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Paolo VI, « Il signore dell’altissimo canto »: Dante Alighieri
Paolo VI mostrò in diversi momenti del suo pontificato un particolare affetto e legame per Dante Alighieri. Nel 1965, sesto centenario della nascita del poeta, donò e fece porre sulla lastra marmorea della sua tomba, in San Francesco a Ravenna, una croce d’oro; e nello stesso anno (come egli stesso ricorda nella Altissimi cantus , par. 15) fece collocare una corona d’oro col monogramma di Cristo nel Battistero di San Giovanni a Firenze, dove Dante era diventato cristiano.
Di questo amore la lettera apostolica “ Altissimi cantus ”, pubblicata il giorno prima della chiusura del Concilio Vaticano II, è una delle prove più eloquenti: anche papa Benedetto XV aveva dedicato l’attenzione del suo magistero al poeta fiorentino, nella ricorrenza della nascita (1921), dando al suo documento addirittura la veste solenne dell’enciclica ( In praeclara summorum ). Paolo VI prosegue in questa attenzione della Chiesa per il suo celebre figlio, e propone una lettura complessiva dell’opera di Dante, di cui mostra un’approfondita conoscenza, ma di cui offre anche un’interpretazione nuova.
Nuova, e polemica, perché cristiana: Paolo VI rivendica con forza la dimensione fondante del cristianesimo dantesco, in opposizione a quanti “hanno sostenuto che la Divina Commedia non fosse poetica quando e dove è impregnata di teologia” (par. 53). Non è difficile riconoscere in questa espressione un’allusione a Benedetto Croce, nel 1965, benché scomparso, ancora influentissimo sulla critica italiana, che aveva sostenuto, nella Poesia di Dante (1921) la “non poeticità” delle parti dottrinali del poema: principio diventato poi un luogo comune della critica dantesca italiana, benché sostanzialmente errato, e scomodo ostacolo alla vera compensione dell’opera.
La lettura del papa è per questo aspetto molto attuale e anticipatrice (oggi nessuno più sostiene la tesi crociana, e si dà invece per scontata l’affermazione di Paolo VI); altrove è invece più datata: ad esempio nell’idea di un “umanesimo” dantesco, cristiano e perciò positivo, in opposizione all’umanesimo “pagano” del Rinascimento (par. 32): è la vecchia visione del Rinascimento proposta da Jacob Burckhardt ( La civiltà del Rinascimento in Italia , 1860), oggi però decisamente abbandonata. Dante non è l’unico cristiano in una civiltà umanistica paganeggiante, ma un uomo ancora medievale, e tuttavia padre degli eccezionali sviluppi successivi della cultura del nostro paese.
Guido Sacchi
Paolo VI , Litterae Apostolicae Motu proprio datae « Altissimi cantus » septimo exeunte saeculo a Dantis Aligherii ortu , in Acta Apostolicae Sedis. Commentarium officiale , anno e vol. LVIII, 1966, Città del Vaticano, pp. 22-37. Titolo, titoli intermedi e traduzione redazionali.
« Il signore dell’altissimo canto »: Dante Alighieri
[Introduzione]
[ 1. ] Quest’anno ricorre un centenario del signore dell’altissimo canto, di Dante Alighieri, centenario degno di celebrazione: sono trascorsi infatti sette secoli da quando egli nacque a Firenze, città generosa nutrice anche di altri agili e poderosi ingegni.
[ 2. ] È perciò degno e giusto che soprattutto il popolo italiano onori e commemori con grande ossequio e a gara il suo massimo poeta, l’onore luminosissimo della sua letteratura. Egli infatti è il principale creatore della sua lingua e rimane, attraverso le età, protettore e custode della sua civiltà, così come ne espresse e ne rappresentò la forma e l’immagine.
[ 3. ] E invero anche le altre nazioni formate alla civiltà cristiana —— e non sono poche — desiderano partecipare a questa solenne rievocazione, e il nome di Dante, che gode e sempre godrà ovunque della fama di una gloria immortale, ora certamente rifulge ancor di più, quasi fiaccola portata in un luogo più eccelso.
[ 4. ] Ed è pure chiara l’opportunità che la Chiesa cattolica sia presente nel tributare l’onore di una tale lode: essa lo annovera infatti fra gli uomini illustri adorni di valore e di sapienza, inventori di melodie musicali, amanti del bello (1).
[ 5. ] Nell’eccelso coro dei poeti cristiani, dove si distinguono Prudenzio, sant’Efrem Siro, san Gregorio Nazianzeno, sant’Ambrogio vescovo di Milano, san Paolino da Nola, sant’Andrea di Creta, Romano Melode, Venanzio Fortunato, Adamo di San Vittore, san Giovanni della Croce e non pochi altri più recenti, che sarebbe lungo nominare a uno a uno, l’aurea cetra di Dante, la sua armoniosa lira risuonano con una melodia ammirevole per la grandezza dei temi trattati e per la purezza dell’afflato e dell’ispirazione, meravigliosa per il vigore congiunto a una squisita eleganza.
[ 6. ] Per questo — seguendo l’esempio del Nostro Predecessore Benedetto XV, che pubblicò nella ricorrenza del sesto centenario della morte di Dante Alighieri la lettera enciclica In praeclara summorum (2) — anche Noi vogliamo tributare un segno di omaggio all’illustrissimo poeta. E questo non solo per rendergli gloria in questa circostanza passeggera, che s’inserisce nel corso del tempo e subito ne è travolta, ma per perpetuarne in qualche modo la gloria, non con l’erigere un silenzioso e gelido monumento di pietra o di bronzo, ma piuttosto con il far zampillare una fonte che fluisca di acque perenni, sia in sua lode sia a beneficio di una promettente gioventù. Perché i giovani — uno dopo l’altro affidati alla sua scuola e divenuti alunni di un tale maestro — diventino capaci d’illustrare la sua memoria e la sua opera, perché la sua poesia davvero verdeggi nel campo delle discipline letterarie, perché la sua sapienza umana e cristiana si affermi con nuova forza nella tradizione culturale degl’italiani, secondo la consuetudine e l’uso degli antenati che a giustissimo titolo venerarono Dante Alighieri come padre della loro lingua viva.
[ 7. ] Abbiamo istituito perciò — in accordo con le competenti autorità accademiche — un insegnamento o Cattedra di Studi Danteschi presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, quel grande ateneo a cui il Nostro venerabile Predecessore Pio XI dedicò tanta cura e tanta sollecitudine, e che i Romani Pontefici suoi successori — e Noi pure, sempre, ma in modo particolare quando svolgemmo il Nostro ministero come arcivescovo in Milano — hanno sempre trattato con grande onore e con pari benevolenza. Stabiliamo perciò motu proprio e per Nostra iniziativa che essa abbia un insegnamento o cattedra che promuova gli Studi Danteschi.
[ 8. ] E Ci dà una grande gioia il fatto che questa fondazione testimoni pubblicamente la singolare venerazione che Noi abbiamo per il cantore della Divina Commedia , venerazione che vogliamo venga accesa con una fiamma inestinguibile e alimentata con maggior forza fra i giovani studenti, che vengono istruiti in quell’ateneo nelle migliori discipline e arti. Ne usciranno — questa è la Nostra speranza — alunni notevoli per l’acume dell’ingegno e per la pietà, essi stessi capaci a loro volta di farsi divulgatori di questi studi, da cui derivano tutte le ricchezze dell’aurea miniera dantesca; e queste ricchezze possano essere note a quanti amano il sapere e offrire alla letteratura delle future generazioni una fioritura rinnovata.
[ 9. ] Qualcuno potrebbe forse chiedere come mai la Chiesa cattolica, per volontà e per opera del suo Capo visibile, si prenda così a cuore di celebrare la memoria del poeta fiorentino e di onorarlo. La risposta è facile e immediata: perché Dante Alighieri è nostro per un diritto speciale: nostro, cioè della religione cattolica, perché tutto spira amore a Cristo; nostro, perché amò molto la Chiesa, di cui cantò gli onori; nostro, perché riconobbe e venerò nel Romano Pontefice il Vicario di Cristo in terra.
[ 10. ] Né rincresce ricordare che la sua voce si sia levata e abbia risuonato duramente contro alcuni Pontefici Romani, e che abbia ripreso con asprezza istituzioni ecclesiastiche e uomini che furono ministri e rappresentanti della Chiesa. Non passeremo sotto silenzio a questo proposito l’inclinazione del suo temperamento, questo aspetto della sua opera. Conosciamo bene infatti quanta e quale fu l’amarezza del suo animo, amarezza che fu tale da non risparmiare ben più duri rimproveri alla sua patria dilettissima, Firenze. Senza dubbio bisogna concedere alla sua arte e alla passione politica, soprattutto perché riprende vizi deplorevoli, una benigna indulgenza, che il compito di giudice e di correttore che egli rivendica a sé gli concilia.
[ 11. ] Del resto è noto e riconosciuto che il suo temperamento così animoso non ha mai scosso la sua ferma fede cattolica e la sua filiale affezione verso la Santa Madre Chiesa.
[ 12. ] Dante è nostro, Ci sia lecito ripetere a ragione, e lo affermiamo non per gloriarci di un tale trofeo per un amore ambizioso e orgoglioso, quanto piuttosto per ricordare a noi stessi il dovere di riconoscerlo tale, e di esplorare nella sua opera le ricchezze inestimabili della forza e del senso del pensiero cristiano, convinti come siamo che solo chi scava nelle segrete profondità dell’animo religioso del sommo poeta può comprendere a fondo e gustare con pari piacere i meravigliosi tesori spirituali nascosti nel poema.
segue domani perché è interessante ma un po’ lungo (non lo conoscevo proprio, mi è capitato per caso)