di Sandro Magister : Sorpresa: il papa porta la curia in Brasile

il testo ed i riferimenti proposti da Magister sul sito:  

http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/184121

  

Sorpresa: il papa porta la curia in Brasile

 Nel discorso prenatalizio alla curia romana Benedetto XVI ha ribadito le finalità del suo viaggio nel più grande paese dell’America Latina: rimettere la Chiesa in stato di missione e annunciare Gesù a tutti i popoli della terra. Anche ai musulmanidi Sandro Magister  

ROMA, 24 dicembre 2007 – A sorpresa, Benedetto XVI ha dedicato quasi tutto il discorso prenatalizio alla curia romana di tre giorni fa a una riflessione sul suo viaggio in Brasile.

Nei discorsi alla curia che hanno preceduto i Natali del 2005 e del 2006 papa Joseph Ratzinger aveva argomentato tesi centralissime del suo pontificato: a cominciare dalla sua interpretazione del Concilio Vaticano II.

Questa volta, invece, egli ha concentrato il discorso proprio sul momento apparentemente meno riuscito della sua attività di papa: quel suo viaggio in Brasile, dal 9 al 14 maggio, che ha avuto scarsa risonanza nell’opinione pubblica, ha sollevato varie critiche all’interno della Chiesa e ha dato il via, ad Aparecida, a una conferenza dell’episcopato dell’America Latina anch’essa meno brillante di altre del passato.

Ma basta vedere che cosa ha detto il papa prendendo spunto dal suo viaggio in Brasile per capire come anche questa volta egli sia andato al cuore della ragione d’essere della Chiesa.

Le obiezioni che Benedetto XVI ha affrontato sono due. La prima è che ad Aparecida si sia sbagliato tema, la Chiesa si sia ritirata su questioni troppo spirituali e interiori invece di affrontare le grandi sfide della storia, in materia di giustizia, di pace, di libertà.

A questo egli ha risposto che solo l’incontro con Gesù e il suo Vangelo infonde negli uomini « quelle forze del bene senza le quali tutti i nostri programmi di ordine sociale non diventano realtà, ma – di fronte alla pressione strapotente di altri interessi contrari alla pace ed alla giustizia – rimangono solo teorie astratte ».

La seconda obiezione l’ha così formulata:

« È lecito ancora oggi ‘evangelizzare’? Non dovrebbero piuttosto tutte le religioni e concezioni del mondo convivere pacificamente e cercare di fare insieme il meglio per l’umanità, ciascuna nel proprio modo? ».

Ad essa ha risposto che sì, è giusta un’azione comune tra le diverse religioni « in difesa dell’effettivo rispetto della dignità di ogni persona umana per l’edificazione di una società più giusta e solidale ». E a questo proposito ha citato la lettera dei 138 leader religiosi musulmani e la sua risposta.

Ma ciò non vieta, anzi, che Gesù sia annunciato a tutti i popoli:

« Chi ha riconosciuto una grande verità, chi ha trovato una grande gioia, deve trasmetterla, non può affatto tenerla per sé. [...] In Gesù Cristo è sorta per noi una grande luce, ‘la’ grande Luce: non possiamo metterla sotto il moggio, ma dobbiamo elevarla sul lucerniere, perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa ».

Due giorni dopo, all’Angelus di domenica 23 dicembre, Benedetto XVI ha insistito di nuovo su questo impegno missionario, citando la « Nota dottrinale su alcuni aspetti dell’evangelizzazione » diffusa il 14 dicembre scorso dalla congregazione per la dottrina della fede:

« Il documento si propone, in effetti, di ricordare a tutti i cristiani – in una situazione in cui spesso non è più chiara nemmeno a molti fedeli la stessa ragione d’essere dell’evangelizzazione – che l’accoglienza della Buona Novella nella fede spinge di per sé a comunicare la salvezza ricevuta in dono. [...] Nulla è più bello, urgente ed importante che ridonare gratuitamente agli uomini quanto gratuitamente abbiamo ricevuto da Dio! Nulla ci può esimere o sollevare da questo oneroso ed affascinante impegno. La gioia del Natale, che già pregustiamo, mentre ci colma di speranza, ci spinge al tempo stesso ad annunciare a tutti la presenza di Dio in mezzo a noi ».

Questo lo scheletro del discorso alla curia romana. Ma l’interessante è seguire l’argomentazione.

Ecco qui di seguito un ampio estratto del discorso di Benedetto XVI, letto la mattina del 21 dicembre 2007 nella Sala Clementina del palazzo Apostolico:

Tutti discepoli di Gesù. E missionari

di Benedetto XVI

[...] Un altro anno sta per finire. Come primo evento saliente di questo periodo, trascorso tanto velocemente, vorrei menzionare il viaggio in Brasile. Il suo scopo era l’incontro con la V Conferenza generale dell’episcopato dell’America Latina e dei Caraibi e conseguentemente, più in generale, un incontro con la Chiesa nel vasto continente latino-americano.

Prima di soffermarmi sulla Conferenza di Aparecida, vorrei parlare di alcuni momenti culminanti di quel viaggio.

Innanzitutto mi rimane nella memoria la solenne serata con i giovani nello stadio di São Paolo: in essa, nonostante le temperature rigide, ci trovammo tutti uniti da una grande gioia interiore, da un’esperienza viva di comunione e dalla chiara volontà di essere, nello Spirito di Gesù Cristo, servi della riconciliazione, amici dei poveri e dei sofferenti e messaggeri di quel bene il cui splendore abbiamo incontrato nel Vangelo. Esistono manifestazioni di massa che hanno solo l’effetto di un’autoaffermazione; in esse ci si lascia travolgere dall’ebbrezza del ritmo e dei suoni, finendo per trarre gioia soltanto da se stessi. Lì invece ci si aprì proprio l’animo; la profonda comunione che in quella sera si instaurò spontaneamente tra di noi, nell’essere gli uni con gli altri, portò con sé un essere gli uni per gli altri. Non fu una fuga davanti alla vita quotidiana, ma si trasformò nella forza di accettare la vita in modo nuovo. [...]

Rimane indimenticabile anche il giorno in cui [...] ho potuto canonizzare Frei Galvão, un figlio del Brasile, proclamandolo santo per la Chiesa universale. [...] Circa il ritorno definitivo di Cristo, nella parusía, ci è stato detto che Egli non verrà da solo, ma insieme con tutti i suoi santi. Così, ogni santo che entra nella storia costituisce già una piccola porzione del ritorno di Cristo, un suo nuovo ingresso nel tempo, che ce ne mostra l’immagine in modo nuovo e ci rende sicuri della sua presenza. Gesù Cristo non appartiene al passato e non è confinato in un futuro lontano, il cui avvento non abbiamo neppure il coraggio di chiedere. Egli arriva con una grande processione di santi. Insieme ai suoi santi è già sempre in cammino verso di noi, verso il nostro oggi.

Con particolare vivacità ricordo il giorno nella Fazenda da Esperança, in cui persone, cadute nella schiavitù della droga, ritrovano libertà e speranza. Arrivando lì, come prima cosa, ho percepito in modo nuovo la forza risanatrice della creazione di Dio. Montagne verdi circondano l’ampia vallata; indirizzano lo sguardo verso l’alto e, allo stesso tempo, danno un senso di protezione. Dal tabernacolo della chiesetta delle Carmelitane scaturisce una sorgente di acqua limpida che richiama la profezia di Ezechiele circa l’acqua che, scaturendo dal Tempio, disintossica la terra salata e fa crescere alberi che procurano la vita. Dobbiamo difendere la creazione non soltanto in vista delle nostre utilità, ma per se stessa – come messaggio del Creatore, come dono di bellezza, che è promessa e speranza. Sì, l’uomo ha bisogno della trascendenza. Solo Dio basta, ha detto Teresa d’Avila. Se Lui viene a mancare, allora l’uomo deve cercare di superare da sé i confini del mondo, di aprire davanti a sé lo spazio sconfinato per il quale è stato creato. Allora, la droga diventa per lui quasi una necessità. Ma ben presto scopre che questa è una sconfinatezza illusoria – una beffa, si potrebbe dire, che il diavolo fa all’uomo. Lì, nella Fazenda da Esperança, i confini del mondo vengono veramente superati, si apre lo sguardo verso Dio, verso l’ampiezza della nostra vita, e così avviene un risanamento. [...]

Poi vorrei ricordare l’incontro con i vescovi brasiliani nella cattedrale di São Paulo. La musica solenne che ci accompagnò rimane indimenticabile. A renderla particolarmente bella fu il fatto che venne eseguita da un coro e un’orchestra formati da giovani poveri di quella città. Quelle persone ci hanno così offerto l’esperienza della bellezza che fa parte di quei doni per mezzo dei quali vengono superati i limiti della quotidianità del mondo e noi possiamo percepire realtà più grandi che ci rendono sicuri della bellezza di Dio. [...]

E alla fine Aparecida. [...] Era cosa buona che lì ci riunissimo e lì elaborassimo il documento sul tema “Discipulos e misioneros de Jesucristo, para que en Él tengan la vida”. Certamente, qualcuno potrebbe subito fare la domanda: Ma era questo il tema giusto in quest’ora della storia che noi stiamo vivendo? Non era forse una svolta eccessiva verso l’interiorità, in un momento in cui le grandi sfide della storia, le questioni urgenti circa la giustizia, la pace e la libertà richiedono il pieno impegno di tutti gli uomini di buona volontà, e in modo particolare della cristianità e della Chiesa? Non si sarebbero dovuti affrontare piuttosto questi problemi, invece di ritrarsi nel mondo interiore della fede?

Rimandiamo, per il momento, a dopo questa obiezione. Prima di rispondere ad essa, infatti, è necessario comprendere bene il tema stesso nel suo vero significato; una volta fatto questo, la risposta all’obiezione si delinea da sé.

La parola-chiave del tema è: trovare la vita – la vita vera. Con ciò il tema suppone che questo obiettivo, su cui forse tutti sono d’accordo, viene raggiunto nel discepolato di Gesù Cristo come anche nell’impegno per la sua parola e la sua presenza. I cristiani in America Latina, e con loro quelli di tutto il mondo, vengono quindi innanzitutto invitati a ridiventare maggiormente “discepoli di Gesù Cristo” – cosa che, in fondo, già siamo in virtù del Battesimo, senza che ciò tolga che dobbiamo diventarlo sempre nuovamente nella viva appropriazione del dono di quel Sacramento.

Essere discepoli di Cristo – che cosa significa? Ebbene, significa in primo luogo: arrivare a conoscerlo. Come avviene questo? È un invito ad ascoltarlo così come Egli ci parla nel testo della Sacra Scrittura, come si rivolge a noi e ci viene incontro nella comune preghiera della Chiesa, nei Sacramenti e nella testimonianza dei santi.

Non si può mai conoscere Cristo solo teoricamente. Con grande dottrina si può sapere tutto sulle Sacre Scritture, senza averLo incontrato mai. Fa parte integrante del conoscerLo il camminare insieme con Lui, l’entrare nei suoi sentimenti, come dice la Lettera ai Filippesi (2,5). Paolo descrive questi sentimenti brevemente così: avere lo stesso amore, formare insieme un’anima sola (sýmpsychoi), andare d’accordo, non fare niente per rivalità e vanagloria, non mirando ciascuno ai propri interessi soltanto, ma anche a quelli degli altri (2,2-4).

La catechesi non può mai essere solo un insegnamento intellettuale, deve sempre diventare anche un impratichirsi della comunione di vita con Cristo, un esercitarsi nell’umiltà, nella giustizia e nell’amore. Solo così camminiamo con Gesù Cristo sulla sua via, solo così si apre l’occhio del nostro cuore; solo così impariamo a comprendere la Scrittura ed incontriamo Lui.

L’incontro con Gesù Cristo richiede l’ascolto, richiede la risposta nella preghiera e nel praticare ciò che Egli ci dice. Venendo a conoscere Cristo veniamo a conoscere Dio, e solo a partire da Dio comprendiamo l’uomo e il mondo, un mondo che altrimenti rimane una domanda senza senso.

Diventare discepoli di Cristo è dunque un cammino di educazione verso il nostro vero essere, verso il giusto essere uomini.

Nell’Antico Testamento, l’atteggiamento di fondo dell’uomo che vive la parola di Dio veniva riassunto nel termine zadic – il giusto: chi vive secondo la parola di Dio diventa un giusto; egli pratica e vive la giustizia.

Nel cristianesimo, l’atteggiamento dei discepoli di Gesù Cristo veniva poi espresso con un’altra parola: il fedele. La fede comprende tutto; questa parola ora indica insieme l’essere con Cristo e l’essere con la sua giustizia. Riceviamo nella fede la giustizia di Cristo, la viviamo in prima persona e la trasmettiamo.

Il documento di Aparecida concretizza tutto ciò parlando della buona notizia sulla dignità dell’uomo, sulla vita, sulla famiglia, sulla scienza e la tecnologia, sul lavoro umano, sulla destinazione universale dei beni della terra e sull’ecologia: dimensioni nelle quali si articola la nostra giustizia, viene vissuta la fede e vengono date risposte alle sfide del tempo.

Il discepolo di Gesù Cristo deve essere anche “missionario”, messaggero del Vangelo, ci dice quel documento. Anche qui si leva un’obiezione: è lecito ancora oggi “evangelizzare”? Non dovrebbero piuttosto tutte le religioni e concezioni del mondo convivere pacificamente e cercare di fare insieme il meglio per l’umanità, ciascuna nel proprio modo?

Ebbene, è indiscutibile che dobbiamo tutti convivere e cooperare nella tolleranza e nel rispetto reciproci. La Chiesa cattolica si impegna per questo con grande energia e, con i due incontri di Assisi, ha lasciato anche indicazioni evidenti in questo senso, indicazioni che, nell’incontro a Napoli di quest’anno, abbiamo ripreso nuovamente.

Al riguardo mi piace qui ricordare la lettera gentilmente inviatami il 13 ottobre scorso da 138 leader religiosi musulmani per testimoniare il loro comune impegno nella promozione della pace nel mondo. Con gioia ho risposto esprimendo la mia convinta adesione a tali nobili intendimenti e sottolineando al tempo stesso l’urgenza di un concorde impegno per la tutela dei valori del rispetto reciproco, del dialogo e della collaborazione. Il riconoscimento condiviso dell’esistenza di un unico Dio, provvido Creatore e Giudice universale del comportamento di ciascuno, costituisce la premessa di un’azione comune in difesa dell’effettivo rispetto della dignità di ogni persona umana per l’edificazione di una società più giusta e solidale.

Ma questa volontà di dialogo e di collaborazione significa forse allo stesso tempo che non possiamo più trasmettere il messaggio di Gesù Cristo, non più proporre agli uomini e al mondo questa chiamata e la speranza che ne deriva? Chi ha riconosciuto una grande verità, chi ha trovato una grande gioia, deve trasmetterla, non può affatto tenerla per sé. Doni così grandi non sono mai destinati ad una persona sola.

In Gesù Cristo è sorta per noi una grande luce, « la » grande Luce: non possiamo metterla sotto il moggio, ma dobbiamo elevarla sul lucerniere, perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa (cfr Matteo 5,15).

San Paolo è stato instancabilmente in cammino recando con sé il Vangelo. Si sentiva addirittura sotto una sorta di “costrizione” ad annunciare il Vangelo (cfr 1 Corinzi 9, 16) – non tanto a motivo di una preoccupazione per la salvezza del singolo non-battezzato, non ancora raggiunto dal Vangelo, ma perché era consapevole che la storia nel suo insieme non poteva arrivare al suo compimento finché la totalità (pléroma) dei popoli non fosse stata raggiunta dal Vangelo (cfr Romani 11,25).

Per giungere al suo compimento, la storia ha bisogno dell’annuncio della Buona Novella a tutti i popoli, a tutti gli uomini (cfr Marco 13,10). E di fatto: quanto è importante che confluiscano nell’umanità forze di riconciliazione, forze di pace, forze di amore e di giustizia – quanto è importante che nel “bilancio” dell’umanità, di fronte ai sentimenti ed alle realtà della violenza e dell’ingiustizia che la minacciano, vengano suscitate e rinvigorite forze antagoniste!

È proprio ciò che avviene nella missione cristiana. Mediante l’incontro con Gesù Cristo e i suoi santi, mediante l’incontro con Dio, il bilancio dell’umanità viene rifornito di quelle forze del bene, senza le quali tutti i nostri programmi di ordine sociale non diventano realtà, ma – di fronte alla pressione strapotente di altri interessi contrari alla pace ed alla giustizia – rimangono solo teorie astratte.

Così siamo tornati alle domande poste all’inizio: Ha fatto bene Aparecida, nella ricerca di vita per il mondo a dare la priorità al discepolato di Gesù Cristo e all’evangelizzazione? Era forse un ripiegamento sbagliato nell’interiorità? No! Aparecida ha deciso giustamente, perché proprio mediante il nuovo incontro con Gesù Cristo e il suo Vangelo – e solo così – vengono suscitate le forze che ci rendono capaci di dare la giusta risposta alle sfide del tempo. [...] 

Publié dans : Sandro Magister |le 27 décembre, 2007 |Pas de Commentaires »

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