Sant’Agostino (un giorno per chi non lo sa) racconto il significato di questa immagine)

dal sito:
http://www.prayerpreghiera.it/padri/padri.html
Dai « Discorsi » di sant’Agostino, vescovo
(Disc. 256,1.2.3; PL 38,1191-1193)
Cantiamo l’alleluia a Dio che è buono, che ci libera da ogni male
Cantiamo qui l’alleluia, mentre siamo ancora privi di sicurezza, per poterlo cantare un giorno lassù, ormai sicuri. Perché qui siamo nell’ansia e nell’incertezza. E non vorresti che io sia nell’ansia, quando leggo: Non è forse una tentazione la vita dell’uomo sulla terra? (cfr. Gb 7,1). Pretendi che io non stia in ansia, quando mi viene detto ancora: « Vegliate e pregate, per non cadere in tentazione »? (Mt 26,41). Non vuoi che io mi senta malsicuro, quando la tentazione è così frequente, che la stessa preghiera ci fa ripetere: « Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori »? (Mt 6,12).
Tutti i giorni la stessa preghiera e tutti i giorni siamo debitori! Vuoi che io resti tranquillo quando tutti i giorni devo domandare perdono dei peccati e aiuto nei pericoli? Infatti, dopo aver detto per i peccati passati: « Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori », subito, per i pericoli futuri, devo aggiungere: « E non ci indurre in tentazione » (Mt 6,13).
E anche il popolo, come può sentirsi sicuro, quando grida con me: « Liberaci dal male »? (Mt 6,13).
E tuttavia, o fratelli, pur trovandoci ancora in questa penosa situazione, cantiamo l’alleluia a Dio che è buono, che ci libera da ogni male.
Anche quaggiù tra i pericoli e le tentazioni, si canti dagli altri e da noi l’alleluia. « Dio infatti è fedele; e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze » (1Cor 10,13). Perciò anche quaggiù cantiamo l’alleluia. L’uomo è ancora colpevole, ma Dio è fedele. Non dice: « Non permetterà che siate tentati », bensì: « Non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze, ma con la tentazione vi darà anche la via d’uscita e la forza per sopportarla » (1Cor 10,13). Sei entrato nella tentazione, ma Dio ti darà anche il modo di uscirne, perché tu non abbia a soccombere alla tentazione stessa: perché, come il vaso del vasaio, tu venga modellato con la predicazione e consolidato con il fuoco della tribolazione : Ma quando vi entri, pensa che ne uscirai, « perchè Dio è fedele ». « Il Signore proteggerà la tua entrata e la tua uscita » (Sal 120,8).
Ma quando questo corpo sarà diventato immortale e incorruttibile, allora cesserà anche ogni tentazione, perché « il corpo è morto ». Perché è morto? « A causa del peccato ». Ma « lo Spirito è vita ». Perché? « A causa della giustificazione » (Rm 8,10). Abbandoneremo dunque come morto il corpo? No, anzi ascolta: « Se lo Spirito di colui che ha risuscitato Cristo dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti, darà la vita anche ai vostri corpi mortali » (Rm 8,10-11). Ora infatti il nostro corpo è nella condizione terrestre, mentre allora sarà in quella celeste. O felice quell’alleluia cantato lassù! O alleluia di sicurezza e di pace! Là nessuno ci sarà nemico, là non perderemo mai nessun amico. Ivi risuoneranno le lodi di Dio. Certo risuonano anche ora qui. Qui però nell’ansia, mentre lassù nella tranquillità. Qui cantiamo da morituri, lassù da immortali. Qui nella speranza, lassù nella realtà. Qui da esuli e pellegrini, lassù nella patria. Cantiamo pure ora, non tanto per goderci il riposo, quanto per sollevarci dalla fatica. Cantiamo da viandanti. Canta, ma cammina. Canta per alleviare le asprezze della marcia, ma cantando non indulgere alla pigrizia. Canta e cammina. Che significa camminare? Andare avanti nel bene, progredire nella santità. Vi sono infatti, secondo l’Apostolo, alcuni che progrediscono sì, ma nel male. Se progredisci è segno che cammini, ma devi camminare nel bene, devi avanzare nella retta fede, devi progredire nella santità. Canta e cammina.
dal sito:
BENEDETTO XVI
UDIENZA GENERALE
Mercoledì, 6 luglio 2005
Cantico cfr Ef 1,3-10
Dio salvatore
Vespri – Lunedì 3a settimana
1. Questo inno della Lettera agli Efesini (cfr Ef 1,3-14), che ritorna nella Liturgia dei Vespri di ognuna delle quattro settimane, è una preghiera di benedizione rivolta a Dio Padre. Il suo svolgimento è dedicato a delineare le varie tappe del piano di salvezza che si compie attraverso l’opera di Cristo.
Al centro della benedizione risuona il vocabolo greco mysterion, un termine associato di solito ai verbi di rivelazione («rivelare», «conoscere», «manifestare»). È questo, infatti, il grande progetto segreto che il Padre aveva custodito in se stesso fin dall’eternità (cfr v. 9) e che ha deciso di attuare e rivelare «nella pienezza dei tempi» (cfr v. 10) in Gesù Cristo, suo Figlio.
Le tappe di questo piano sono scandite nell’inno dalle azioni salvifiche di Dio per Cristo nello Spirito. Il Padre innanzitutto ci sceglie perché camminiamo santi e immacolati nell’amore (cfr v. 4), poi ci predestina ad essere suoi figli (cfr vv. 5-6), inoltre ci redime e ci rimette i peccati (cfr vv. 7-8), ci svela pienamente il mistero della salvezza in Cristo (cfr vv. 9-10), infine ci dona l’eredità eterna (cfr vv. 11-12) offrendocene la caparra nel dono dello Spirito Santo in vista della risurrezione finale (cfr vv. 13-14).
2. Molteplici sono, quindi, gli eventi salvifici che si succedono nello snodarsi dell’inno. Essi coinvolgono le tre Persone della Santissima Trinità: si parte dal Padre, che è l’iniziatore e l’artefice supremo del piano di salvezza; si fissa lo sguardo sul Figlio che realizza il disegno all’interno della storia; si giunge allo Spirito Santo che imprime il suo «suggello» a tutta l’opera della salvezza. Noi ora ci fermiamo brevemente sulle prime due tappe, quelle della santità e della filiazione (cfr vv. 4-6).
Il primo gesto divino, rivelato e attuato in Cristo, è l’elezione dei credenti, frutto di un’iniziativa libera e gratuita di Dio. In principio, quindi, «prima della creazione del mondo» (v. 4), nell’eternità di Dio, la grazia divina è disponibile ad entrare in azione. Questa chiamata ha come contenuto la «santità» che è partecipazione alla purezza trascendente dell’Essere divino e alla sua intima essenza di «carità»: «Dio è amore» (1Gv 4,8.16). L’agape diventa così la nostra realtà morale profonda. Siamo, quindi, trasferiti nell’orizzonte sacro e vitale di Dio stesso.
3. In questa linea si procede verso l’altra tappa, anch’essa contemplata nel piano divino fin dall’eternità: la nostra «predestinazione» a figli di Dio.
Paolo esalta altrove (cfr Gal 4,5; Rm 8,15.23) questa sublime condizione di figli che implica la fraternità con Cristo, il Figlio per eccellenza, «primogenito tra molti fratelli» (Rm 8,29) e l’intimità nei confronti del Padre celeste che può ormai essere invocato Abbá, «padre caro», in un rapporto di spontaneità e di amore. Siamo, quindi, in presenza di un dono immenso reso possibile dal «beneplacito della volontà» divina e dalla «grazia», luminosa espressione dell’amore che salva.
4. Ci affidiamo ora, in conclusione, al grande Vescovo di Milano, sant’Ambrogio, il quale in una delle lettere commenta le parole dell’apostolo Paolo agli Efesini, soffermandosi proprio sul ricco contenuto del nostro inno cristologico. Egli sottolinea innanzitutto la grazia sovrabbondante con la quale Dio ci ha resi suoi figli adottivi in Cristo Gesù. «Non bisogna perciò dubitare che le membra siano unite al loro capo, soprattutto perché fin dal principio siamo stati predestinati all’adozione di figli di Dio, per mezzo di Gesù Cristo» (Lettera XVI ad Ireneo, 4: SAEMO, XIX, Milano-Roma 1988, p. 161).
Il santo Vescovo di Milano prosegue la propria riflessione osservando: «Chi è ricco, se non il solo Dio, creatore di tutte le cose?». E conclude: «Ma è molto più ricco di misericordia, poiché ha redento tutti e – quale autore della natura – ha trasformato noi, che secondo la natura della carne eravamo figli dell’ira e soggetti al castigo, perché fossimo figli della pace e della carità» (n. 7: ibidem, p. 163).
dal sito:
http://levangileauquotidien.org/
Imitazione di Cristo, trattato spirituale del 15o secolo IV, 18
« Se non vedete segni e prodigi, voi non credete »
« Colui che pretende di conoscere la maestà di Dio, sarà schiacciato dalla grandezza di lui » (Pr 25,27 Volg.). Dio può fare cose più grandi di quanto l’uomo possa capire… Da te si esigono fede e schiettezza di vita, non altezza d’intelletto e capacità di penetrare nei misteri di Dio. Tu, che non riesci a conoscere e a comprendere ciò che sta più in basso di te, come potresti capire ciò che sta sopra di te? Sottomettiti a Dio, sottometti i tuoi sensi alla fede, e ti sarà dato lume di conoscenza, quale e quanto potrà esserti utile e necessario.
Taluni subiscono forti tentazioni circa la fede e il Sacramento; sennonché, non a loro se ne deve fare carico, bensì al nemico. Non soffermarti su queste cose; non voler discutere con i tuoi stessi pensieri, né rispondere ai dubbi insinuati dal diavolo. Credi, invece alle parole di Dio; affidati ai santi e ai profeti, e fuggirà da te l’infame nemico. Che il servo di Dio sopporti tali cose, talora è utile assai. Il diavolo non sottopone alle tentazioni quelli che non hanno fede, né i peccatori, che ha già sicuramente in sua mano; egli tenta, invece, tormenta, in vario modo, le persone credenti e devote.
Procedi, dunque, con schietta e ferma fede; accostati al Lui con umile venerazione. Rimetti tranquillamente a Dio, che tutto può, quanto non riesci a comprendere: Iddio non ti inganna; mentre si inganna colui che confida troppo in se stesso. Dio cammina accanto ai semplici, si rivela agli umili, « dà lume d’intelletto ai piccoli » (Sal 118,130), apre la mente ai puri di cuore; e ritira la grazia ai curiosi e ai superbi. La ragione umana è debole e può sbagliare, mentre la fede vera non può ingannarsi. Ogni ragionamento, ogni nostra ricerca deve andare dietro alla fede; non precederla, né indebolirla.