Archive pour le 3 décembre, 2007

Messaggeri della Luce. Angeli nell’icona russa

Messaggeri della Luce. Angeli nell’icona russa dans immagini sacre rev31609(1)-ori

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Dalle « Esposizioni sui Salmi » di Sant’Agostino Vescovo (En. in ps. 120, 3): Vigili ed operosi in attesa della venuta di Cristo

dal sito: 

http://www.sant-agostino.it/varie/avvento/avvento_settimana_1.htm

Dalle « Esposizioni sui Salmi » di Sant’Agostino Vescovo (En. in ps. 120, 3) 

Vigili ed operosi in attesa della venuta di Cristo 

Siete certamente persuasi che l’ora del Signore viene come un ladro di notte. Se il padrone di casa sapesse l’ora in cui il ladro viene, in verità vi dico, non permetterebbe certo che la parete della sua casa venisse sfondata (Mt 24, 43). Voi osservate: Ma se la sua ora viene come il ladro, chi potrà sapere quando verrà? Se non sai a che ora viene, sta’ sempre desto affinché, non sapendo l’ora in cui viene, ti trovi sempre pronto alla sua venuta. Anzi, il non conoscere l’ora della sua venuta mira forse proprio a questo: a farti stare sempre pronto. Se quel padrone di casa fu sorpreso dal giungere improvviso dell’ora, fu perché si trattava – almeno così è presentato – di un padrone superbo. Non voler essere un padrone e l’ora non ti prenderà alla sprovvista. Ma cosa dovrò essere?, chiederai. Una persona come quella descritta nel salmo: Io sono povero e dolente (Sal 68, 30). Se sarai povero e dolente, non sarai un padrone che l’ora, venendo repentina, sorprenderà e repentinamente abbatterà. Padroni di questo tipo sono tutti coloro che, facendo assegnamento su se stessi e le proprie cupidigie, diventano gonfi d’orgoglio, anche se poi finiscono con lo squagliarsi nelle delizie di questo mondo. Essi si innalzano a danno degli umili e maltrattano i santi, che hanno compreso essere stretta la via per la quale si va alla vita (Mt 7, 14). Gente siffatta verrà colta di sorpresa da quell’ora, somigliando nella loro vita a quei tali che vivevano all’epoca di Noè. Ne avete udita or ora la descrizione fatta dal Vangelo. Dice: La venuta del Figlio dell’uomo sarà come ai giorni di Noè. Mangiavano, bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, piantavano vigne, costruivano case, fino a che Noè non entrò nell’arca e venne il diluvio che li disperse tutti (Mt 24, 37-39; Lc 17, 26-27). Che dire? Andranno davvero tutti in rovina coloro che fanno queste cose? Coloro che si maritano o prendono moglie? Coloro che piantano vigne o costruiscono case? No, ma vi andranno coloro che tali cose sopravvalutano, che le preferiscono a Dio e per esse sono disposti a offendere disinvoltamente Dio. Diametralmente opposti sono coloro che di tutte queste cose o non si servono per nulla o se ne servono come persone non asservite ad esse. Fanno assegnamento più sull’Autore dei doni ricevuti che non sulle cose ricevute in dono; e, quanto alle cose in se stesse, vi vedono un tratto della sua misericordia che viene a consolarli. Per cui non si appagano dei doni per non precipitare lontano dal Donatore. Persone di questo genere non saranno prese alla sprovvista dal giungere di quell’ora, che sarà come il giungere di un ladro. A loro diceva l’Apostolo: Voi non siete nelle tenebre, cosicché quel giorno vi abbia a sorprendere come un ladro, poiché siete tutti figli della luce e figli del giorno (1 Ts 5, 4-5). 

Publié dans:Padri della Chiesa e Dottori |on 3 décembre, 2007 |Pas de commentaires »

CHANUKKAH: UN MIRACOLO CHE SI RIPETE

dal sito: 

http://www.nostreradici.it/chanukkah.htm

  

CHANUKKAH: UN MIRACOLO CHE SI RIPETE 

Gavriel Levi 

Nel giorno di chanukkà che capita di shabbath, i lumi di chanukkà si accendono assieme con quelli dello shabbath e, la sera dopo assieme con quello dell’avdalà1. La vigilia di shabbath si accende prima la chanukkà e dopo i lumi dello shabbath; alla fine dello shabbath si accende prima la torcia dell’avdalà e dopo i lumi della chanukkà 

È evidente che questa regola è collegata con il divieto di accendere il fuoco durante lo shabbath: non si può accendere nessun fuoco dopo che è cominciato lo shabbath; non si può accendere nessun fuoco finché lo shabbath non è veramente finito. Tuttavia, se ci riflettiamo sopra, questa regola collega, con un significato più ampio e più profondo, i tre fuochi e le tre luci che accendiamo nelle nostre case e che, in modi diversi, rappresentano la forza creativa dell’uomo e la vita di Israele. Solo se si è acceso il lume di chanukkà si può accendere il lume dello shabbath; solo se si è acceso il lume dell’avdalà si può accendere il lume di chanukkà

Se si è lottato per rimanere ebrei, se ci si è conquistati il miracolo, allora si può rinunciare ad accendere ogni fuoco e si può godere del lume che deriva direttamente dai giorni della creazione e che riassume, già in sé, la luce del MashiachSe si è acceso il fuoco che permette di accendere ogni fuoco nella settimana, che è stato regalato da Dio al primo uomo e che ci aiuta a distinguere, con i nostri mezzi, la luce dal buio, allora si può accendere, senza più divieti, il fuoco del miracolo. 

Le luci della chanukkià devono rimanere divise e distinguibili l’una dall’altra: ogni giorno è un giorno completo di vita; ogni generazione è completa in se stessa ed è necessaria perché la generazione precedente possa vivere nella successiva. Le luci dell’avdalà devono essere unite e indistinguibili l’una dall’altra: ogni giorno, anche il più banale, è parte del giorno completo che è tutto shabbath

La luce dell’avdalà è la luce di un fuoco che si accende dopo lo shabbath; la sua benedizione è centrata nella creazione delle « luci » del fuoco e sulla nostra azione di guardarsi le mani, nel buio e alla luce. La luce di chanukkà è la luce che si accende per rendere manifesto il miracolo; la sua benedizione riguarda l’obbligo di ripetere il miracolo e di preparare la luce di un giorno per farla ardere otto giorni. 

Non può esistere la festa di chanukkà senza dentro una vigilia di shabbath, senza uno shabbath e senza un’uscita di shabbathIl miracolo di chanukkà (e cioè la luce di un giorno che deve durare fino al termine dei giorni, ed ancora un giorno di più) contiene dentro di sé: a) la luce del fuoco che esiste quando nessun fuoco può essere acceso dall’uomo; b) la luce di un fuoco che deve essere ricreato, per dividere il giorno umano dalla notte umana; il giorno di shabbath dai sei giorni dell’azione; le mani dell’uomo dalla creazione di Dio. 

Il miracolo di chanukkà contiene anche due luci: la luce di un fuoco che non esiste (perché è stato acceso prima); la luce di un fuoco creato da D-o (ma acceso dagli uomini) perché l’uomo possa uscire, senza paura, nel mondo degli uomini. Tra l’inizio di chanukkà e l’inizio dello shabbath esiste un momento di intervallo: noi ebrei abbiamo compiuto il nostro miracolo, quando il sole non è ancora calato; a D-o viene lasciato il tempo per compiere il suo miracolo, finire la creazione e portare il Mashiach

Tra la fine dello shabbath e l’inizio di chanukkà esiste un altro momento di intervallo: la storia di tutti i giorni si è ripetuta; l’ebreo può accettare il dono del fuoco direttamente da D-o e, ancora una volta, ripetere il miracolo. Se noi riusciamo a conservare l’olio per un giorno, anche quando ci sembra che il buio durerà più a lungo e quando ci sembra che non ci sia nessun posto per accendere una luce, D-o vedrà questa luce per otto giorni. 

Se non conserviamo l’olio nel buio (ma questo è impossibile perché in fondo lo conserviamo anche senza saperlo) allora D-o dovrà fare il miracolo da solo e dovrà riprendere il fuoco di chanukkà da quello donatoci per l’avdalàUn cieco adempie al precetto di chanukkià partecipando, se ne ha la possibilità, con una perutà, all’accensione di un altro ebreo e, se non può perché è solo, accendendo la chanukkià, con qualunque aiuto, da solo. 

Per quale luce accende la chanukkià, un cieco?
___________
Fonte: morasha.it 


  1. La giornata dello Shabbat si apre e si chiude con un’ accensione di lumi. All’imbrunire del venerdì si accendono due candele (in teoria ne basterebbe una) recitando la benedizione che termina con « e ci hai comandato di accendere il lume dello Shabbat« . Al termine dello Shabbat, nella cerimonia dell’Avdalà, la separazione tra il giorno di festa e quello feriale si accende una torcia formata da più luci che intrecciandosi formano un’unica fiamma. Su questo lume si benedice il Signore « creatore dei luminari di fuoco« . Nel Talmud Jeruscialmì (citato anche dal compendio « Torà Temimà » ai primi versi della Genesi) si ricerca la fonte del fatto che nella Avdalà si dice la benedizione sul lume solo dopo che il lume è acceso. Questo lascia supporre che nell’altro caso, l’accensione dei lumi dello Shabbat, prima si dica la benedizione e poi si accenda. In effetti ciò avviene quasi esclusivamente secondo il rito di Roma (quasi tutti gli altri oggi prima accendono e poi dicono la benedizione). 

Publié dans:ebraismo |on 3 décembre, 2007 |Pas de commentaires »

Omelia del Papa per i primi Vespri della prima Domenica di Avvento

dal sito:

http://www.zenit.org/article-12751?l=italian

 

Omelia del Papa per i primi Vespri della prima Domenica di Avvento

 CITTA’ DEL VATICANO, domenica, 2 dicembre 2007 (ZENIT.org).- Pubblichiamo l’omelia pronunciata questa domenica sera da Benedetto nel presiedere, all’inerno della Basilica Vaticana, la celebrazione dei primi vespri della Domenica I di Avvento.  

* * * 

Cari fratelli e sorelle! 

L’Avvento è, per eccellenza, il tempo della speranza. Ogni anno, questo atteggiamento fondamentale dello spirito si risveglia nel cuore dei cristiani che, mentre si preparano a celebrare la grande festa della nascita di Cristo Salvatore, ravvivano l’attesa del suo ritorno glorioso, alla fine dei tempi. La prima parte dell’Avvento insiste proprio sulla parusia, sull’ultima venuta del Signore. Le antifone di questi Primi Vespri sono tutte orientate, con diverse sfumature, verso tale prospettiva. La breve Lettura, tratta dalla Prima Lettera ai Tessalonicesi (5,23-24), fa riferimento esplicito alla venuta finale di Cristo, usando proprio il termine greco parusia (v. 23). L’Apostolo esorta i cristiani a conservarsi irreprensibili, ma soprattutto li incoraggia a confidare in Dio, che « è fedele » (v. 24) e non mancherà di operare la santificazione in quanti corrisponderanno alla sua grazia. 

Tutta questa liturgia vespertina invita alla speranza indicando, all’orizzonte della storia, la luce del Salvatore che viene: « quel giorno brillerà una grande luce » (2ª ant.); « verrà il Signore in tutta la sua gloria » (3ª ant.); « il suo splendore riempie l’universo » (Antifone al Magnificat). Questa luce, che promana dal futuro di Dio, si è già manifestata nella pienezza dei tempi; perciò la nostra speranza non è priva di fondamento, ma si appoggia su un avvenimento che si colloca nella storia e al tempo stesso eccede la storia: è l’avvenimento costituito da Gesù di Nazaret. L’evangelista Giovanni applica a Gesù il titolo di « luce »: è un titolo che appartiene a Dio. Nel Credo infatti noi professiamo che Gesù Cristo è « Dio da Dio, Luce da Luce ». 

Al tema della speranza ho voluto dedicare la mia seconda Enciclica, che è stata pubblicata ieri. Sono lieto di offrirla idealmente a tutta la Chiesa in questa prima Domenica di Avvento, affinché, durante la preparazione al Santo Natale, le comunità e i singoli fedeli possano leggerla e meditarla, per riscoprire la bellezza e la profondità della speranza cristiana. Questa, in effetti, è inseparabilmente legata alla conoscenza del volto di Dio, quel volto che Gesù, il Figlio Unigenito, ci ha rivelato con la sua incarnazione, con la sua vita terrena e la sua predicazione, e soprattutto con la sua morte e risurrezione. La vera e sicura speranza è fondata sulla fede in Dio Amore, Padre misericordioso, che « ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito » (Gv 3,16), affinché gli uomini e con loro tutte le creature possano avere la vita in abbondanza (cfr Gv 10,10). L’Avvento, pertanto, è tempo favorevole alla riscoperta di una speranza non vaga e illusoria, ma certa e affidabile, perché « ancorata » in Cristo, Dio fatto uomo, roccia della nostra salvezza. 

Fin dall’inizio, come emerge dal Nuovo Testamento e segnatamente dalle Lettere degli Apostoli, una nuova speranza distinse i cristiani da quanti vivevano la religiosità pagana. Scrivendo agli Efesini, san Paolo ricorda loro che, prima di abbracciare la fede in Cristo, essi erano « senza speranza e senza Dio in questo mondo » (2,12). Questa espressione appare quanto mai attuale per il paganesimo dei nostri giorni: possiamo riferirla in particolare al nichilismo contemporaneo, che corrode la speranza nel cuore dell’uomo, inducendolo a pensare che dentro di lui e intorno a lui regni il nulla: nulla prima della nascita, nulla dopo la morte. In realtà, se manca Dio, viene meno la speranza. Tutto perde di « spessore ». E’ come se venisse a mancare la dimensione della profondità ed ogni cosa si appiattisse, privata del suo rilievo simbolico, della sua « sporgenza » rispetto alla mera materialità. E’ in gioco il rapporto tra l’esistenza qui ed ora e ciò che chiamiamo « aldilà »: esso non è un luogo dove finiremo dopo la morte, è invece la realtà di Dio, la pienezza della vita a cui ogni essere umano è, per così dire, proteso. A questa attesa dell’uomo Dio ha risposto in Cristo con il dono della speranza. 

L’uomo è l’unica creatura libera di dire di sì o di no all’eternità, cioè a Dio. L’essere umano può spegnere in se stesso la speranza eliminando Dio dalla propria vita. Come può avvenire questo? Come può succedere che la creatura « fatta per Dio », intimamente orientata a Lui, la più vicina all’Eterno, possa privarsi di questa ricchezza? Dio conosce il cuore dell’uomo. Sa che chi lo rifiuta non ha conosciuto il suo vero volto, e per questo non cessa di bussare alla nostra porta, come umile pellegrino in cerca di accoglienza. Ecco perché il Signore concede nuovo tempo all’umanità: affinché tutti possano arrivare a conoscerlo! E’ questo anche il senso di un nuovo anno liturgico che inizia: è un dono di Dio, il quale vuole nuovamente rivelarsi nel mistero di Cristo, mediante la Parola e i Sacramenti. Mediante la Chiesa vuole parlare all’umanità e salvare gli uomini di oggi. E lo fa andando loro incontro, per « cercare e salvare ciò che era perduto » (Lc 19,10). In questa prospettiva, la celebrazione dell’Avvento è la risposta della Chiesa Sposa all’iniziativa sempre nuova di Dio Sposo, « che è, che era e che viene » (Ap 1,8). All’umanità che non ha più tempo per Lui, Dio offre altro tempo, un nuovo spazio per rientrare in se stessa, per rimettersi in cammino, per ritrovare il senso della speranza. 

Ecco allora la sorprendente scoperta: la mia, la nostra speranza è preceduta dall’attesa che Dio coltiva nei nostri confronti! Sì, Dio ci ama e proprio per questo attende che noi torniamo a Lui, che apriamo il cuore al suo amore, che mettiamo la nostra mano nella sua e ci ricordiamo di essere suoi figli. Questa attesa di Dio precede sempre la nostra speranza, esattamente come il suo amore ci raggiunge sempre per primo (cfr 1 Gv 4,10). In questo senso la speranza cristiana è detta « teologale »: Dio ne è la fonte, il sostegno e il termine. Che grande consolazione in questo mistero! Il mio Creatore ha posto nel mio spirito un riflesso del suo desiderio di vita per tutti. Ogni uomo è chiamato a sperare corrispondendo all’attesa che Dio ha su di lui. Del resto, l’esperienza ci dimostra che è proprio così. Che cosa manda avanti il mondo, se non la fiducia che Dio ha nell’uomo? E’ una fiducia che ha il suo riflesso nei cuori dei piccoli, degli umili, quando attraverso le difficoltà e le fatiche si impegnano ogni giorno a fare del loro meglio, a compiere quel poco di bene che però agli occhi di Dio è tanto: in famiglia, nel posto di lavoro, a scuola, nei diversi ambiti della società. Nel cuore dell’uomo è indelebilmente scritta la speranza, perché Dio nostro Padre è vita, e per la vita eterna e beata siamo fatti. 

Ogni bambino che nasce è segno della fiducia di Dio nell’uomo ed è conferma, almeno implicita, della speranza che l’uomo nutre in un futuro aperto sull’eterno di Dio. A questa speranza dell’uomo Dio ha risposto nascendo nel tempo come piccolo essere umano. Ha scritto sant’Agostino: « Avremmo potuto credere che la tua Parola fosse lontana dal contatto dell’uomo e disperare di noi, se questa Parola non si fosse fatta carne e non avesse abitato in mezzo a noi » (Conf. X, 43, 69, cit. in Spe salvi, 29). Lasciamoci allora guidare da Colei che ha portato nel cuore e nel grembo il Verbo incarnato. O Maria, Vergine dell’attesa e Madre della speranza, ravviva in tutta la Chiesa lo spirito dell’Avvento, perché l’umanità intera si rimetta in cammino verso Betlemme, dove è venuto, e di nuovo verrà a visitarci il Sole che sorge dall’alto (cfr Lc 1,78), Cristo nostro Dio. Amen. 

Publié dans:Papa Benedetto XVI, ZENITH |on 3 décembre, 2007 |Pas de commentaires »

buona notte

buona notte dans Bibbia: commenti alla Scrittura pia_0009

http://www.laboo.biz/pa/schedaib.php?recordID=83

Publié dans:Bibbia: commenti alla Scrittura |on 3 décembre, 2007 |Pas de commentaires »

Perché tutti gli uomini entrino nel Regno dei cieli

Concilio Vaticano II
Constituzione sulla Chiesa nel mondo contemporaneo « Gaudium et Spes », § 45

Perché tutti gli uomini entrino nel Regno dei cieli

La Chiesa, nel dare aiuto al mondo come nel ricevere molto da esso, ha di mira un solo fine: che venga il regno di Dio e si realizzi la salvezza dell’intera umanità. Tutto ciò che di bene il popolo di Dio può offrire all’umana famiglia, nel tempo del suo pellegrinaggio terreno, scaturisce dal fatto che la Chiesa è «l’universale sacramento della salvezza» (Lumen Gentium) che svela e insieme realizza il mistero dell’amore di Dio verso l’uomo.

Infatti il Verbo di Dio, per mezzo del quale tutto è stato creato, si è fatto egli stesso carne, per operare, lui, l’uomo perfetto, la salvezza di tutti e la ricapitolazione universale. Il Signore è il fine della storia umana, « il punto focale dei desideri della storia e della civiltà », il centro del genere umano, la gioia d’ogni cuore, la pienezza delle loro aspirazioni. Egli è colui che il Padre ha risuscitato da morte, ha esaltato e collocato alla sua destra, costituendolo giudice dei vivi e dei morti. Vivificati e radunati nel suo Spirito, come pellegrini andiamo incontro alla finale perfezione della storia umana, che corrisponde in pieno al disegno del suo amore: « Ricapitolare tutte le cose in Cristo, quelle del cielo come quelle della terra » (Ef 1,10).

Dice il Signore stesso: « Ecco, io vengo presto, e porto con me il premio, per retribuire ciascuno secondo le opere sue. Io sono l’alfa e l’omega, il primo e l’ultimo, il principio e il fine» (Ap 22,12-13).

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