Archive pour le 29 janvier, 2008

Je crois en Jésus-Christ, son Fils unique, notre Seigneur, qui a été conçu du Saint-Esprit,

Je crois en Jésus-Christ, son Fils unique, notre Seigneur, qui a été conçu du Saint-Esprit, dans immagini sacre 02
http://www.evangile-et-peinture.org/static/vernissage_10_2003/det_02.htm

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di Gianfranco Ravasi: Maddalena: gli equivoci da sfatare

dal sito:

http://www.gliscritti.it/index.html

 

Maddalena: gli equivoci da sfatare

di mons. Gianfranco Ravasi

 

 Mons.Ravasi, oltre a mostrare le “Marie” neotestamentarie che concorrono a formare la figura così cara alla tradizione cristiana della Maddalena – lettura unitaria che grande significato ha avuto per una lettura nello Spirito Santo della testimonianza di Maria di Magdala – accenna ai passi dell’apocrifo Vangelo di Filippo che, mal compresi, hanno dato origine alla leggenda dell’innamorata di Gesù.
Per una corretta impostazione del problema è utile sottolineare, per i profani dell’argomento, che il Vangelo di Filippo – testo successivo di almeno 200 anni ai vangeli canonici, rinvenuto a Nag Hammadi nel 1945, ma già noto in alcuni suoi frammenti fin dall’antichità – è, come altri vangeli gnostici di area siro-egiziana, un vangelo che deprezza, a differenza della tradizione della Chiesa cattolica, la corporeità e, conseguentemente, il matrimonio. Proprio il modo nel quale viene riletta la figura della Maddalena ne è convincente esemplificazione.
Maria di Magdala è citata due volte nei brevi detti che compongono il vangelo di Filippo. Una prima volta per affermare che Maria la madre di Gesù, Maria la sorella di lei (sic!) e Maria di Magdala sono solo manifestazioni apparenti dell’unica Maria spirituale. Così dice, infatti, il versetto 32: “Tre donne camminavano sempre con il Signore: Maria sua madre, Maria la sorella di lei e la Maddalena, la quale è detta sua compagna. Maria, in realtà, è sorella, madre e coniuge di lui”.
Nella seconda ricorrenza nel vangelo apocrifo di Filippo – il versetto 55, citato anche da mons.Ravasi nell’articolo che segue – si dice estesamente: “La Sofia detta sterile è la madre degli angeli (N.d.R. cioè dei pianeti e delle costellazioni); la compagna di Cristo è la Maddalena. Il Signore amava Maria più di tutti i discepoli e la baciò più volte sulla bocca. Le altre donne, vedendo il suo amore per Maria, gli dissero: Perché ami lei più di noi tutte? Il Salvatore rispose loro: Come mai io non amo voi come lei?”
Due entità femminili sono paragonate in questo versetto: da un lato la Sofia demiurgica, cioè la sapienza decaduta che è detta sterile in quanto creatrice del mondo materiale, che è una specie di aborto, e, dall’altro, la Sofia celeste, la sapienza eterna che è all’origine del mondo spirituale ed è la sposa dell’anima del Cristo. La corporeità del Cristo e della Maddalena è pura apparenza dalla quale è necessario liberarsi, per attingere i puri principi, secondo la lettura gnostica presentata dall’intero vangelo. E’ paradossale come, per una incomprensione del carattere gnostico del vangelo di Filippo, avverso alla materia ed alla femminilità, proprio questi versetti saranno, invece, all’origine del formarsi della leggenda del legame carnale del Cristo e della Maddalena.
Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione di questo testo se la sua messa a disposizione sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. 

L’Areopago 



È una storia strana quella di Maria, la discepola di Gesù originaria di Magdala, un villaggio di pescatori sul lago di Tiberiade, centro commerciale ittico denominato in greco Tarichea, cioè “pesce salato”.
La sua figura fu, infatti, sottoposta a una serie di equivoci. Noi vorremmo partire proprio da quell’alba primaverile evocata da un brano del Vangelo di Giovanni che la liturgia di Pasqua ci propone, sia pure parzialmente (20,1-18). Maria è davanti al sepolcro ove poche ore prima era stato deposto il corpo esanime di Gesù. Paradossale è l’equivoco in cui cade la donna che scambia quel Gesù, ritornato a nuova vita e presente davanti a lei, col custode dell’area cimiteriale.

Come è potuto accadere questo inganno? La risposta è nella natura stessa dell’evento pasquale che incide nella storia, ma è al tempo stesso un atto soprannaturale, misterioso, trascendente.
Per “riconoscere” il Risorto non bastano gli occhi del volto e neppure aver camminato con lui e ascoltato i suoi discorsi sulle piazze palestinesi o cenato con lui.

È necessario uno sguardo profondo, un canale di conoscenza superiore. Infatti Maria “riconosce” Gesù quando la chiama per nome e gli occhi della sua anima si aprono ed esclama: «in ebraico Rabbuni, che significa: Maestro!» (20,16) e, così, riceve la missione di essere testimone della risurrezione: «Va’ dai miei fratelli e di’ loro: Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro. Maria di Magdala, allora, andò subito ad annunziare ai discepoli: Ho visto il Signore!, e anche ciò che le aveva detto» (20,17-18).

Maria di Magdala era entrata in scena nei Vangeli per la prima volta come una delle donne che assistevano Gesù e i suoi discepoli coi loro beni. In quell’occasione si era aggiunta una precisazione piuttosto forte: «da lei erano usciti sette demoni» (Luca 8,1-3).
Proprio su quest’ultima notizia si è consumato un altro equivoco.

Di per sé, l’espressione poteva indicare un gravissimo (il sette è il numero della pienezza) male fisico o morale che aveva colpito la donna e da cui Gesù l’aveva liberata. Ma la tradizione, ripetuta mille volte nella storia dell’arte e perdurante fino ai nostri giorni, ha fatto di Maria una prostituta e questo solo perché nella pagina evangelica precedente — il capitolo 7,36-50 di Luca — si narra la storia della conversione di un’anonima «peccatrice nota in quella (innominata) città», colei che aveva cosparso di olio profumato i piedi di Gesù, ospite in casa di un notabile fariseo, li aveva bagnati con le sue lacrime e li aveva asciugati coi suoi capelli.

Ora, questo stesso gesto verrà ripetuto nei confronti di Gesù da un’altra Maria, la sorella di Marta e Lazzaro (Giovanni 12,1-8). E, così, si consumerà un ulteriore equivoco per Maria di Magdala, confusa da alcune tradizioni popolari con Maria di Betania, dopo essere stata confusa con la prostituta di Galilea.
Ma non era ancora finita la deformazione del volto di questa donna.
Alcuni testi apocrifi cristiani composti in Egitto attorno al III secolo identificano Maria di Magdala persino con Maria, la madre di Gesù! E lentamente la sua trasformazione è tale che essa diventa un simbolo, ossia un’immagine della sapienza divina che esce dalla bocca di Cristo.

È per questo — e non per maliziose allusioni a cui saremmo tentati di credere a una lettura superficiale — che il Vangelo apocrifo di Filippo dice che Gesù «amava Maria più di tutti i discepoli e la baciava sulla bocca».
Nella Bibbia, infatti, si dice che «la Sapienza esce dalla bocca dell’Altissimo» (Siracide 24,3).

Strano destino quello di Maria di Magdala, abbassata a prostituta ed elevata a Sapienza divina! Per fortuna l’unico che la chiamò per nome e la riconobbe fu proprio Gesù, il suo Maestro, il Rabbunì, in quel mattino di Pasqua. 



Per altri articoli e studi di S.E.mons.Gianfranco Ravasi o sulla Bibbia presenti su questo sito, vedi la pagina Sacra Scrittura (Antico e Nuovo Testamento) nella sezione Percorsi tematici 

 

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LE PERSECUZIONI CONTRO I CRISTIANI

sul sito l’approfondimento non finisce qui, ma prosegue, dal sito: 

http://www.catacombe.roma.it/it/ricerche/ricerche.html

 

LE PERSECUZIONI CONTRO I CRISTIANI 


Teresio Bosco

Una superstizione nuova e malefica

La prima presa di posizione dello Stato Romano contro i Cristiani risale all’imperatore Claudio (41-54 d.C.). Gli storici Svetonio e Dione Cassio riferiscono che Claudio fece espelle- re i giudei perché erano continuamente in lite fra loro per causa di un certo Chrestos. « Saremmo davanti alle prime reazioni provocate dal messaggio cristiano nella comunità di Roma », commenta Karl Baus.
Lo storico Gaio Svetonio Tranquillo (70-140 ca.), funzionario imperiale di alto rango sotto Traiano e Adriano, intellettuale e consigliere dell’imperatore, giustificherà questo e i successivi interventi dello Stato contro i Cristiani definendoli « superstizione nuova e malefica »: parole molto pesanti. Come superstizione il Cristianesimo viene collegato, con la magici. Per i Romani essa è quell’insieme di pratiche irrazionali che maghi e stregoni dalla sinistra personalità usano per imbrogliare la gente ignorante, priva di educazione filosofica.
Magia è l’irrazionale contro il razionale, la conoscenza volgare contro la conoscenza filosofica. L’accusa di magia (come quella di follia) è un arma con la quale lo Stato Romano bolla e sottopone a controllo nuove e dubbie componenti della società come il Cristianesimo.
Con la parola malefica (=portatrice di mali) viene incoraggiato il sospetto ottuso del popolino che immagina questa novità (come ogni novità) intrisa dei delitti più innominabili, e quindi causa dei mali che ogni tanto si scatenano inspiegabilmente dalla peste all’alluvione, dalla carestia all’invasione dei barbari.

Corpo aperto ma etnìa chiusa e sospettosa

L’Impero Romano è (e si manifesterà specialmente nelle persecuzioni contro i Cristiani) un grande corpo aperto, disposto ad assorbire ogni nuovo popolo chi abbandona la propria identità, ma anche un’etnìa chiusa e sospettosa. Con la parola etnìa, gruppo etnico (greco éthnos) indichiamo un aggregato sociale contraddistinto da una stessa lingua e cultura, sospettoso verso ogni altra etnia.
Roma, con la sua organizzazione sociale di liberi con tutti i diritti e schiavi senza diritti, di patrizi ricchi e di plebei miseri, di centro sfruttatore e periferia sfruttata, è persuasa di aver realizzato il sogno di Alessandro Magno: fare l’unità dell’umanità, fare di ogni uomo libero un cittadino dei mondo, e dell’impero « un’assemblea universale » (oikuméne) che coincide con la « civiltà umana ».
Chi vuol vivere al di fuori di essa, mantenere la propria identità per non confondersi con essa, si esclude dalla civiltà umana. Roma ha una grande paura di questi « estranei », di questi « diversi » che potrebbero mettere in discussione la sua sicurezza. E come ha stabilito la « concordia universale » con la feroce efficienza delle sue legioni, intende mantenerla a colpi di spa- da, di crocifissioni, di condanne ai lavori forzati, di esili. In una parola: Roma usa la « pulizia etnica » come metodo per tutelare la propria tranquilla sicurezza di essere « il mondo civile ».

Nerone e i Cristiani visti dall’intellettuale Tacito

Nell’anno 64 un incendio devastò 10 dei 14 quartieri di Roma. L’imperatore Nerone, accusato dal popolo di esserne 1′autore, gettò la colpa sui Cristiani. Inizia la prima, grande persecuzione che durerà fino al 68 e vedrà perire tra gli altri gli apostoli Pietro e Paolo.
Il grande storico Tacito Cornelio (54-120), senatore e console, descriverà questo avvenimento scrivendo al tempo di Traiano i suoi Annales. Egli accusa Nerone di aver ingiustamente incolpato i Cristiani, ma si dichiara convinto che essi meritano le più severe punizioni perché la loro superstizione li spinge a compiere nefandezze. Non condivide quindi nemmeno la compassione che molti provarono nel vederli torturati. Ecco la celebre pagina di Tacito:
« Per tagliar corto alle pubbliche voci, Nerone inventò i colpevoli, e sottopose a raffinatissime pene quelli che il popolo chiamava Cristiani e che erano invisi per le loro nefandezze. Il loro nome veniva da Cristo, che sotto il regno di Tiberio era stato condannato al supplizio per ordine del procuratore Ponzio Pilato. Momentaneamente sopita, questa malefica superstizione proruppe di nuovo non solo in Giudea, luogo d’origine di quel flagello, ma anche in Roma dove tutto ciò che è vergognoso e abominevole viene a confluire e trova la sua consacrazione.
Per primi furono arrestati coloro che facevano aperta confessione di tale credenza. Poi, su denuncia di questi, ne fu arrestata una gran moltitudine non tanto perché accusati di aver provocato l’incendio, ma perché si ritenevano accesi d’odio contro il genere umano. Quelli che andavano a morire erano anche esposti alle beffe: coperti di pelli di fiere, morivano dilaniati dai cani, oppure erano crocifissi, o arsi vivi a modo di torce che servivano a illuminare le tenebre quando il sole era tramontato. Nerone aveva offerto i suoi giardini per godere di tale spettacolo, mentre egli bandiva i giochi del circo e in veste di cocchiere si mescolava al popolo, o stava ritto sul cocchio.
Perciò, per quanto quei supplizi fossero contro gente colpevole e che meritava tali, originali tormenti, pure nasceva verso di loro, un senso di pietà, perché erano sacrificati non al comune vantaggio ma alla crudeltà del principe » (1 5,44). 1 Cristiani erano quindi creduti anche da Tacito gente spregevole, capace di crimini orrendi. 1 più infami crimini attribuiti ai Cristiani erano l’infanticidio rituale (come se nel rinnovamento della Cena del Signore, in cui si cibava- no dell’eucarestia, uccidessero un bambino e lo mangiassero!) e l’incesto (chiaro travisamento dell’abbraccio di pace che avveniva, nella celebrazione dell’eucaristia « tra fratelli e sorelle »). Queste accuse, nate dal pettegolezzo del popolino, furono così sanzionate dall’autorità dell’Imperatore, che li perseguitava e li condannava a morte.
Da quel momento (ce lo testimonia Tacito) si aggiunse a carico dei Cristiani anche un nuovo crimine: l’odio contro il genere umano. Plinio il giovane, ironicamente, scriverà che con una accusa simile si sarebbe potuto d’ora in poi condannare a morte chiunque. 

Accusati di ateismo

Molto scarse sono le notizie della persecuzione che colpì i Cristiani nell’anno 89, sotto l’imperatore Domiziano. Di particolare importanza è la notizia riportata dallo storico greco Dione Cassio, che a Roma fu pretore e console. Nel libro 67 della sua Storia Romana afferma che sotto Domiziano furono accusati e condannati « per ateismo » (ateòtes) il console Flavio Clemente e sua moglie Domitilla, e con loro molti altri che «avevano adottato gli usi giudaici».
L’accusa di ateismo, in questo secolo, è rivolta a chi non considera divinità suprema la maestà imperiale. Domiziano, durissimo restauratore dell’autorità centrale, pretende il culto massimo alla sua persona, centro e garanzia della « civiltà umana ».
E’ notevole che un intellettuale come Dione Cassio chiami il rifiuto del culto all’imperatore « ateismo ». Significa che a Roma non si ammette nessun’idea di Dio che non coincida con la maestà imperiale. Chi ne ha una diversa viene eliminato come gravemente pericoloso alla « civiltà umana ».
Nel 111 Plinio il giovane, governatore della Bitinia sul Mar Nero, stava tornando da un’ispezione della sua popolosa e ricca provincia quando un incendio devastò la capitale, Nicodemia. Si sarebbe potuto salvare molto se ci fossero stati i pompieri. Plinio fa rapporto all’imperatore Traiano (98-117): « Spetta a te, signore, valutare se è necessario creare un’associazione di pompieri di 150 uomini. Da parte mia, farò attenzione che tale associazione non accolga che pompieri…
Traiano gli risponde bocciando l’iniziativa: «Non dimenticare che la tua provincia è preda di società di questo genere. Qualunque sia il loro nome, qualunque sia la destinazione che noi vogliano dare a uomini riuniti in un corpo, ciò dà luogo, in ogni caso e rapidamente, a eterie». Il timore delle eterie (nome greco delle « associazioni ») prevalse così su quello degli incendi.
Il fenomeno era antico. Le associazioni di qualsiasi tipo che si trasformavano in gruppi politici avevano spinto Cesare a interdire tutte le associazioni nell’anno 7 a.C.: « Chiunque stabilisce un’associazione senza autorizzazione speciale, è passibile delle medesime pene di coloro che attaccano a mano armata i luoghi pubblici e i templi ». La legge era sempre in vigore, ma le associazioni continuavano a fiorire; dai battellieri della Senna ai medici di Avenches, dai mercanti di vino di Lione ai trombettieri di Lamesi. Tutte difendevano gli interessi dei loro iscritti facendo pressioni sui poteri pubblici.
Plinio non tardò ad applicare l’interdizione delle eterie a un caso particolare che gli si presentò nell’autunno del 112. La Bitinia era piena di Cristiani. « E’ una folla di gente di tutte le età, di tutte le condizioni, sparsa nelle città, nei villaggi e le campagne», scrive all’Imperatore. Continua dicendo di aver ricevuto denunce dai costruttori di amuleti religiosi, disturbati dai Cristiani che predicavano l’inutilità di simili cianfrusaglie.
Aveva istituito una specie di processo per conoscere bene i fatti, ed aveva scoperto che essi avevano l’abitudine di riunirsi in un giorno fissato, prima dei levarsi del sole, di cantare un inno a Cristo come a un dio, di impegnarsi con giuramento a non perpetrare crimini, a non commettere né ruberie né brigantaggi né adulteri, a non venir meno alla parola data. Essi hanno anche l’abitudine di riunirsi per prendere il loro cibo che, nonostante le dicerie, è cibo ordinario e innocuo ».
1 Cristiani non avevano cessato queste riunioni nemmeno dopo l’editto dei governatore che ribadiva l’interdizione delle eterie. Continuando la lettera (10,96), Plinio riferisce all’imperatore che in tutto ciò non vede nulla di male. Ma il rifiuto di offrire incenso e vino davanti alle statue dell’Imperatore gli sembra un atto di derisione sacrilega. L’ostinazione di questi Cristiani gli sembra « irragionevole e balorda ».
Dalla lettera di Plinio appare chiaro che sono cadute le accuse assurde di infanticidio rituale e di incesto. Rimangono quelle di « rifiuto di rendere culto all’Imperatore » (quindi di lesa maestà), e di costituzione di
eteria.
L’Imperatore risponde: «I Cristiani non si devono perseguire d’uffício. Se invece vengono denunciati e riconosciuti colpevoli bisogna condannarli». In altre parole: Traiano incoraggia a chiudere un occhio su di loro: sono un’eteria innocua come i battellieri della Senna e i venditori di vino di Lione. Ma poiché stanno praticando una « superstizione irragionevole, balorda e fanatica » (come la giudica Plinio e altri intellettuali del tempo come Epitteto, e continuano a rifiutare il culto all’Imperatore (e quindi si considerano « estranei » alla vita civile), non si può far finta di niente. Se denunciati, vanno condannati.
Continua quindi (anche se in forma meno rigida) il «Non è lecito essere Cristiani». Vittime di questo periodo sono sicuramente il vescovo di Gerusalemme Simeone, crocifisso all’età di 120 anni, e Ignazio vescovo di Antiochia, portato a Roma come cittadino romano, e ivi giustiziato. La stessa politica, verso i Cristiani viene adoperata dagli imperatori Adriano (1 17- 138) e Antonino Pio (138-161).

 

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Benedetto XVI: per una scienza con coscienza

28/01/2008, dal sito:

http://www.zenit.org/article-13314?l=italian

 

 Benedetto XVI: per una scienza con coscienza 

 

Discorso ai partecipanti a un Colloquio interaccademico 

 

CITTA’ DEL VATICANO, lunedì, 28 gennaio 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il discorso pronunciato da Benedetto XVI questo lunedì rivolgendosi ai partecipanti al Convegno interaccademico sul tema: « L’identité changeante de l’individu » (« L’identità mutevole dell’individuo ») promosso dalla Académie des Sciences di Parigi e dalla Pontificia Accademia delle Scienze. 

 

 Signori Cancellieri,
Eccellenze,
Cari Amici Accademici,
Signore e Signori, 

È con piacere che vi accolgo al termine del vostro Convegno che si conclude qui a Roma, dopo essersi svolto nell’Istituto di Francia, a Parigi, e che è stato dedicato al tema « L’Identità mutevole dell’individuo ». Ringrazio prima di tutto il Principe Gabriel de Broglie per le parole di omaggio con le quali ha voluto introdurre il nostro incontro. Desidero parimenti salutare i membri di tutte le istituzioni sotto la cui egida è stato organizzato questo Convegno:  la Pontificia Accademia delle Scienze, la Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, l’Accademia delle Scienze Morali e Politiche, l’Accademia delle Scienze, l’Istituto Cattolico di Parigi. Sono lieto del fatto che, per la prima volta, una collaborazione interaccademica di tale natura si sia potuto instaurare, aprendo la via ad ampie ricerche pluridisciplinari sempre più feconde. 

Mentre le scienze esatte, naturali e umane, hanno fatto prodigiosi progressi nella conoscenza dell’uomo e del suo universo, grande è la tentazione di voler circoscrivere completamente l’identità dell’essere umano e di chiuderlo nel sapere che ne può derivare. Per non intraprendere questa via, è importante dare voce alla ricerca antropologica, filosofica e teologica, che permette di far apparire e mantenere nell’uomo il suo mistero, poiché nessuna scienza può dire chi è l’uomo, da dove viene e dove va. La scienza dell’uomo diviene dunque la più necessaria di tutte le scienze. È il concetto espresso da Giovanni Paolo II nell’Enciclica Fides et ratio:  « Una grande sfida che ci aspetta al termine di questo millennio è quella di saper compiere il passaggio, tanto necessario quanto urgente, dal fenomeno al fondamento

Non è possibile fermarsi alla sola esperienza; anche quando questa esprime e rende manifesta l’interiorità dell’uomo e la sua spiritualità, è necessario che la riflessione speculativa raggiunga la sostanza spirituale e il fondamento che la sorregge » (n. 83). L’uomo va sempre al di là di quello che di lui si vede o si percepisce attraverso l’esperienza. Trascurare l’interrogativo sull’essere dell’uomo porta inevitabilmente a rifiutare di ricercare la verità obiettiva sull’essere nella sua integrità e, in tal modo, a non essere più capaci di riconoscere il fondamento sul quale riposa la dignità dell’uomo, di ogni uomo, dalla fase embrionale fino alla sua morte naturale. 

Nel corso del vostro convegno, avete sperimentato che le scienze, la filosofia e la teologia possono aiutarsi nel percepire l’identità dell’uomo, che è sempre in divenire. A partire da un interrogativo sul nuovo essere derivato dalla fusione cellulare, che è portatore di un patrimonio genetico nuovo e specifico, avete messo in luce elementi fondamentali del mistero dell’uomo, caratterizzato dalla alterità:  essere creato da Dio, essere a immagine di Dio, essere amato fatto per amare. In quanto essere umano, non è mai chiuso in se stesso; è sempre portatore di alterità e si trova fin dalla sua origine ad interagire con altri esseri umani, come ci rivelano sempre più le scienze umane. Come non ricordare qui la meravigliosa meditazione del salmista sull’essere umano, tessuto nel segreto del seno di sua madre e allo stesso tempo conosciuto, nella sua identità e nel suo mistero, da Dio solo, che lo ama e lo protegge (cfr Sal 138, 1-16)! 

L’uomo non è il frutto del caso, e neppure di un insieme di convergenze, di determinismi o di interazioni psico-chimiche; è un essere che gode di una libertà che, pur tenendo conto della sua natura, la trascende, e che è il segno del mistero di alterità che lo abita. È in questa prospettiva che il grande pensatore Pascal diceva che « l’uomo supera infinitamente l’uomo ». Questa libertà, che è propria dell’essere uomo, fa sì che quest’ultimo possa orientare la sua vita verso un fine, possa, con le azioni che compie, volgersi verso la felicità alla quale è chiamato per l’eternità. Questa libertà dimostra che l’esistenza dell’uomo ha un senso. Nell’esercizio della sua autentica libertà, la persona soddisfa la sua vocazione; si realizza e dà forma alla sua identità profonda. È anche nella messa in atto della sua libertà che esercita la propria responsabilità sulle sue azioni. In tal senso, la dignità particolare dell’essere umano è al contempo un dono di Dio e la promessa di un futuro. 

L’uomo ha in sé una capacità specifica:  quella di discernere ciò che è buono e bene. Posta in lui dal Creatore come un sigillo, la sinderesi lo spinge a fare il bene. Maturo grazie ad essa, l’uomo è chiamato a sviluppare la propria coscienza attraverso la formazione e l’esercizio, per procedere liberamente nell’esistenza, fondandosi sulle leggi fondamentali che sono la legge naturale e quella morale. Nella nostra epoca, in cui lo sviluppo delle scienze attira e seduce mediante le possibilità offerte, è più importante che mai educare le coscienze dei nostri contemporanei, affinché la scienza non divenga il criterio del bene e l’uomo sia rispettato come il centro del creato e non sia oggetto di manipolazioni ideologiche, né di decisioni arbitrarie o abusi dei più forti sui più deboli. Pericoli di cui abbiamo conosciuto le manifestazioni nel corso della storia umana, e in particolare nel corso del ventesimo secolo. 

Qualsiasi pratica scientifica deve essere anche una pratica di amore, chiamata a mettersi al servizio dell’uomo e dell’umanità, e ad apportare il suo contribuito all’edificazione dell’identità delle persone. In effetti, come ho sottolineato nell’Enciclica Deus caritas est, « L’amore comprende la totalità dell’esistenza in ogni sua dimensione, anche in quella del tempo… Amore è « estasi »… ma estasi come cammino, come esodo permanente dell’io chiuso in se stesso verso la sua liberazione nel dono di sé, proprio così verso il ritrovamento di sé » (n. 6). L’amore fa uscire da se stessi per scoprire e riconoscere l’altro; aprendo all’alterità, afferma anche l’identità del soggetto, poiché l’altro mi rivela me stesso. In tutta la Bibbia è questa l’esperienza fatta, a partire da Abramo, da numerosi credenti. Il modello per eccellenza dell’amore è Cristo. È nell’atto di dare la propria vita per i fratelli, di donarsi completamente che si manifesta la sua identità profonda e che troviamo la chiave di lettura del mistero insondabile del suo essere e della sua missione. 

Affidando le vostre ricerche all’intercessione di San Tommaso d’Aquino, che la Chiesa onora in questo giorno e che resta un « un autentico modello per quanti ricercano la verità » (Fides et ratio, n. 78), vi assicuro della mia preghiera per voi, per le vostre famiglie e per i vostri collaboratori, e imparto a tutti con affetto la Benedizione Apostolica. 

 

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buona notte

buona notte dans immagini buon...notte, giorno attwater-chick-hatchling-708075-ga

Attwater’s Prairie Chick Hatchling, Texas, 2002
Photograph by Joel Sartore

Newly hatched at Fossil Rim Wildlife Center in Glen Rose, Texas, this Attwater’s prairie-chicken is part of a captive breeding program aimed at increasing the birds’ numbers in the wild. These charismatic birds once numbered about a million along the Texas coastline, but overhunting and habitat loss have cut their wild population to just 50 or so. Captive breeding programs like this one are trying to reverse the trend.

(Text adapted from and photo shot on assignment for, but not published in, « Down to a Handful, » March 2002, National Geographic magazine)

http://photography.nationalgeographic.com/photography/photo-of-the-day/attwater-chick-hatchling.html

Publié dans:immagini buon...notte, giorno |on 29 janvier, 2008 |Pas de commentaires »

 dal sito: 

http://www.levangileauquotidien.org/

Isacco della Stella (? – circa 1171), monaco cistercense
Discorsi, 51 ; PL 194, 1862

« Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre »

Il Figlio di Dio è il primogenito tra molti fratelli (Rm 8,29); unico per natura, mediante la grazia si è associato molti, perché siano uno solo con lui. Infatti « a quanti l’hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio » (Gv 1,12). Divenuto perciò figlio dell’uomo, ha fatto diventare figli di Dio molti. Se ne è dunque associati molti, lui che è unico nel suo amore e nel suo potere; ed essi, pur essendo molti per generazione carnale, sono con lui uno solo per la rigenerazione divina. Il Cristo è unico, perché Capo e corpo formano un tutt’uno (Col 1,18).

Il Cristo è unico perché è Figlio di un unico Dio in cielo e di un’unica madre in terra. Si hanno contemporaneamente molti figli e un solo figlio. Come infatti Capo e membra sono insieme un solo figlio e molti figli, così Maria e la Chiesa sono una sola e più madri, una sola e più vergini. Ambedue madri, ambedue vergini, ambedue concepiscono per opera dello Spirito Santo senza concupiscenza, ambedue danno al Padre figli senza peccato. Maria senza alcun peccato ha generato al corpo il Capo, la Chiesa nella remissione di tutti i peccati ha partorito al Capo il corpo. Tutt’e due sono madri di Cristo, ma nessuna delle due genera il tutto senza l’altra. Perciò giustamente nelle scritture divinamente ispirate quel ch’è detto in generale della vergine madre Chiesa, s’intende singolarmente della Vergine madre Maria; e quel che si dice in modo speciale della Vergine madre Maria, va riferito in generale alla madre Chiesa.

Publié dans:Bibbia: commenti alla Scrittura |on 29 janvier, 2008 |Pas de commentaires »

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