Archive pour le 8 janvier, 2008

Battesimo del Signore

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Colui che ha voluto nascere per noi, non ha voluto essere ignorato da noi.

Seconda lettura dall’Ufficio delle Letture di ieri 7.1.08, dal mio libro della Liturgia delle Ore: 

Seconda Lettura
Dai «Discorsi» di san Pietro Crisòlogo, vescovo
(Disc. 160; Pl 52, 620-622)

Colui che ha voluto nascere per noi, non ha voluto essere ignorato da noi.

Benché nel mistero stesso dell’Incarnazione del Signore i segni della sua divinità siano stati sempre chiari, tuttavia la solennità odierna ci manifesta e ci svela in molte maniere che Dio è apparso in corpo umano, perché la nostra natura mortale, sempre avvolta nell’oscurità, non perdesse, per ignoranza, ciò che ha meritato di ricevere e possedere per grazia.
Infatti colui che ha voluto nascere per noi, non ha voluto rimanere a noi nascosto; e perciò si manifesta in questo modo, perché questo grande mistero di pietà non diventi occasione di errore. 
Oggi i magi, che lo ricercavano splendente fra le stelle, lo trovano che vagisce nella culla. Oggi i magi vedono chiaramente, avvolto in panni, colui che tanto lungamente si accontentarono di contemplare in modo oscuro negli astri. Oggi i magi considerano con grande stupore ciò che vedono nel presepio: il cielo calato sulla terra, la terra elevata fino al cielo, l’uomo in Dio, Dio nell’uomo, e colui che il mondo intero non può contenere, racchiuso in un minuscolo corpo.
Vedendo, credono e non discutono e lo proclamano per quello che è con i loro doni simbolici. Con l’incenso lo riconoscono Dio, con l’oro lo accettano quale re, con la mirra esprimono la fede in colui che sarebbe dovuto morire. 
Da questo il pagano, che era ultimo, è diventato primo, perché allora la fede dei gentili fu come inaugurata da quella dei magi.
Oggi Cristo è sceso nel letto del Giordano per lavare i peccati del mondo. Lo stesso Giovanni attesta che egli è venuto proprio per questo: «Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo» (Gv 1, 29). Oggi il servo ha tra le mani il padrone, l’uomo Dio, Giovanni Cristo; lo tiene per ricevere il perdono, non per darglielo.
Oggi, come dice il Profeta: «La voce del Signore è sulle acque» (cfr. Sal 28, 23). Quale voce? «Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto» (Mt 3, 17).
Oggi lo Spirito Santo si libra sulle acque sotto forma di colomba, perché, come la colomba di Noè aveva annunziato che il diluvio universale era cessato, così, a indicazione di questa, si comprendesse che l’eterno naufragio del mondo era finito; e non portò come quella un ramoscello dell’antico ulivo, ma effuse tutta l’ubertosità del nuovo crisma sul capo del nuovo progenitore, perché si adempisse quanto il Profeta aveva predetto: «Perciò Dio, il tuo Dio, ti ha consacrato con olio di letizia a preferenza dei tuoi eguali» (Sal 44, 8).
Oggi Cristo dà inizio ai celesti portenti, cambiando le acque in vino; ma l’acqua doveva poi mutarsi nel sacramento del sangue, perché Cristo versasse, a chi vuol bere, puri calici dalla pienezza della sua grazia. Si adempiva così il detto del Profeta: «Com’è prezioso il mio calice che trabocca! » (cfr. Sal 22, 5). 

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Riflessione di Benedetto XVI sulla divina maternità di Maria

dal sito:

http://www.zenit.org/article-13034?l=italian  

Riflessione di Benedetto XVI sulla divina maternità di Maria 

Discorso per l’Udienza generale del 2 gennaio 

CITTA’ DEL VATICANO, domenica, 6 gennaio 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il discorso pronunciato il 2 gennaio da Benedetto XVI in occasione dell’Udienza generale nell’Aula Paolo VI, dove ha incontrato i pellegrini e i fedeli giunti dall’Italia e da ogni parte del mondo. 

Nella sua riflessione, il Papa si è soffermato sulla divina maternità di Maria. 

* * * 

Cari fratelli e sorelle! 

Un’antichissima formula di benedizione, riportata nel Libro dei Numeri, recita: « Ti benedica il Signore e ti protegga. Il Signore faccia brillare il suo volto su di te e ti sia propizio. Il Signore rivolga su di te il suo volto e ti conceda pace » (Nm 6,24–26). Con queste parole che la liturgia ci ha fatto riascoltare ieri, primo giorno dell’anno, vorrei formulare cordiali auguri a voi, qui presenti, e a quanti in queste feste natalizie mi hanno fatto pervenire attestati di affettuosa vicinanza spirituale. 

Ieri abbiamo celebrato la solenne festa di Maria, Madre di Dio. « Madre di Dio », Theotokos, è il titolo attribuito ufficialmente a Maria nel V secolo, esattamente nel Concilio di Efeso del 431, ma affermatosi nella devozione del popolo cristiano già a partire dal III secolo, nel contesto delle accese discussioni di quel periodo sulla persona di Cristo. Si sottolineava, con quel titolo, che Cristo è Dio ed è realmente nato come uomo da Maria: veniva così preservata la sua unità di vero Dio e di vero uomo. In verità, quantunque il dibattito sembrasse vertere su Maria, esso riguardava essenzialmente il Figlio. Volendo salvaguardare la piena umanità di Gesù, alcuni Padri suggerivano un termine più attenuato: invece del titolo di Theotokos, proponevano quello di Christotokos, « Madre di Cristo »; giustamente però ciò venne visto come una minaccia alla dottrina della piena unità della divinità con l’umanità di Cristo. Perciò, dopo ampia discussione, nel Concilio di Efeso del 431, come ho detto, venne solennemente confermata, da una parte, l’unità delle due nature, quella divina e quella umana, nella persona del Figlio di Dio (cfr DS, n. 250) e, dall’altra, la legittimità dell’attribuzione alla Vergine del titolo di Theotokos, Madre di Dio (ibid., n. 251). 

Dopo questo Concilio si registrò una vera esplosione di devozione mariana e furono costruite numerose chiese dedicate alla Madre di Dio. Tra queste primeggia la Basilica di Santa Maria Maggiore, qui a Roma. La dottrina concernente Maria, Madre di Dio, trovò inoltre nuova conferma nel Concilio di Calcedonia (451) in cui Cristo fu dichiarato « vero Dio e vero uomo (…) nato per noi e per la nostra salvezza da Maria, Vergine e Madre di Dio, nella sua umanità » (DS, n. 301). Com’è noto, il Concilio Vaticano II ha raccolto in un capitolo della Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium, l’ottavo, la dottrina su Maria, ribadendone la divina maternità. Il capitolo s’intitola: « La Beata Maria Vergine, Madre di Dio, nel mistero di Cristo e della Chiesa ». 

La qualifica di Madre di Dio, così profondamente legata alle festività natalizie, è pertanto l’appellativo fondamentale con cui la Comunità dei credenti onora, potremmo dire, da sempre la Vergine Santa. Essa esprime bene la missione di Maria nella storia della salvezza. Tutti gli altri titoli attribuiti alla Madonna trovano il loro fondamento nella sua vocazione ad essere la Madre del Redentore, la creatura umana eletta da Dio per realizzare il piano della salvezza, incentrato sul grande mistero dell’incarnazione del Verbo divino. In questi giorni di festa ci siamo soffermati a contemplare nel presepe la rappresentazione della Natività. Al centro di questa scena troviamo la Vergine Madre che offre Gesù Bambino alla contemplazione di quanti si recano ad adorare il Salvatore: i pastori, la gente povera di Betlemme, i Magi venuti dall’Oriente. Più tardi, nella festa della « Presentazione del Signore », che celebreremo il 2 febbraio, saranno il vecchio Simeone e la profetessa Anna a ricevere dalle mani della Madre il piccolo Bambino e ad adorarlo. La devozione del popolo cristiano ha sempre considerato la nascita di Gesù e la divina maternità di Maria come due aspetti dello stesso mistero dell’incarnazione del Verbo divino e perciò non ha mai considerato la Natività come una cosa del passato. Noi siamo « contemporanei » dei pastori, dei magi, di Simeone e di Anna, e mentre andiamo con loro siamo pieni di gioia, perchè Dio ha voluto essere il Dio con noi ed ha una madre, che è la nostra madre. 

Dal titolo di « Madre di Dio » derivano poi tutti gli altri titoli con cui la Chiesa onora la Madonna, ma questo è il fondamentale. Pensiamo al privilegio dell’ »Immacolata Concezione », all’essere cioè immune dal peccato fin dal suo concepimento: Maria fu preservata da ogni macchia di peccato perché doveva essere la Madre del Redentore. La stessa cosa vale per il titolo di « Assunta »: non poteva essere soggetta alla corruzione derivante dal peccato originale Colei che aveva generato il Salvatore. E sappiamo che tutti questi privilegi non sono concessi per allontanare Maria da noi, ma al contrario per renderla vicina; infatti, essendo totalmente con Dio, questa Donna è vicinissima a noi e ci aiuta come madre e come sorella. Anche il posto unico e irripetibile che Maria ha nella Comunità dei credenti deriva da questa sua fondamentale vocazione ad essere la Madre del Redentore. Proprio in quanto tale, Maria è anche la Madre del Corpo Mistico di Cristo, che è la Chiesa. Giustamente, pertanto, durante il Concilio Vaticano II, il 21 novembre 1964, Paolo VI attribuì solennemente a Maria il titolo di « Madre della Chiesa ». 

Proprio perché Madre della Chiesa, la Vergine è anche Madre di ciascuno di noi, che siamo membra del Corpo mistico di Cristo. Dalla Croce Gesù ha affidato la Madre ad ogni suo discepolo e, allo stesso tempo, ha affidato ogni suo discepolo all’amore della Madre sua. L’evangelista Giovanni conclude il breve e suggestivo racconto con le parole: « E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa » (Gv 19,27). Così è la traduzione italiana del testo greco: «èis tà ìdia», egli l’accolse nella realtà propria, nel suo proprio essere. Così che fa parte della sua vita e le due vite si compenetrano; e questo accettarla (èis tà ìdia) nella propria vita è il testamento del Signore. Dunque, al momento supremo del compimento della missione messianica, Gesù lascia a ciascuno dei suoi discepoli, come eredità preziosa, la sua stessa Madre, la Vergine Maria. 

Cari fratelli e sorelle, in questi primi giorni dell’anno, siamo invitati a considerare attentamente l’importanza della presenza di Maria nella vita della Chiesa e nella nostra esistenza personale. Affidiamoci a Lei perchè guidi i nostri passi in questo nuovo periodo di tempo che il Signore ci dona da vivere, e ci aiuti ad essere autentici amici del suo Figlio e così anche coraggiosi artefici del suo Regno nel mondo, Regno della luce e della verità. Buon Anno a tutti! È questo l’augurio che desidero rivolgere a voi qui presenti e ai vostri cari in questa prima Udienza generale del 2008. Che il nuovo anno, iniziato sotto il segno della Vergine Maria, ci faccia sentire più vivamente la sua presenza materna, così che, sostenuti e confortati dalla protezione della Vergine, possiamo contemplare con occhi rinnovati il volto del suo Figlio Gesù e camminare più speditamente sulle vie del bene. 

Ancora una volta, Buon Anno a tutti! 

[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:] 

A tutti i pellegrini di lingua italiana presenti a questa prima Udienza Generale del 2008 porgo un affettuoso augurio di serenità e di bene per il nuovo anno. 

Uno speciale saluto rivolgo alla Comunità dei Legionari di Cristo, che provengono da diversi Paesi, in particolare ai sacerdoti novelli e ai rappresentanti di « Regnum Christi ». Carissimi, il mistero dell’Incarnazione che celebriamo in questo tempo liturgico vi illumini nel cammino della fedeltà a Cristo. Sull’esempio di Maria, sappiate custodire, meditare e seguire il Verbo che a Betlemme si è fatto carne, e diffondere con entusiasmo il suo messaggio di salvezza. 

Saluto, infine, i giovani, i malati e gli sposi novelli. A voi, cari giovani, auguro di saper considerare ogni giorno come un dono di Dio, da accogliere con riconoscenza e da vivere con rettitudine. A voi, cari malati, il nuovo anno porti consolazione nel corpo e nello spirito. E voi, cari sposi novelli, ponetevi alla scuola della Santa Famiglia di Nazareth, per imparare a realizzare un’autentica comunione di vita e d’amore. 

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Tra storicità dei Vangeli canonici e contributo degli apocrifi (Parte I)

dal sito:

http://www.zenit.org/article-13056?l=italian

Tra storicità dei Vangeli canonici e contributo degli apocrifi (Parte I)

 Intervista a padre Bernardo Estrada, docente di Nuovo Testamento 

Di Mirko Testa

 ROMA, lunedì, 7 gennaio 2008 (ZENIT.org).- La consistenza storica dei Vangeli canonici sta nella loro stessa genesi, cioè nella continuità tra la predicazione di Gesù, la predicazione apostolica e la loro redazione. 

Ad affermarlo in questa intervista a ZENIT è padre Bernardo Estrada, Ordinario di Nuovo Testamento presso la Facoltà di Teologia dell’Università della Santa Croce (Roma), il quale cita anche alcune testimonianze extrabibliche che avvalorano il contenuto dei Vangeli. 

Innanzitutto, ci spieghi il percorso che ha portato alla redazione dei Vangeli? 

Padre Estrada: Possiamo dire che i Vangeli iniziano con la predicazione di Gesù, il quale non ha scritto di proprio pugno praticamente nulla se non quelle poche parole tracciate sulla sabbia quando gli venne presentata una donna colta in adulterio. Di Gesù Cristo si sa soprattutto che predicava. C’è da rilevare a questo riguardo che l’esigenza di predicare e insegnare a memoria era una abitudine costante del tempo, perché la scrittura era impraticabile in condizioni normali. 

Tuttavia dopo la passione e morte di Gesù, la predicazione della Chiesa si è fondata proprio sull’evento pasquale. E’ questo il fondamento di tutta la nostra fede, non solo perché Paolo lo dice alla fine della Lettera ai Corinzi ma perché proprio il kerygma, l’annuncio fondamentale della Chiesa dopo la Pentecoste, è stato “Gesù Cristo crocifisso e risorto”. Il Vangelo come tale era, come afferma San Paolo, proclamazione del “gioioso messaggio” che Dio ci ha salvati dalla morte eterna con la morte e risurrezione del suo Figlio Gesù. 

Solo nella seconda metà del II sec. San Giustino nello scrivere nel 160 la sua Apologia afferma che le memorie degli Apostoli vengono chiamate Vangeli. E’ la prima testimonianza in cui si passa dal Vangelo come annuncio predicato al Vangelo come testo. Dopo questa dichiarazione apostolica possiamo dire che gli autori sacri, cioè gli evangelisti di cui almeno due erano apostoli sono giunti alla stesura dei libri. Per questo si può dire che i Vangeli hanno una consistenza storica, perché riflettono questi tre stadi nella loro formazione con una continuità che non ha mai smesso di esistere. Una continuità che lega insieme la predicazione di Gesù, la predicazione apostolica e la redazione del Vangelo. 

I Vangeli “canonici”, cioè quei Vangeli accolti dalla Chiesa per la loro origine “apostolica” e per la loro “conformità con la norma della fede” delle primitive comunità cristiane e delle maggiori Chiese di origine apostolica, sono stati composti tra il 60 e il 100 d.C. Quali sono i criteri che ne testimoniano la storicità? 

Padre Estrada: Gli esponenti più radicali della critica storica ritenevano che ci fosse una distanza tale tra la redazione dei Vangeli e la vita di Gesù che tutta una generazione di testimoni oculari era svanita. Ma questo non è vero. Infatti, il primo Vangelo, che si sa essere stato scritto da Marco, risale all’anno 64 d.C., ovvero 34 anni dopo la data probabile della morte di Gesù. In quegli anni cosa si è fatto? Essenzialmente si è predicato il Vangelo in diversi luoghi, si è ruminato su quell’annuncio, fornendo ad esso una sistemazione teologica, che è quello che fa Paolo. Infatti i Vangeli sono stati scritti dopo che Paolo ha elaborato praticamente tutta la sua teologia. Intorno al 64 d.C. tutte le Lettere erano state scritte, comprese quelle pastorali, se è vero che lui ne fu l’autore. Possiamo dire che in quegli anni i Vangeli hanno subito una evoluzione più teologica che non biografica, perché i fatti e i detti della vita di Gesù erano già accertati. 

Allora, quali sono i criteri per poter separare con una certa sicurezza ciò che è storico da ciò che non lo è? Nella seconda metà del XX sec. sono stati sviluppati diversi criteri storici, tra cui quello della “discontinuità”, che si concentra su quelle parole o quei fatti di Gesù che non possono derivare né dal giudaismo del tempo di Gesù né dalla Chiesa primitiva dopo di lui. Ad esempio, nel Vangelo di Matteo Gesù si confronta criticamente con le Scritture e con Mosè, come nessun rabbino avrebbe mai fatto, rivelando la superiorità della nuova legge da lui proclamata che non ricalca lo stile esteriore dei farisei ma ha sede nell’intimità del cuore. 

Un altro criterio è quello che viene chiamato dell’ “imbarazzo”, secondo cui la Chiesa non avrebbe mai comunicato un fatto che avrebbe umiliato Gesù, a partire dalla croce che è il caso più emblematico e paradigmatico. Il battesimo ad opera di Giovanni se non fosse avvenuto realmente non sarebbe venuto in mente a nessun autore. Così come l’apparizione alle donne, perché a quel tempo le donne non erano testimoni qualificati a Israele. 

Le notevoli affinità tra i testi di Matteo e Luca hanno portato diversi studiosi ad affermare l’esistenza di una fonte comune, tale da far pensare che si rifacessero in realtà a fonti indirette e non di prima mano. Lei che ne pensa? 

Padre Estrada: Possiamo ammettere che i Vangeli di Mattero e di Luca abbiano avuto una fonte comune, perché esiste una serie di narrrazioni, soprattutto di detti, che non appaiono in Marco. Ma ciò che stupisce non è che Matteo e Luca abbiano avuto una fonte comune, quanto le loro differenze. Per esempio tutti e due raccontano dell’infanzia di Gesù, ma ciascuno lo fa attraverso degli eventi che l’altro nemmeno conosce. In Matteo il protagonista dell’infanzia di Gesù è Giuseppe, mentre in Luca è Maria. Se ci fossero state troppe affinità ciò avrebbe potuto far supporre che vi era stato un accordo fra i due. Evidentemente i due evangelisti avevano una fonte propria cui attingere e un’altra che hanno condiviso. 

Esistono fonti storiche indipendenti dai Vangeli canonici che ne avvalorano il contenuto? 

Padre Estrada: La storicità dei Vangeli viene avallata solo dai Vangeli stessi, mediante la loro formazione. Esistono tuttavia delle testimonianze extrabibliche che non sono da disprezzare. La prima è quella di Plinio il Giovane, che fu proconsole della Bitinia negli anni 111-113 d.C., e che in una delle epistole inviate all’imperatore Traiano scrive che i cristiani erano “soliti riunirsi prima dell’alba e intonare a cori alterni un inno a Cristo come se fosse un dio”. Quindi, afferma che erano convinti della divinità del Cristo. 

Svetonio, invece, nella sua opera “Vita dei dodici Cesari”, riferendo un fatto accaduto intorno al 50 d.C., afferma che Claudio “espulse da Roma i Giudei che per istigazione di Cresto erano continua causa di disordine” (Vita Claudii XXIII, 4). Svetonio scrisse “Chrestus” in luogo di “Christus”, non conoscendo la differenza tra giudei e cristiani, e per la somiglianza tra Chrestòs, che era un nome greco molto comune, e Christòs che voleva dire l’ “unto”, il “Messia”. Qundi esistevano a Roma giudeo cristiani e – direi – ebrei non convertiti che disputavano fra di loro su Cristo e che potevano apparire agli occhi dell’autorità romana come causa di disordine pubblico. 

E poi c’è la testimonianza dello storico romano Tacito che negli Annali narra dell’incendio scoppiato a Roma nel 64 d.C., di cui fu accusato l’imperatore Nerone, il quale fece di tutto “per far cessare tale diceria”, e per questo “si inventò dei colpevoli e sottomise a pene raffinatissime coloro che la plebaglia, detestandoli a causa delle loro nefandezze, denominava cristiani”. Tacito afferma inoltre che l’“origine di questo nome era Cristo, il quale sotto l’impero di Tiberio era stato condannato al supplizio dal procuratore Ponzio Pilato; e, momentaneamente sopita, questa esiziale superstizione di nuovo si diffondeva, non solo per la Giudea, focolare di quel morbo, ma anche a Roma, dove da ogni parte confluisce e viene tenuto in onore tutto ciò che vi è di turpe e di vergognoso” (Ann. XV, 44). 

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buona notte

buona notte dans immagini buon...notte, giorno

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« Spezzo i pani e divise i due pesci per tutti.Tutti mangiarono e si sfamarono »

dal sito: 

http://levangileauquotidien.org/

Santa Caterina da Siena (1347-1380), terziaria domenicana, dottore della Chiesa
Il Dialogo

« Spezzo i pani e divise i due pesci per tutti.Tutti mangiarono e si sfamarono »

Gesù diceva a santa Caterina : « In questo dolcissimo sacramento, ricevete proprio tutta l’Essenza divina, sotto il biancore di questo pane. Come indivisibile è i sole, così Dio si trova tutto intero, e l’uomo tutto intero, nel biancore dell’ostia. Anche se fosse possibile dividere l’ostia in mille e mille briciole, in ognuna sarei ancora, Dio tutto intero, uomo tutto intero, come ho detto a te…

Supponiamo che numerose persone vengano a cercare la luce con ceri. Una porta un cero di un oncia, un’altra di due once, una terza di tre once, questa di una libbra, quella di più ancora. Tutte si avvicinano alla luce e ognuna accende il suo cero. A ciascun cero acceso, qualunque sia il suo volume, si vede ormai la luce tutta intera, il suo colore, il suo calore, il suo chiarore…Così succede a quanti si avvicinano a questo sacramento. Ognuno porta il suo cero, ossia il santo desiderio con il quale riceve e prende il sacramento. Quando uno riceve il sacramento, il cero, spento, viene acceso. Dico che è spento, perché da parte vostra, non siete nulla. Vi ho dato, è vero, la materia con la quale potete ricevere e conservare in voi questa luce. Questa materia è l’amore, perché per amore vi ho creati ; perciò, non potete vivere senza amore. »

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