LE PERSECUZIONI CONTRO I CRISTIANI
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LE PERSECUZIONI CONTRO I CRISTIANI
Teresio Bosco
Una superstizione nuova e malefica
La prima presa di posizione dello Stato Romano contro i Cristiani risale all’imperatore Claudio (41-54 d.C.). Gli storici Svetonio e Dione Cassio riferiscono che Claudio fece espelle- re i giudei perché erano continuamente in lite fra loro per causa di un certo Chrestos. « Saremmo davanti alle prime reazioni provocate dal messaggio cristiano nella comunità di Roma », commenta Karl Baus.
Lo storico Gaio Svetonio Tranquillo (70-140 ca.), funzionario imperiale di alto rango sotto Traiano e Adriano, intellettuale e consigliere dell’imperatore, giustificherà questo e i successivi interventi dello Stato contro i Cristiani definendoli « superstizione nuova e malefica »: parole molto pesanti. Come superstizione il Cristianesimo viene collegato, con la magici. Per i Romani essa è quell’insieme di pratiche irrazionali che maghi e stregoni dalla sinistra personalità usano per imbrogliare la gente ignorante, priva di educazione filosofica.
Magia è l’irrazionale contro il razionale, la conoscenza volgare contro la conoscenza filosofica. L’accusa di magia (come quella di follia) è un arma con la quale lo Stato Romano bolla e sottopone a controllo nuove e dubbie componenti della società come il Cristianesimo.
Con la parola malefica (=portatrice di mali) viene incoraggiato il sospetto ottuso del popolino che immagina questa novità (come ogni novità) intrisa dei delitti più innominabili, e quindi causa dei mali che ogni tanto si scatenano inspiegabilmente dalla peste all’alluvione, dalla carestia all’invasione dei barbari.
Corpo aperto ma etnìa chiusa e sospettosa
L’Impero Romano è (e si manifesterà specialmente nelle persecuzioni contro i Cristiani) un grande corpo aperto, disposto ad assorbire ogni nuovo popolo chi abbandona la propria identità, ma anche un’etnìa chiusa e sospettosa. Con la parola etnìa, gruppo etnico (greco éthnos) indichiamo un aggregato sociale contraddistinto da una stessa lingua e cultura, sospettoso verso ogni altra etnia.
Roma, con la sua organizzazione sociale di liberi con tutti i diritti e schiavi senza diritti, di patrizi ricchi e di plebei miseri, di centro sfruttatore e periferia sfruttata, è persuasa di aver realizzato il sogno di Alessandro Magno: fare l’unità dell’umanità, fare di ogni uomo libero un cittadino dei mondo, e dell’impero « un’assemblea universale » (oikuméne) che coincide con la « civiltà umana ».
Chi vuol vivere al di fuori di essa, mantenere la propria identità per non confondersi con essa, si esclude dalla civiltà umana. Roma ha una grande paura di questi « estranei », di questi « diversi » che potrebbero mettere in discussione la sua sicurezza. E come ha stabilito la « concordia universale » con la feroce efficienza delle sue legioni, intende mantenerla a colpi di spa- da, di crocifissioni, di condanne ai lavori forzati, di esili. In una parola: Roma usa la « pulizia etnica » come metodo per tutelare la propria tranquilla sicurezza di essere « il mondo civile ».
Nerone e i Cristiani visti dall’intellettuale Tacito
Nell’anno 64 un incendio devastò 10 dei 14 quartieri di Roma. L’imperatore Nerone, accusato dal popolo di esserne 1′autore, gettò la colpa sui Cristiani. Inizia la prima, grande persecuzione che durerà fino al 68 e vedrà perire tra gli altri gli apostoli Pietro e Paolo.
Il grande storico Tacito Cornelio (54-120), senatore e console, descriverà questo avvenimento scrivendo al tempo di Traiano i suoi Annales. Egli accusa Nerone di aver ingiustamente incolpato i Cristiani, ma si dichiara convinto che essi meritano le più severe punizioni perché la loro superstizione li spinge a compiere nefandezze. Non condivide quindi nemmeno la compassione che molti provarono nel vederli torturati. Ecco la celebre pagina di Tacito:
« Per tagliar corto alle pubbliche voci, Nerone inventò i colpevoli, e sottopose a raffinatissime pene quelli che il popolo chiamava Cristiani e che erano invisi per le loro nefandezze. Il loro nome veniva da Cristo, che sotto il regno di Tiberio era stato condannato al supplizio per ordine del procuratore Ponzio Pilato. Momentaneamente sopita, questa malefica superstizione proruppe di nuovo non solo in Giudea, luogo d’origine di quel flagello, ma anche in Roma dove tutto ciò che è vergognoso e abominevole viene a confluire e trova la sua consacrazione.
Per primi furono arrestati coloro che facevano aperta confessione di tale credenza. Poi, su denuncia di questi, ne fu arrestata una gran moltitudine non tanto perché accusati di aver provocato l’incendio, ma perché si ritenevano accesi d’odio contro il genere umano. Quelli che andavano a morire erano anche esposti alle beffe: coperti di pelli di fiere, morivano dilaniati dai cani, oppure erano crocifissi, o arsi vivi a modo di torce che servivano a illuminare le tenebre quando il sole era tramontato. Nerone aveva offerto i suoi giardini per godere di tale spettacolo, mentre egli bandiva i giochi del circo e in veste di cocchiere si mescolava al popolo, o stava ritto sul cocchio.
Perciò, per quanto quei supplizi fossero contro gente colpevole e che meritava tali, originali tormenti, pure nasceva verso di loro, un senso di pietà, perché erano sacrificati non al comune vantaggio ma alla crudeltà del principe » (1 5,44). 1 Cristiani erano quindi creduti anche da Tacito gente spregevole, capace di crimini orrendi. 1 più infami crimini attribuiti ai Cristiani erano l’infanticidio rituale (come se nel rinnovamento della Cena del Signore, in cui si cibava- no dell’eucarestia, uccidessero un bambino e lo mangiassero!) e l’incesto (chiaro travisamento dell’abbraccio di pace che avveniva, nella celebrazione dell’eucaristia « tra fratelli e sorelle »). Queste accuse, nate dal pettegolezzo del popolino, furono così sanzionate dall’autorità dell’Imperatore, che li perseguitava e li condannava a morte.
Da quel momento (ce lo testimonia Tacito) si aggiunse a carico dei Cristiani anche un nuovo crimine: l’odio contro il genere umano. Plinio il giovane, ironicamente, scriverà che con una accusa simile si sarebbe potuto d’ora in poi condannare a morte chiunque.
Accusati di ateismo
Molto scarse sono le notizie della persecuzione che colpì i Cristiani nell’anno 89, sotto l’imperatore Domiziano. Di particolare importanza è la notizia riportata dallo storico greco Dione Cassio, che a Roma fu pretore e console. Nel libro 67 della sua Storia Romana afferma che sotto Domiziano furono accusati e condannati « per ateismo » (ateòtes) il console Flavio Clemente e sua moglie Domitilla, e con loro molti altri che «avevano adottato gli usi giudaici».
L’accusa di ateismo, in questo secolo, è rivolta a chi non considera divinità suprema la maestà imperiale. Domiziano, durissimo restauratore dell’autorità centrale, pretende il culto massimo alla sua persona, centro e garanzia della « civiltà umana ».
E’ notevole che un intellettuale come Dione Cassio chiami il rifiuto del culto all’imperatore « ateismo ». Significa che a Roma non si ammette nessun’idea di Dio che non coincida con la maestà imperiale. Chi ne ha una diversa viene eliminato come gravemente pericoloso alla « civiltà umana ».
Nel 111 Plinio il giovane, governatore della Bitinia sul Mar Nero, stava tornando da un’ispezione della sua popolosa e ricca provincia quando un incendio devastò la capitale, Nicodemia. Si sarebbe potuto salvare molto se ci fossero stati i pompieri. Plinio fa rapporto all’imperatore Traiano (98-117): « Spetta a te, signore, valutare se è necessario creare un’associazione di pompieri di 150 uomini. Da parte mia, farò attenzione che tale associazione non accolga che pompieri…
Traiano gli risponde bocciando l’iniziativa: «Non dimenticare che la tua provincia è preda di società di questo genere. Qualunque sia il loro nome, qualunque sia la destinazione che noi vogliano dare a uomini riuniti in un corpo, ciò dà luogo, in ogni caso e rapidamente, a eterie». Il timore delle eterie (nome greco delle « associazioni ») prevalse così su quello degli incendi.
Il fenomeno era antico. Le associazioni di qualsiasi tipo che si trasformavano in gruppi politici avevano spinto Cesare a interdire tutte le associazioni nell’anno 7 a.C.: « Chiunque stabilisce un’associazione senza autorizzazione speciale, è passibile delle medesime pene di coloro che attaccano a mano armata i luoghi pubblici e i templi ». La legge era sempre in vigore, ma le associazioni continuavano a fiorire; dai battellieri della Senna ai medici di Avenches, dai mercanti di vino di Lione ai trombettieri di Lamesi. Tutte difendevano gli interessi dei loro iscritti facendo pressioni sui poteri pubblici.
Plinio non tardò ad applicare l’interdizione delle eterie a un caso particolare che gli si presentò nell’autunno del 112. La Bitinia era piena di Cristiani. « E’ una folla di gente di tutte le età, di tutte le condizioni, sparsa nelle città, nei villaggi e le campagne», scrive all’Imperatore. Continua dicendo di aver ricevuto denunce dai costruttori di amuleti religiosi, disturbati dai Cristiani che predicavano l’inutilità di simili cianfrusaglie.
Aveva istituito una specie di processo per conoscere bene i fatti, ed aveva scoperto che essi avevano l’abitudine di riunirsi in un giorno fissato, prima dei levarsi del sole, di cantare un inno a Cristo come a un dio, di impegnarsi con giuramento a non perpetrare crimini, a non commettere né ruberie né brigantaggi né adulteri, a non venir meno alla parola data. Essi hanno anche l’abitudine di riunirsi per prendere il loro cibo che, nonostante le dicerie, è cibo ordinario e innocuo ».
1 Cristiani non avevano cessato queste riunioni nemmeno dopo l’editto dei governatore che ribadiva l’interdizione delle eterie. Continuando la lettera (10,96), Plinio riferisce all’imperatore che in tutto ciò non vede nulla di male. Ma il rifiuto di offrire incenso e vino davanti alle statue dell’Imperatore gli sembra un atto di derisione sacrilega. L’ostinazione di questi Cristiani gli sembra « irragionevole e balorda ».
Dalla lettera di Plinio appare chiaro che sono cadute le accuse assurde di infanticidio rituale e di incesto. Rimangono quelle di « rifiuto di rendere culto all’Imperatore » (quindi di lesa maestà), e di costituzione di eteria.
L’Imperatore risponde: «I Cristiani non si devono perseguire d’uffício. Se invece vengono denunciati e riconosciuti colpevoli bisogna condannarli». In altre parole: Traiano incoraggia a chiudere un occhio su di loro: sono un’eteria innocua come i battellieri della Senna e i venditori di vino di Lione. Ma poiché stanno praticando una « superstizione irragionevole, balorda e fanatica » (come la giudica Plinio e altri intellettuali del tempo come Epitteto, e continuano a rifiutare il culto all’Imperatore (e quindi si considerano « estranei » alla vita civile), non si può far finta di niente. Se denunciati, vanno condannati.
Continua quindi (anche se in forma meno rigida) il «Non è lecito essere Cristiani». Vittime di questo periodo sono sicuramente il vescovo di Gerusalemme Simeone, crocifisso all’età di 120 anni, e Ignazio vescovo di Antiochia, portato a Roma come cittadino romano, e ivi giustiziato. La stessa politica, verso i Cristiani viene adoperata dagli imperatori Adriano (1 17- 138) e Antonino Pio (138-161).
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