Archive pour le 28 novembre, 2007

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Quadro di Orlando Orlandi

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La tradizione delle Chiese siriache, strumento di dialogo con l’islam

dal sito: 

http://www.asianews.it/index.php?l=it&art=10906&theme=3&size=A

 

27/11/2007 13:05
IRAQ – SIRIA

La tradizione delle Chiese siriache, strumento di dialogo con l’islam


Un incontro della Pro Oriente Forum Syriacum evidenzia il ruolo che la prurisecolare convivenza delle antiche Chiese della Mesopotamia con i musulmani può avere in materia di dialogo, testimonianza cristiana, coesistenza e cooperazione.

 

Salisburgo (AsiaNews) – Eredi di una plurisecolare tradizione di convivenza fianco a fianco con i musulmani, le Chiese di tradizione siriaca hanno ancora oggi un importante ruolo da svolgere in materia di dialogo, testimonianza cristiana, coesistenza e cooperazione. E’ la conclusione alla quale è giunto l’incontro svoltosi dal 14 al 16 novembre a Salisburgo, in Austria, su iniziativa della Pro Oriente, fondazione dell’arcidiocesi di Vienna, che nell’ottobre 2006 ha dato vita alla Pro Oriente Forum Syriacum. Essa riunisce studiosi della tradizione delle Chiese siriache ed ha l’obiettivo di promuoverne l’eredità e di lavorare per una migliore comprensione ed un reciproco arricchimento e di rafforzare la solidarietà. 

  

« Le Chiese siriache incontrano l’Islam: esperienze del passato e prospettive del futuro“, tema del primo incontro accademico, ha visto gli interventi di studiosi provenienti da Iraq, Siria, Stati Uniti, Austria, Germania, Olanda, Italia, India e Francia. 

  

Il quadro che ne è emerso parte dalla costatazione che, all’inizio, l’islam è entrato a stretto contatto con la cristianità dell’eredità e della tradizione siro-aramaica. L’antico periodo degli Umayyad è segnato da un atteggiamento aperto e tollerante verso i cristiani. Una delle ragioni prinicpali può essere stata nella necessità dei musulmani di ottenere le loro conoscenze economiche ed amministrative per governare ed organizzare i territori da poco conquistati (per esempio San Giovanni damasceno e suo padre). 

  

Nell’atteggiamento dei musulmani nei confronti dei cristiani, ben presto si manifesta una certa ambivalenza, dettata dalle cicostanze sociali e politiche: a volte maggiore apertura e tolleranza, altre maggiore aggressività ed anche oppressione. Questa ambivalenza è facilmente giustificata sulla base di differenti versetti coranici. 

  

I testi riguardo all’islam scritti in siriaco (circa 20) erano per lo più ad uso interno nelle comuità cristiane e riguardavano l’educazione ed il rafforzamento nella loro fede o aiutavano a rispondere ad alcune domande ed obiezioni avanzate dai musulmani. Quelli scritti in arabo, miravano a presentare i dogmi e la morale cristiani agli islamici. Alcuni di questi sono di natura apologetica, altri sono chiaramente polemici. 

  

Il periodo Abbaside, inaugura un tempo di ampia e fertile scambio culturale come conseguenza della diffusione della lingua araba. Su incarico dei califfi, (bayt al-hikma-casa della saggezza) numerosi cristiani di tradizione siriaca intrapresero una sistematica traduzione – specialmente di argomenti riguardanti scienze, filosofia e medicina – dal greco in arabo, attraverso il siriaco. In tal modo, la conoscenza del mondo greco-romano fu disponibile come uno die fondamenti della cultura arabo-islamica. E attraverso la presenza araba in Spagna, questa eredità fu trasmessa ai cristiani europei del Medio Evo. 

  

Nel XII e XIII secolo, dopo aver contribuito allo sviluppo della cultura araba, cristiani e musulmani sono vissuti in un comune ambiente culturale del quale condividevano i valori e le conquiste. Per esempio, il più famoso studioso siriaco occidentale del tempo, Bar Hebraeus, era capace di distinguere tra islam, come gruppo di credenti e come tradizione culturale e spirituale. 

  

Per il periodo ottomano, l’attenzione degli interventi e della discussione è stata centrata sull’applicazione del sistema Millet, come un nuovo concetto che definiva lo status delle comunità religiose non musulmane. Il sistema ha avuto un impatto molto profondo sull’identità delle diverse comunità cristiane. Ha lasciato segni permanenti nella mentalità della gente ed anche nelle istituzioni. Moli die problemi che i cristiani del giorno d’oggi incontrano nel mondo islamico non possono essere compresi se non si tiene conto dell’esperienza del sistema Millet, che è sopravvissuto, in un modo o nell’alto, nei moderni Stati a maggioranza islamica. Il suo reale impatto resta ambiguo e necessita di ulteriori ricerche. 

  

Il resoconto dell’esperienza indiana dell’islam culle coste malabaresi ha contribuito ad una più ampia comprensione della coesistenza cristiano-islamica. Esso ha anche illustrato come l’interferenza occidentale del periodo coloniale ha distrutto i modi tradizionali di convivenza. 

  

Nelle conclusioni dell’incontro di Salisburgo, oltre ad evidenziare l’importanza dell’esperienza siriaca e del ruolo che essa può svolgere nel presente, si è espressa la speranza che possa aiutare i cristiani siriaci a conservare meglio ed a far fruttificare la loro ricca eredità ed offrire il loro contributo, che è unico, per la ricerca dell’unità die cristiani e per la costruzione di un migliore e fraterno rapporto con i loro vicini musulmani. 

  

Alla conferenza di Salisburgo sono stati presentati i seguenti studi: 

Il dialogo islamico-cristiano nelle fonti siriache. Una introduzione (Mar Louis Sako, Kirkuk, Iraq); Il siriacismo nel Corano arabo (Sidney Griffith, Washington D.C., USA – letto in sua assenza); Le Chiese siriache nel periodo Umayyad (661-750) (Mor Gregorios Yohanna Ibrahim, Aleppo, Syria); Le risposte cristiane nel periodo Umayyad (661-750) (Dietmar W. Winkler, Salzburg, Austria); Il contributo della cristianità della Mesopotamia durante il periodo Abbaside (Mar Bawai Soro, California, USA – letto in assenza); Il rinascimento siriano. Un periodo di dialogo interreligioso ed interculturale? (Herman Teule, Nijmegen, Olanda); Lo status personale dei cristiani nell’Impero ottomano (1453-1923) (Mar Mikhael Al-Jamil, Roma, Italia); L’incontro tra le Chiese siriache e l’islam nel periodo ottomano: alcuni aspetti (Martin Tamcke, Göttingen, Germania); I rapporti tra cristiani e musulmane sulla costa malabarese (Baby Varghese, Kerala, India) e Le minoranze cristiane nei Paesi del Medio oriente: una traccia della situazione presente e delle prospettive future (Joseph Yacoub, Lyon, Francia). 

 

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Il cardinale Sepe dona al Papa alcune piante dell’Orto botanico di Napoli,

dal sito:  

http://www.radiovaticana.org/it1/Articolo.asp?c=170277

 28/11/2007 13.57.04

Il cardinale Sepe dona al Papa alcune piante dell’Orto botanico di Napoli, apprezzate di recente da Benedetto XVI nella sua visita alla città partenopea

 

Le piante dell’Orto Botanico di Napoli, quelle citate nella Bibbia, ad ornare l’appartamento privato di Benedetto XVI. Dopo l’odierna udienza generale, è stato il cardinale Crescenzio Sepe, arcivescovo di Napoli, insieme con il Rettore dell’Università partenopea Federico II, Guido Trombetta, e il direttore dell’Orto botanico, Paolo de Luca, a recapitare il dono al Papa. La mirra, l’incenso, la tamericia della manna, la zizzania: 12 specie in tutto, disposte in singoli contenitori corredati di targhette con le citazioni bibliche. Un dono nato dall’entusiasmo mostrato dal Pontefice nella recente visita a Napoli, come conferma al microfono di Gabriella Ceraso lo stesso cardinale Sepe:
R. – E’ così, perché l’Orto botanico aveva offerto di far vedere al Papa queste piante bibliche. Il Santo Padre, vedendo anche le didascalie e l’accenno biblico, ha mostrato un interesse particolare. Poi, quando ho telefonato, il Papa è rimasto molto contento e oggi si è concluso l’atto di donazione.

D. – Questo dono, eminenza, è un frutto di quella visita. Quali i frutti ancora, a distanza da questa presenza preziosa che è stato il Papa per la Città?

R. – Il Santo Padre ha dato uno slancio forte alla realtà sia religiosa sia civile, ma soprattutto un impulso e un incoraggiamento perché ci si impegni un po’ di più per risollevare questa città che è un po’ stanca, un po’ ammalata e che, insomma, ha bisogno di cure.

D. – Speranza, dunque, ma anche pace, vivibilità, accoglienza. Sono tanti i temi toccati dal Papa durante la sua visita a Napoli. Tornano in un’iniziativa, intitolata “In dialogo con la Città”, che lei proporrà in ogni mercoledì dell’Avvento, a partire da questa sera nel Duomo di Napoli. Un incontro ravvicinato con personalità della cultura: Anche questo è un frutto, un modo per incominciare a lavorare?

R. – Sì, certo. Questi mercoledì di Avvento si inseriscono in tutta una attività che la Chiesa di Napoli sta svolgendo per dare fiducia e dare speranza, soprattutto per evitare quella rassegnazione, quella specie di fatalismo di cui molti sono colpiti. Così come quando abbiamo fatto la preghiera contro la violenza in cattedrale, quando ho invitato a deporre i coltelli, quando abbiamo creato di recente, in cento parrocchie, dei centri informatici… Sono tanti piccoli disegni che hanno avuto intanto una grande accoglienza, soprattutto da parte dei giovani. E allora, anche questo dialogo con la città significa capire insieme quali siano gli strumenti pratici che dobbiamo e che vogliamo utilizzare per dare poi contenuto a questa speranza.

D. – A proposito di fede e di rapporto con la realtà problematica: di recente, in una nota, la Conferenza episcopale calabrese ha preso una posizione forte nei confronti della criminalità mafiosa, una concezione di vita – afferma – “contraria al Vangelo”. Proprio in nome del Vangelo, scrivono i vescovi, dobbiamo tracciare il cammino sicuro ai figli fedeli. La condivide, questa posizione? Si può applicare anche alla città di Napoli?

D. – Non solo condivido, ma devo dire che anche tutta la Chiesa della Campania da tempo è incamminata un po’ su questa strada: cercare di vivificare un po’ le coscienze, perché anche la stragrande maggioranza della popolazione è alla ricerca proprio di una strada più sicura, più vivibile. Io credo che si debba ricostruire un po’ l’ »uomo del sud » sulla base di quello che è l’Uomo del Vangelo, così come Cristo lo ha incarnato e come noi, discepoli di Cristo, lo dobbiamo testimoniare. Perché se non si fonda una realtà anche civile sui valori autentici della persona, della sua dignità, corriamo il pericolo di costruire sulla sabbia. 

L’uomo: un virus per il pianeta?

dal sito:

http://www.zenit.org/article-12698?l=italian

 

  

L’uomo: un virus per il pianeta? 

Si è perso il verso senso della questione ambientale 

 

Di Padre John Flynn, LC 

ROMA, mercoledì, 28 novembre 2007 (ZENIT.org).- Mentre si moltiplicano annunci catastrofici sullo stato del nostro ambiente, risorgono anche le pressioni dirette a tenere sotto controllo la crescita demografica. Falsi allarmismi come quelli contenuti nel libro di Paul Ehrlich del 1968 “The Population Bomb”, sono spesso pretesto per l’adozione di misure abusive come le politiche di aborto coatto e di sterilizzazione forzata.

In passato la preoccupazione era che il cibo e le risorse naturali sarebbero presto diventate scarse. Oggi invece vengono giustificate le misure di riduzione della popolazione in nome della salvaguardia dell’ambiente.

L’europarlamentare britannico Chris Davies ha avvertito che l’umanità sta “distruggendo il pianeta” come un “virus”, secondo quanto riportato dalla BBC il 13 novembre. Davies, membro del Partito liberaldemocratico, ha sostenuto che le famiglie dovrebbero essere incoraggiate a non fare più di un figlio, nel tentativo di contrastare i cambiamenti climatici.

Davies non è il solo a considerare gli esseri umani alla stregua di un virus. Secondo Paul Watson, fondatore e presidente della Sea Shepherd Conservation Society, ha scritto un interessante commento, pubblicato il 4 maggio. Secondo quanto si legge sul suo sito Internet, questa società dell’Oregon è attiva nel campo della protezione degli oceani.

Gli esseri umani agiscono sulla Terra – ha scritto Watson – “nello stesso modo in cui agisce un virus, con il risultato di indebolire il sistema immunitario ecologico”. Egli ha poi anche ribadito la sua precedente affermazione secondo cui gli esseri umani sono come “l’AIDS della Terra”.

“Dobbiamo ridurre la popolazione umana in modo radicale e intelligente a meno di un miliardo”, ha raccomandato. Watson ha sostenuto anche che gli esseri umani non sono diversi dalle altre specie che vivono sul pianeta.

Sebbene la visione di Watson possa essere più estremista rispetto alla media, egli è tutt’altro che isolato. L’Economist ha ricordato ai suoi lettori, nell’articolo del 10 settembre intitolato “Population and its Discontents” che Al Gore, vincitore del Premio Nobel per la pace, nel suo libro “Earth in Balance” afferma che “un mondo sovrapopolato è inevitabilmente un mondo inquinato”.

L’agenda

Intanto, la stampa britannica ha pubblicato numerosi articoli nelle ultime settimane, in cui si fa appello a rafforzare il controllo demografico per salvare l’ambiente.

“Mentre la questione ambientale finalmente ottiene la considerazione che merita, alcuni ambientalisti sono pronti a cogliere l’occasione per asserire la necessità di un contenimento demografico”, ha scritto Madeleine Bunting sul quotidiano Guardian del 10 settembre.

Secondo il parlamentare conservatore Boris Johnson, la sfida principale del pianeta è l’eccessiva crescita demografica, riferisce il quotidiano Telegraph del 25 ottobre.

Melanie Reid, opinionista del quotidiano Times, scrivendo sull’edizione del 29 ottobre, invita le femministe a riconoscere che il controllo demografico non è cosi tremendo come si può pensare e, inoltre, che il surriscaldamento terrestre è una questione secondaria rispetto alla necessità di tenere sotto controllo la crescita della popolazione.

Questi appelli al controllo demografico hanno però trovato anche delle risposte. Il sociologo Frank Furedi ha sostenuto in un commento del 30 ottobre pubblicato sul sito Internet “Spiked”: “Oggi, più che in qualsiasi altro periodo a partire dal XIX secolo, domina un determinismo demografico semplicistico”.

“Le nostre élites politiche e culturali sembrano aver perso di vista il fatto che, nel corso della storia, l’impatto complessivo dell’azione umana sull’ambiente è stato benefico”, ha sostenuto.

Anche l’Economist, in un articolo del 10 settembre, ha sottolineato che, per quanto riguarda l’emissione di anidride carbonica, il problema non sono i Paesi con una popolazione in crescita, ma quelli più ricchi che hanno già raggiunto una stabilità demografica.

Mantenere l’equilibrio

Anche la Chiesa cattolica ha partecipato attivamente al dibattito, apportando una posizione basata sui principi morali ed etici relativi all’ambiente. Tuttavia, spesso i media hanno riportato in modo parziale i commenti formulati da Benedetto XVI sulla questione ambientale.

In questo senso, l’omelia che il Pontefice ha pronunciato durante la sua visita al santuario mariano di Loreto, è stata riportata dalla stampa come una sorta di appello alla tutela dell’ambiente. Il testo dell’omelia del 2 settembre in effetti parla dell’importanza di prendersi cura del pianeta.

Tuttavia, la parte ambientale dell’omelia è solo l’ultimo di una serie di punti sollevati dal Papa. Dopo aver parlato dell’esempio di Maria, il Papa ha affrontato una riflessione sulla chiamata di Gesù ai giovani, sull’importanza dell’umiltà e sulla vocazione alla santità.

Riguardo alla questione della presenza umana sul pianeta, Benedetto XVI ha spesso sottolineato l’importanza di non perdere di vista il principio della dignità della persona umana e della salvaguardia della vita. Un esempio recente è quello del suo discorso rivolto il 15 settembre a Noel Fahey, nuovo Ambasciatore irlandese presso la Santa Sede.

“La promozione dello sviluppo sostenibile e una particolare attenzione ai cambiamenti climatici sono certamente questioni di grande importanza per l’intera famiglia umana e nessuna nazione o settore economico dovrebbe ignorarle”, ha affermato il Papa.

Il testo poi passa subito a ribadire l’importanza di avere una visione chiara del rapporto fra ecologia della persona umana ed ecologia della natura. Il Pontefice ha sottolineato il contrasto intrinseco in coloro che sono pronti a riconoscere la maestà di Dio nella creazione, ma che non percepiscono altrettanto chiaramente la dignità della persona umana.

“Ne deriva una sorta di morale dissociata”, ha aggiunto. “È sconcertante vedere che, non di rado, gli stessi gruppi sociali e politici che lodevolmente sono i più inclini al rispetto della creazione di Dio, prestano scarsa attenzione alla meraviglia della vita nel grembo materno”, ha osservato Benedetto XVI.

“Dobbiamo sperare che, soprattutto fra i giovani, il crescente interesse per l’ambiente possa rafforzare la conoscenza del giusto ordine della meravigliosa creazione di Dio, di cui l’uomo e la donna sono il centro e il vertice”, ha concluso il Papa.

Ecologia umana

Benedetto XVI, nel porre in collegamento la vita umana e l’ecologia, si pone in linea con il cammino intrapreso da Giovanni Paolo II. Nell’enciclica “Centesimus Annus”, del 1991, Giovanni Paolo II esprime la sua inquietudine per i danni arrecati all’ambientale, ritenendo un errore quello di pensare di poterlo sfruttare senza limiti o di poterne consumare le risorse in modo disordinato e sproporzionato.

Ma Giovanni Paolo II aggiunge subito che “oltre all’irrazionale distruzione dell’ambiente naturale è qui da ricordare quella, ancor più grave, dell’ambiente umano, a cui peraltro si è lontani dal prestare la necessaria attenzione” (n. 38).

Di questa ecologia umana, come l’ha definita Giovanni Paolo II, dobbiamo farci carico. E la prima e fondamentale struttura di questa ecologia è la famiglia, aggiunge il Papa. La famiglia fondata sul matrimonio è un santuario della vita e deve essere protetta contro gli attacchi provenienti dalla cultura della morte.

L’arcivescovo Celestino Migliore, osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite, ha ribadito l’esigenza di mantenere un corretto rapporto fra l’attenzione all’ambiente e l’attenzione alla persona umana, in un discorso pronunciato il 29 ottobre davanti all’Assemblea generale delle Nazioni Unite.

“La tutela dell’ambiente implica una visione più positiva dell’essere umano, nel senso che la persona non è considerata un elemento di disturbo o una minaccia all’ambiente, ma la responsabile della cura e della gestione dell’ambiente”, ha osservato il rappresentante del Vaticano.

Non esiste, quindi, contrapposizione tra il genere umano e l’ambiente, quanto piuttosto una “alleanza in cui l’ambiente condiziona essenzialmente la vita e lo sviluppo dell’uomo mentre l’essere umano perfeziona e nobilita l’ambiente mediante la propria attività creativa”, ha aggiunto l’Arcivescovo. 

La questione ambientale più essenziale, quindi, riguarda la persona umana, che non può essere sacrificata in ragione di un distorto zelo per la tutela dell’ambiente naturale.

 

 [Traduzione di Francesco Peca] 

 

buona notte

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Alpinia

http://www.tropicaflore.com/accueil/famillesplantes/alpinias.htm

Publié dans:immagini buon...notte, giorno |on 28 novembre, 2007 |Pas de commentaires »

« Nemmeno un capello del vostro capo perirà »

Le Costituzioni apostoliche (380), raccolta canonica e liturgica
Ripresa della Didascalia degli apostoli, testo dall’inizio del 3° secolo cfr. SC 329

« Nemmeno un capello del vostro capo perirà »

Se siamo chiamati al martirio, dobbiamo confessare con costanza il prezioso Nome, e se per questo motivo siamo castigati, rallegriamoci perché corriamo verso l’immortalità. Se siamo perseguitati, non rattristiamoci, « non preferiamo il secolo presente », né « la gloria che viene dagli uomini » (2 Tm 4,10; Rm 2,29), né la gloria e l’onore dei principi, come fecero certi. Ammiravano le opere del Signore ma non credevano in lui, per timore dei sommi sacerdoti e degli altri capi; infatti « amavano la gloria degli uomini più della gloria di Dio » (Gv 12,43). Nel confessare « la bella professione di fede » (1Tm 6,12), non soltanto assicuriamo la nostra salvezza, ma anche rafforziamo i nuovi battezzati e consolidiamo la fede dei catecumeni…

Chiunque è stato ritenuto degno del martirio, si rallegri di imitare il maestro, poiché sta scritto: « Ognuno sia come il suo maestro » (Lc 6,40). Ora il nostro maestro, Gesù, il Signore, è stato colpito a causa nostra, ha sopportato pazientemente calunnie e oltraggi, è stato coperto di sputi, schiaffeggiato, pestato; dopo esser stato flagellato, è stato inchiodato sulla croce, gli hanno fatto bere l’aceto e il fiele, e dopo aver compiuto tutte le Scritture, ha detto a Dio suo Padre: « Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito » (Lc 23,48). Perciò chiunque chiede di essere suo discepolo, cerchi di lottare come lui, imiti la sua pazienza, sapendo bene che…, qualunque cosa egli sopporti, sarà ricompensato da Dio se crede all’unico e solo vero Dio.

Infatti, il Dio onnipotente ci risusciterà per mezzo del nostro Signore Gesù Cristo, secondo la sua promessa infallibile, insieme con tutti coloro che sono morti fin dall’inizio… Anche se moriamo in mare, anche se siamo dispersi nella terra, anche se siamo lacerati dalle bestie feroci o dai rapaci, egli ci risusciterà con la sua potenza, perché l’universo intero è tenuto nella mano di Dio: « Nemmeno un capello del vostro capo perirà ». Per questo ci esorta con queste parole: « Con la vostra perseveranza salverete le vostre anime ».

Publié dans:Bibbia: commenti alla Scrittura |on 28 novembre, 2007 |Pas de commentaires »

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