettergli il Messaggio evangelico. Proprio per questo istituì il Pontificio Consiglio della Cultura, per dare un nuovo impulso all’azione della Chiesa nel fare incontrare il Vangelo con la pluralità delle culture nelle varie parti del mondo (cfr Lettera al Card. Casaroli, in: AAS LXXIV, 6, pp. 683-688). La sensibilità intellettuale e la carità pastorale del Papa Giovanni Paolo II lo spinsero a mettere in risalto il fatto che la rivoluzione industriale e le scoperte scientifiche hanno permesso di rispondere a domande che prima erano parzialmente soddisfatte solo dalla religione. La conseguenza è stata che l’uomo contemporaneo ha spesso l’impressione di non aver più bisogno di nessuno per comprendere, spiegare e dominare l’universo; si sente il centro di tutto, la misura di tutto.
Più recentemente la globalizzazione, per mezzo delle nuove tecnologie dell’informazione, ha avuto non di rado come esito anche la diffusione in tutte le culture di molte componenti materialistiche e individualistiche dell’Occidente. Sempre più la formula « Etsi Deus non daretur » diventa un modo di vivere che trae origine da una specie di « superbia » della ragione – realtà pur creata e amata da Dio – la quale si ritiene sufficiente a se stessa e si chiude alla contemplazione e alla ricerca di una Verità che la supera. La luce della ragione, esaltata, ma in realtà impoverita, dall’Illuminismo, si sostituisce radicalmente alla luce della fede, alla luce di Dio (cfr Benedetto XVI, Allocuzione per l’incontro con l’Università di Roma « La Sapienza », 17 gennaio 2008). Grandi, perciò, sono le sfide con le quali la missione delle Chiesa deve confrontarsi in questo ambito. Quanto mai importante si rivela perciò l’impegno del Pontificio Consiglio della Cultura per un dialogo fecondo tra scienza e fede. È un confronto tanto atteso dalla Chiesa, ma anche dalla comunità scientifica, e vi incoraggio a proseguirlo. In esso la fede suppone la ragione e la perfeziona, e la ragione, illuminata dalla fede, trova la forza per elevarsi alla conoscenza di Dio e delle realtà spirituali. In questo senso la secolarizzazione non favorisce lo scopo ultimo della scienza che è al servizio dell’uomo, « imago Dei« . Questo dialogo continui nella distinzione delle caratteristiche specifiche della scienza e della fede. Infatti, ognuna ha propri metodi, ambiti, oggetti di ricerca, finalità e limiti, e deve rispettare e riconoscere all’altra la sua legittima possibilità di esercizio autonomo secondo i propri principi (cfr Gaudium et spes, 36); entrambe sono chiamate a servire l’uomo e l’umanità, favorendo lo sviluppo e la crescita integrale di ciascuno e di tutti.
Esorto soprattutto i Pastori del gregge di Dio a una missione instancabile e generosa per affrontare, sul terreno del dialogo e dell’incontro con le culture, dell’annuncio del Vangelo e della testimonianza, il preoccupante fenomeno della secolarizzazione, che indebolisce la persona e la ostacola nel suo innato anelito verso la Verità tutta intera. Possano, così, i discepoli di Cristo, grazie al servizio reso in particolare dal vostro Dicastero, continuare ad annunciare Cristo nel cuore delle culture, perché Egli è la luce che illumina la ragione, l’uomo e il mondo. Siamo posti anche noi di fronte al monito rivolto all’angelo della Chiesa di Efeso: « Conosco le tue opere, la tua fatica e la tua costanza … Ho, però, da rimproverarti che hai abbandonato il tuo primo amore » (Ap 2,2.4). Facciamo nostro il grido dello Spirito e della Chiesa: « Vieni! » (Ap 22,17), e lasciamoci invadere il cuore dalla risposta del Signore: « Sì, verrò presto! » (Ap 22,20). Egli è la nostra speranza, la luce per il nostro cammino, la forza per annunciare la salvezza con coraggio apostolico giungendo fino al cuore di tutte le culture. Dio vi assista nello svolgimento della vostra ardua ma esaltante missione!
Affidando a Maria, Madre della Chiesa e Stella della Nuova Evangelizzazione, il futuro del Pontificio Consiglio della Cultura e quello di tutti i suoi membri, vi imparto di tutto cuore la Benedizione Apostolica.
dal sito:
http://levangileauquotidien.org/
Giovanni Paolo II
Mulieris dignitatem, cap. 5
« Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei »Cristo è colui che «sa che cosa c’è nell’uomo» (cf. Gv 2, 25), nell’uomo e nella donna. Conosce la dignità dell’uomo, il suo pregio agli occhi di Dio. Egli stesso, il Cristo, è la conferma definitiva di questo pregio. Tutto ciò che dice e che fa ha definitivo compimento nel mistero pasquale della redenzione. L’atteggiamento di Gesù nei riguardi delle donne, che incontra lungo la strada del suo servizio messianico, è il riflesso dell’eterno disegno di Dio, che, creando ciascuna di loro, la sceglie e la ama in Cristo (cf. Ef 1, 1-5)… Gesù di Nazareth conferma questa dignità, la ricorda, la rinnova, ne fa un contenuto del Vangelo e della redenzione, per la quale è inviato nel mondo….
Gesù entra nella situazione concreta e storica della donna, situazione che è gravata dall’eredità del peccato. Questa eredità si esprime tra l’altro nel costume che discrimina la donna in favore dell’uomo ed è radicata anche dentro di lei. Da questo punto di vista l’episodio della donna «sorpresa in adulterio» (cf. Gv 8, 3-11) sembra essere particolarmente eloquente. Alla fine Gesù le dice: «Non peccare più», ma prima egli provoca la consapevolezza del peccato negli uomini che l’accusano per lapidarla, manifestando così quella sua profonda capacità di vedere secondo verità le coscienze e le opere umane. Gesù sembra dire agli accusatori: questa donna con tutto il suo peccato non è forse anche, e prima di tutto, una conferma delle vostre trasgressioni, della vostra ingiustizia «maschile», dei vostri abusi?
E’ questa una verità valida per tutto il genere umano… Una donna viene lasciata sola, è esposta all’opinione pubblica con «il suo peccato», mentre dietro questo «suo» peccato si cela un uomo come peccatore, colpevole per il «peccato altrui», anzi corresponsabile di esso. Eppure, il suo peccato sfugge all’attenzione, passa sotto silenzio… Quante volte, in modo simile, la donna paga… essa sola, e paga da sola! Quante volte essa rimane abbandonata con la sua maternità, quando l’uomo, padre del bambino, non vuole accettarne la responsabilità? E accanto alle numerose «madri nubili» delle nostre società, bisogna prendere in considerazione anche tutte quelle che molto spesso, subendo varie pressioni, pure da parte dell’uomo colpevole, «si liberano» del bambino prima della nascita. «Si liberano»: ma a quale prezzo?