Archive pour le 14 décembre, 2007

San Giovanni della Croce

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di Sandro Magister: « Gesù di Nazaret » ha un recensore speciale: il vicario di chi l’ha scritto

dal sito: 

http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/182441

  

« Gesù di Nazaret » ha un recensore speciale: il vicario di chi l’ha scritto

 

 Ecco come il cardinale Camillo Ruini ha spiegato ai preti di Roma il libro di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI. Anche nelle sue applicazioni politiche, mai sacre e definitive, ma sempre da « rielaborare, riformulare e correggere »

di Sandro Magister 

 

ROMA, 14 dicembre 2007 – In vista del Natale e per il secondo anno consecutivo il cardinale Camillo Ruini ha riunito i preti della diocesi del papa, di cui è vicario, per spiegare loro « il cuore » dell’insegnamento di Benedetto XVI.

Un anno fa mise al centro della sua analisi soprattutto la lezione di Ratisbona.

Quest’anno, lo scorso 6 dicembre, ha concentrato la riflessione sul libro « Gesù di Nazaret ».

Nella prima parte della sua analisi il cardinale Ruini ha mostrato come, nel libro, il Gesù dei Vangeli sia tutt’uno con il Gesù reale, il Gesù « storico ».

Nella seconda parte ha spiegato « il significato che Gesù ha per noi », significato che al papa « sta sommamente a cuore ». In altre parole: « come attualizzare la persona e il messaggio di Gesù in rapporto alla presente situazione storica ».

Una questione che Ruini esamina è quella politica. Quale ordinamento sociale e politico può derivare da un insegnamento di Gesù apparentemente così antipolitico come il Discorso della montagna?

La risposta che Ruini dà – alla luce del libro di Benedetto XVI – è che Gesù ha liberato gli ordinamenti politici e sociali da ogni pretesa di sacralità e di « diritto divino », per affidarli alla libertà dell’uomo.

Ma questa libertà non è lasciata sola. Dallo sguardo di Dio e dalla comunione con Gesù l’uomo « impara a discernere il giusto e il bene ». L’adorazione dell’unico Dio e la responsabilità per il prossimo in condizioni di bisogno e debolezza – cioé i comandamenti supremi della Torah e del Vangelo – non possono trovare piena realizzazione in nessun ordinamento sociale. Impegnano però la cristianità a continuamente « rielaborare, riformulare e correggere » una dottrina sociale ad essi ispirata.

Con ciò il cardinale Ruini intende respingere sia le tesi di talune « teologie politiche » presenti in campo cattolico, sia le critiche laiche che accusano la Chiesa di voler trasporre ed imporre la morale cattolica nelle leggi civili.

In Italia e in genere nei paesi a regime democratico queste ultime critiche sono oggi particolarmente vivaci, soprattutto quando si legifera su capisaldi definiti dalla Chiesa « innegoziabili » come la famiglia e la vita « dal concepimento alla morte naturale ».

Ogni volta che Benedetto XVI o altre autorità della Chiesa difendono questi capisaldi, li si accusa di invadere il campo politico e ferire la laicità.

Ma, in concreto, a decidere sono sempre il libero gioco delle parti politiche e la volontà dei cittadini. Due anni fa, il 2 dicembre 2005, il cardinale Ruini – dopo che quello stesso anno un referendum popolare aveva dato in Italia la vittoria alla Chiesa in materia di fecondazione artificiale – si rivolse agli avversari di parte laica con queste parole distensive:

“Vorrei avanzare una proposta, che può suonare abbastanza ovvia, ma che ha il merito di superare, a livello pratico, lo stallo generato dalla contrapposizione tra i sostenitori e gli avversari dell’approccio relativistico in materia di etica pubblica, senza obbligare né gli uni né gli altri a recedere dall’agire secondo i propri convincimenti.

« Si tratta cioè di affidarsi, anche in questi ambiti, al libero confronto delle idee, rispettandone gli esiti democratici pure quando non possiamo condividerli.

« Così già, fortunatamente e nella sostanza, avviene di fatto, in un paese democratico come l’Italia, ma è bene che tutti ne prendiamo più piena coscienza, per stemperare il clima di un confronto che prevedibilmente si protrarrà assai a lungo, arricchendosi di sempre nuovi argomenti.

« I fautori del relativismo continueranno a pensare che in certi casi siano stati violati i ‘diritti di libertà’, mentre i sostenitori di un approccio collegato all’essere dell’uomo continueranno a ritenere che in altri casi siano stati violati diritti fondati sulla natura, e perciò antecedenti ad ogni umana decisione, ma non vi sarà motivo di accusarsi reciprocamente di oltranzismo antidemocratico”.

Tornando alla riflessione del cardinale Ruini su « Gesù di Nazaret », ecco il link al testo integrale:

> « Gesù di Nazaret »: un approccio teologico al libro di Benedetto XVI

Ed ecco qui di seguito la sua parte finale:

Il significato di Gesù per noi

di Camillo Ruini

Nel libro « Gesù di Nazaret » di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI l’attualizzazione del messaggio di Gesù viene realizzata sotto vari profili, tutti tra loro intimamente connessi.

È bene cominciare dalla “grande domanda” che ricorre più volte nel libro: che cosa Gesù ha portato veramente nel mondo, se non ha portato la pace, il benessere per tutti, un mondo migliore?

La risposta è molto semplice: Dio. Gesù “ha portato Dio” (pp. 67; 143-145), quel Dio che le genti avevano intravisto sotto molteplici ombre e di cui solo Israele aveva in qualche misura conosciuto il volto.

In Gesù, attraverso la Chiesa famiglia dei suoi discepoli, questo Dio fa conoscere il suo volto ad ogni uomo, e proprio così ci indica la strada che come uomini dobbiamo prendere in questo mondo. “Solo la durezza del nostro cuore ci fa ritenere che ciò sia poco”.

Di più, portando Dio nel mondo, Gesù compie il grande esorcismo che libera il mondo dal potere del demonio, e mentre lo libera lo “razionalizza”, lo sottrae al dominio distruttivo dell’irrazionalità. La storia conferma che dove giunge la luce di Dio il mondo diventa libero, dove invece questa luce è respinta ritorna la schiavitù (pp. 207-212 e anche 241-242).

In realtà solo a partire da Dio si può comprendere l’uomo e solo se l’uomo vive in rapporto con Dio la sua vita diventa giusta: è questo il senso del Discorso della montagna, che delinea, nel rovesciamento dei falsi valori, un quadro completo della giusta umanità (p.157; cfr pp. 94-98 e 327). 

* * * 


Una seconda attualizzazione del messaggio di Gesù riguarda l’amore del prossimo.

Gia nell’Antico Testamento alla norma fondamentale della Torah sulla fede nell’unico Dio, dalla quale dipende tutto, si affianca progressivamente la responsabilità per i poveri, le vedove e gli orfani, fino ad assumere, attraverso gli sviluppi del profetismo, lo stesso rango dell’adorazione dell’unico Dio. Questa responsabilità si fonde pertanto con l’immagine di Dio e la definisce in modo molto concreto: l’amore di Dio e l’amore del prossimo non si possono scindere, “la guida sociale è una guida teologica e la guida teologica ha carattere sociale”.

Gesù, a questo livello, non fa niente di inaudito per gli israeliti: riprende questo dinamismo dell’Antico Testamento e gli dà la sua forma radicale (pp.154-155). Una forma che in realtà è anche cristologica: “Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Matteo 25,40).

Con la parabola del buon samaritano, Gesù ci mostra però che non si tratta di stabilire chi sia o non sia il mio prossimo: si tratta invece di me stesso, io devo diventare prossimo, così l’altro – chiunque altro, universalmente – conta per me come me stesso. L’attualità della parabola è ovvia. Se l’applichiamo alle dimensioni della società globalizzata, le popolazioni derubate e saccheggiate dell’Africa – e non solo dell’Africa – ci riguardano da vicino e ci chiamano in causa da un duplice punto di vista: perché con la nostra vicenda storica, con il nostro stile di vita, abbiamo contribuito e tuttora contribuiamo a spogliarle e perché, invece di dare loro Dio, il Dio vicino a noi in Gesù Cristo, abbiamo portato loro il cinismo di un mondo senza Dio (pp. 234-236).

La critica di Nietzsche alla “morale del cristianesimo”, con la quale egli intende proprio l’orientamento di vita indicato dal Discorso della montagna e dalle Beatitudini e che egli accusa di essere “crimine capitale contro la vita”, quasi fosse una morale ostile alla gioia, una religione dell’invidia e del risentimento, ha inciso profondamente sulla coscienza moderna e determina in gran parte il modo in cui oggi si percepisce la vita. Ma le esperienze dei regimi totalitari, e anche l’abuso del potere economico, che degrada l’uomo a merce, cominciano a farci di nuovo comprendere meglio il senso delle Beatitudini: esse certo si contrappongono al nostro gusto spontaneo per la vita, esigono conversione, cioè un’inversione di marcia interiore rispetto alla direzione che prenderemmo spontaneamente.

Ma questa conversione fa venire alla luce ciò che è puro, ciò che è più elevato, e dispone la nostra esistenza nel modo giusto. In una parola, la vera “morale” del cristianesimo è l’amore, e questo si oppone all’egoismo, è un esodo da noi stessi, ma proprio in questo modo l’uomo trova se stesso. Attraverso questo “sentiero di alta montagna” si dischiude a noi la ricchezza della vita, la grandezza della vocazione dell’uomo (pp. 122-125). 

* * * 


Una terza attualizzazione del messaggio di Gesù prende spunto dalla critica del rabbino Neusner, e di molti altri, secondo la quale nessun ordine sociale potrebbe essere fondato sul Discorso della montagna (p. 141).

Questo è certamente vero nel senso che nella nuova e universalistica “famiglia di Gesù” le forme giuridiche e sociali concrete e gli ordinamenti politici non sono più, e non possono più essere, fissati come diritto sacrale per tutti i tempi e per tutti i popoli.

Decisiva diventa la fondamentale comunione di volontà con Dio donata a noi per mezzo di Gesù: a partire da essa gli uomini e i popoli sono ora liberi di riconoscere che cosa, nell’ordinamento sociale e politico, corrisponda a questa comunione di volontà, per dare poi essi stessi forma agli ordinamenti giuridici.

La mancanza di concreti ordinamenti sociali nell’annuncio di Gesù racchiude dunque – e al tempo stesso nasconde – un processo che riguarda la storia universale, e che ha avuto luogo soltanto in ambito culturale cristiano: gli ordinamenti politici e sociali concreti vengono liberati dall’immediata sacralità – da una legislazione basata direttamente sul diritto divino – e affidati alla libertà dell’uomo che, attraverso Gesù, è radicata nella volontà del Padre e partendo da lui impara a discernere il giusto e il bene.

Questo fondamentale processo è stato compreso in tutta la sua portata solo nell’età moderna, ma poi è stato subito interpretato unilateralmente e falsato.

La libertà dell’uomo, infatti, è stata interamente sottratta allo sguardo di Dio e alla comunione con Gesù. La libertà per l’universalità, e quindi la giusta laicità dello Stato, si è trasformata in qualcosa di assolutamente profano, in “laicismo”, per il quale l’oblio di Dio e l’esclusivo orientamento verso il successo sembrano diventati elementi costitutivi. Ma così la ragione dell’uomo perde il suo punto di riferimento, corre sempre il pericolo dell’offuscamento e della cecità (pp. 145-147).

In realtà, già all’interno della Torah si può scorgere un dialogo continuo tra norme condizionate dalla storia e “metanorme”, norme superiori che esprimono quanto è richiesto perennemente dall’alleanza con Dio, cioè, come si è visto, l’adorazione dell’unico Dio e la responsabilità per il prossimo in condizioni di bisogno e debolezza.

Gesù si muove su questa stessa linea, “dinamizzandola” ulteriormente. Non formula un ordine sociale, ma sicuramente premette agli ordinamenti sociali i criteri fondamentali che, tuttavia, come tali non possono trovare piena realizzazione in alcun ordine sociale.

Anche oggi la cristianità deve continuamente rielaborare, riformulare e correggere gli ordinamenti sociali – una “dottrina sociale cristiana” – di fronte ai nuovi sviluppi e può trovare nel messaggio di Gesù, radicato nella Torah e nella sua evoluzione mediante la critica dei profeti, sia l’ampiezza richiesta per i necessari sviluppi storici sia la base stabile che garantisce la dignità dell’uomo a partire dalla dignità di Dio (pp. 154-156). 

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Predicatore del Papa: “Chi cerca Dio trova sempre la gioia”

dal sito:

http://www.zenit.org/article-12882?l=italian 

 

Predicatore del Papa: “Chi cerca Dio trova sempre la gioia” 

Commento di padre Cantalamessa alla liturgia di domenica prossima 

 

ROMA, giovedì, 13 dicembre 2007 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il commento di padre Raniero Cantalamessa, OFM Cap. – predicatore della Casa Pontificia –, alla liturgia di domenica prossima, III Domenica di Avvento. 

 

* * * 

  III Domenica di Avvento 

  Isaia 35, 1-6a.8a.10; Giacomo 5, 7-10; Matteo 11, 2-11  

  Rallegratevi, il Signore è vicino  

  Partiamo per la nostra riflessione dalla frase con la quale Gesú, nel vangelo, rassicura i discepoli di giovanni Battista circa la propria messianicità: « Ai poveri è annunciato un lieto messaggio ». Il vangelo è un messaggio di gioia: questo proclama la liturgia della terza domenica di Avvento che, dalle parole di Paolo nell’antifona di ingresso, ha preso il nome di domenica Gaudete, rallegratevi, cioè domenica della gioia. La prima lettura, tratta dal profeta Isaia, è tutt’un inno alla gioia: « Si rallegrino il deserto e la terra arida…Si canti con gioia e con giubilo… Felicità perenne splenderà sul loro capo; gioia e felicità li seguiranno e fuggiranno tristezza e pianto ». 

  Tutti vogliono essere felici. Se potessimo rappresentarci visivamente l’intera umanità, nel suo movimento più profondo, vedremmo una folla immensa intorno a un albero da frutto, ergersi sulla punta dei piedi e protendere disperatamente le mani, nello sforzo di cogliere un frutto che però sfugge a ogni presa. La felicità, ha detto Dante, è « quel dolce pomo che per tanti rami / cercando va la cura dei mortali »: quel dolce frutto che l’uomo cerca tra i rami della vita. 

  Ma se tutti cerchiamo la felicità, perché così pochi sono veramente felici e anche quelli che lo sono lo sono per così poco tempo? Io credo che la ragione principale è che, nella scalata alla vetta della felicità, sbagliamo versante, scegliamo un versante che non porta alla vetta. La rivelazione dice: « Dio è amore »; l’uomo ha creduto di poter rovesciare la frase e dire: « L’amore è Dio! » (l’affermazione è di Feuerbach). La rivelazione dice: « Dio è felicità »; l’uomo inverte di nuovo l’ordine e dice: « La felicità è Dio! » Ma cosa avviene in questo modo? Noi non conosciamo in terra la felicità allo stato puro, come non conosciamo l’amore assoluto; conosciamo solo frammenti di felicità, che si riducono spesso a ebbrezze passeggere dei sensi. Quando perciò diciamo: « La felicità è Dio! », noi divinizziamo le nostre piccole esperienze; chiamiamo « Dio » l’opera delle nostre mani, o della nostra mente. Facciamo, della felicità, un idolo. Questo spiega perché chi cerca Dio trova sempre la gioia, mentre chi cerca la gioia non sempre trova Dio. L’uomo si riduce a cercare la felicità per via di quantità: inseguendo piaceri ed emozioni via via più intensi, o aggiungendo piacere a piacere. Come il drogato che ha bisogno di dosi sempre maggiori, per ottenere lo stesso grado di piacere. 

  Solo Dio è felice e fa felici. Per questo un salmo esorta: « Cerca la gioia nel Signore, esaudirà i desideri del tuo cuore » (Sal 4). Con lui anche le gioie della vita presente conservano il loro dolce sapore e non si trasformano in angosce. Non solo le gioie spirituali, ma ogni gioia umana onesta: la gioia di veder crescere i propri figli, del lavoro felicemente portato a termine, dell’amicizia, della salute ritrovata, della creatività, dell’arte, della distensione a contatto con la natura. Solo Dio ha potuto strappare dalle labbra di un santo il grido: « Basta, Signore, con la gioia; il mio cuore non può contenerne più! ». In Dio si trova tutto quello che l’uomo è solito associare alla parola felicità e infinitamente di più, poiché « occhio non vide, orecchio non udì, né mai salì in cuore di uomo quello che Dio tiene preparato per coloro che lo amano » (cfr.1 Cor 2,9). 

  È ora di cominciare a proclamare con più coraggio il « lieto messaggio » che Dio è felicità, che la felicità -non la sofferenza, la privazione, la croce- avrà l’ultima parola. Che la sofferenza serve solo a rimuovere l’ostacolo alla gioia, a dilatare l’anima, perché un giorno possa accoglierne la misura più grande possibile.  

 

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Il Cardinale Giovanni Lajolo inaugura l’albero di Natale in piazza San Pietro

dal sito:

http://www.zenit.org/article-12890?l=italian

 Il Cardinale Giovanni Lajolo inaugura l’albero di Natale in piazza San Pietro 

Questo venerdì pomeriggio 

 

ROMA, venerdì, 14 dicembre 2007 (ZENIT.org).- Verrà illuminato questo venerdì pomeriggio l’abete che ogni anno affianca il presepe di piazza San Pietro ricordando i tradizionali simboli del Natale. 

Quest’anno l’albero è offerto da cinque comuni della Val Badia (Trentino Alto Adige) – Marebbe, S. Martino in Badia, La Valle, Badia e Corvara – con il sostegno della Provincia autonoma di Bolzano. 

Si tratta di un abete rosso di circa 140 anni, alto 26 metri e del peso di oltre tre tonnellate. Verrà decorato con 2.000 sfere luminose e addobbi realizzati artigianalmente da volontari della Val Badia. 

La cerimonia sarà presieduta dal Cardinale Giovanni Lajolo, Governatore dello Stato della Città del Vaticano. Un coro e una banda musicale, in cui sono rappresentate tutte le comunità della Val Badia, allieteranno l’evento eseguendo canti e musiche tradizionali. 

All’inaugurazione saranno presenti una delegazione ufficiale della Provincia di Bolzano e il Vescovo di Bolzano – Bressanone, monsignor Wilhelm Emil Egger. Parteciperanno anche sacerdoti e presidenti dei Consigli parrocchiali dei comuni che hanno donato l’albero al Papa. 

Oltre all’abete, verranno offerti circa cinquanta esemplari più piccoli per la decorazione dell’Aula Paolo VI, della Sala Clementina, dell’appartamento pontificio e degli uffici della Curia Romana. 

A decorare l’Aula Paolo VI concorreranno anche opere giunte dal Messico: manufatti di ceramica da appendere ai rami dell’abete, un presepe realizzato per l’occasione e quattro angeli in legno dipinto destinati alla composizione presepiale “messicana”, che affiancheranno le statue tradizionali. 

Il Messico desidera in questo modo commemorare il 15° anniversario dello stabilimento delle relazioni diplomatiche con la Santa Sede. 

Il presepe di piazza San Pietro verrà inaugurato, com’è tradizione, il 24 dicembre, e rimarrà esposto fino al 2 febbraio, festa della Presentazione di Gesù al Tempio. 

La tradizione del presepe e dell’albero in piazza San Pietro è stata iniziata da Giovanni Paolo II nel 1982. 

Il presepe ha 17 personaggi a grandezza naturale, 9 dei quali sono stati donati da San Vincenzo Pallotti nel 1842 per il presepe della chiesa romana di Sant’Andrea della Valle. 

Gli altri otto sono stati aggiunti nel corso degli anni. Come nel 2006, l’associazione “Amici del Presepio” di Tesero, nella Val di Fiemme (Trento), ha fornito le statue dei Re magi e di altri soggetti, così come gli utensili per la descrizione della vita quotidiana dell’epoca. 

buona notte

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Rispondere alle chiamate di Dio a convertirci del fondo del nostro cuore

San Massimo il Confessore (circa 580-662), monaco e teologo
Discorsi, 61a, 1-3 CCL 23, 24—252

Rispondere alle chiamate di Dio a convertirci del fondo del nostro cuore

Anche se io tacessi, fratelli, il tempo ci avverte che il Natale di Cristo Signore è vicino; già questi ultimi giorni prevengono il mio discorso. Il mondo con le sue stesse angustie dice l’imminenza di qualche cosa che la rinnoverà, e desidera con un’attesa impaziente che lo splendore di un sole più fulgido illumini le sue tenebre. Quest’attesa della creazione persuade anche noi ad attendere il sorgere di Cristo, nuovo Sole, perché illumini le tenebre dei nostri peccati; che questo sole di giustizia, con la forza della sua nascita, dissipi le dense nebbie delle nostre colpe, e non permetta che la nostra vita si chiuda in una gretta oscurità, ma piuttosto si dilati in grazia della sua potenza.

E come in quel giorno sulla terra comincia ad aumentare la durata della luce, così anche noi allarghiamo la misura della nostra virtù; la luce di quel giorno è comune ai poveri e ai ricchi, così anche la nostra liberalità si estenda ai viandanti e agl’indigenti; e come la terra fa retrocedere l’oscurità delle sue notti, così anche noi respingiamo le tenebre della nostra avarizia…

Perciò, fratelli, mentre stiamo per accogliere il Natale del Signore, rivestiamoci di indumenti nitidi, senza macchia. Parlo della veste dell’anima, non di quella del corpo. La veste che riveste il corpo è tunica senza importanza. Invece, del corpo, oggetto preziosissimo, è vestita l’anima. La prima veste è tessuta da mani umane; la seconda è opera di Dio. Per questo occorre badare con la più grande sollecitudine a preservare da ogni macchia l’opera di Dio… Prima della Natività del Signore, purifichiamo dunque la nostra coscienza da ogni macchia. Abbigliamoci non con abiti di seta, ma con opere sante… Adorniamo prima la coscienza dell’uomo interiore.

Publié dans:Bibbia: commenti alla Scrittura |on 14 décembre, 2007 |Pas de commentaires »

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