Archive pour le 24 septembre, 2007

Madonna del segno

Madonna del segno dans immagini sacre Image9

La Madonna del segno (cfr. Isaia 7, 14, dove come  » segno  » viene preannunziato che una Vergine concepirà un figlio) ha le braccia alzate come orante, con l’immagine di Gesù sul petto, spesso iscritta in un mistico cerchio (ricorda l’icona bizantina della Platitera cioè  » più vasta dei cieli » poiché portò in sé il Creatore). La festa principale è il 27 novembre, istituita in ricordo della vittoria di Novgorod su Suždal nel 1170, grazie a un miracoloso intervento di quell’icona, comprovando così una devozione plurisecolare.

http://www.dimensionesperanza.it/modules/xfsection/article.php?articleid=1143

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commento al Salmo 125 (liturgia di oggi)

nella celebrazione della messa di oggi c’è la proclamazione del salmo 125, ho preso il commento di Papa Benedetto per una lettura più approfondita, dal sito Vaticano:

http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/audiences/2005/documents/hf_ben-xvi_aud_20050817_it.html

BENEDETTO XVI UDIENZA GENERALE 

Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo
Mercoledì, 17 agosto 2005

Salmo 125


Dio nostra gioia e nostra speranza
Vespri – Mercoledì 3a settimana 
1. Ascoltando le parole del Salmo 125 si ha limpressione di vedere scorrere davanti agli occhi levento cantato nella seconda parte del Libro di Isaia: il «nuovo esodo». È il ritorno di Israele dallesilio babilonese alla terra dei padri in seguito alleditto del re persiano Ciro nel 538 a.C. Allora si ripeté lesperienza gioiosa del primo esodo, quando il popolo ebraico fu liberato dalla schiavitù egiziana. 

Questo Salmo acquistava particolare significato quando veniva cantato nei giorni in cui Israele si sentiva minacciato e impaurito, perché sottomesso di nuovo alla prova. Il Salmo comprende effettivamente una preghiera per il ritorno dei prigionieri del momento (cfr v. 4). Esso diventava, così, una preghiera del popolo di Dio nel suo itinerario storico, irto di pericoli e di prove, ma sempre aperto alla fiducia in Dio Salvatore e Liberatore, sostegno dei deboli e degli oppressi. 2. Il Salmo introduce in unatmosfera di esultanza: si sorride, si fa festa per la libertà ottenuta, affiorano sulle labbra canti di gioia (cfr vv. 1-2). 

La reazione di fronte alla libertà ridonata è duplice. Da un lato, le nazioni pagane riconoscono la grandezza del Dio di Israele: «Il Signore ha fatto grandi cose per loro» (v. 2). La salvezza del popolo eletto diventa una prova limpida dellesistenza efficace e potente di Dio, presente e attivo nella storia. Daltro lato, è il popolo di Dio a professare la sua fede nel Signore che salva: «Grandi cose ha fatto il Signore per noi» (v. 3). 3. Il pensiero corre poi al passato, rivissuto con un fremito di paura e di amarezza. Vorremmo fissare lattenzione sullimmagine agricola usata dal Salmista: «Chi semina nelle lacrime mieterà con giubilo» (v. 5). Sotto il peso del lavoro, a volte il viso si riga di lacrime: si sta compiendo una semina faticosa, forse votata allinutilità e allinsuccesso. Ma quando giunge la mietitura abbondante e gioiosa, si scopre che quel dolore è stato fecondo. 

In questo versetto del Salmo è condensata la grande lezione sul mistero di fecondità e di vita che può contenere la sofferenza. Proprio come aveva detto Gesù alle soglie della sua passione e morte: «Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto» (Gv 12,24). 4. Lorizzonte del Salmo si apre così alla festosa mietitura, simbolo della gioia generata dalla libertà, dalla pace e dalla prosperità, che sono frutto della benedizione divina. Questa preghiera è, allora, un canto di speranza, cui ricorrere quando si è immersi nel tempo della prova, della paura, della minaccia esterna e delloppressione interiore. 

Ma può diventare anche un appello più generale a vivere i propri giorni e a compiere le proprie scelte in un clima di fedeltà. La perseveranza nel bene, anche se incompresa e contrastata, alla fine giunge sempre ad un approdo di luce, di fecondità, di pace. È ciò che san Paolo ricordava ai Galati: «Chi semina nello Spirito, dallo Spirito raccoglierà vita eterna. E non stanchiamoci di fare il bene; se infatti non desistiamo, a suo tempo mieteremo» (Gal 6,8-9). 

5. Concludiamo con una riflessione di san Beda il Venerabile (672/3-735) sul Salmo 125 a commento delle parole con cui Gesù annunziava ai suoi discepoli la tristezza che li attendeva e insieme la gioia che sarebbe scaturita dalla loro afflizione (cfr Gv 16,20). Beda ricorda che «piangevano e si lamentavano quelli che amavano Cristo quando lo videro preso dai nemici, legato, portato in giudizio, condannato, flagellato, deriso, da ultimo crocifisso, colpito dalla lancia e sepolto. Gioivano invece quelli che amavano il mondo, quando condannavano a morte turpissima colui che era per loro molesto anche solo a vederlo. Si rattristarono i discepoli della morte del Signore, ma, conosciuta la sua risurrezione, la loro tristezza si mutò in gioia; visto poi il prodigio dellascensione, con gioia ancora maggiore lodavano e benedicevano il Signore, come testimonia levangelista Luca (cfr Lc 24,53). Ma queste parole del Signore si adattano a tutti i fedeli che, attraverso le lacrime e le afflizioni del mondo, cercano di arrivare alle gioie eterne, e che a ragione ora piangono e sono tristi, perché non possono vedere ancora colui che amano, e perché, fino a quando stanno nel corpo, sanno di essere lontani dalla patria e dal regno, anche se sono certi di giungere attraverso le fatiche e le lotte al premio. La loro tristezza si muterà in gioia quando, terminata la lotta di questa vita, riceveranno la ricompensa della vita eterna, secondo quanto dice il Salmo: Chi semina nelle lacrime, mieterà nella gioia”» (Omelie sul Vangelo, 2,13: Collana di Testi Patristici, XC, Roma 1990, pp. 379-380). 

dal sito: 

http://www.arteikon.it/La_Vergine_del_Segno.html

 « Dunque questo Figlio di Dio, nostro Signore, che è verbo del Padre è anche Figlio dell’uomo, poichè da Maria, che aveva avuto la generazione da creature umane ed era ella stessa creatura umana, ebbe la nascita umana e divenne Figlio dell’uomo. Perciò il Signore stesso ci dette un segno, in profondità e in altezza, segno che l’uomo non domandò, perchè non si sarebbe mai aspettato che una vergine potesse concepire e partorire un figlio continuando ad essere vergine, e il frutto di questo parto fosse – Dio-con.noi-; che egli discendesse nelle profondità della terra a cercare la pecora che era perduta, e in effetti era la sua propria creatura, e poi salisse in alto ad offrire al Padre quell’uomo che in tal modo era stato ritrovato ». 

Sant’Ireneo, Adv. Haer., II, 19, 3 PG 7, 941A 

Breve lettura dell’icona 


La maestosa icona della “Vergine del Segno” della Cattedrale di Jaroslav, la Grande Panaghìa – la Tutta Santa – è collegata da alcuni alla profezia di Isaia sulla Vergine che diventerà Madre (cfr. 7,14); da altri, invece, al prodigio, segno della materna benevolenza di Maria SS, al tempo dell’assedio di Novgorod da parte dei soldati di Suzdal’, nel 1170. Sfiniti i Novgorodiani posero le loro speranze nel Signore e nella sua purissima Madre; l’Arcivescovo Giovanni prese dalla Chiesa del Salvatore sull’Ilin l’icona della Madre di Dio per portarla sulle mura della città e mentre continuavano le suppliche accorate dei fedeli giunse presso il luogo dove avveniva l’attacco del nemico. Una freccia delle truppe di Suzdal’ ferì la sacra immagine, che si rivolse verso Novgorod lasciando cadere sue lacrime sul paramento dell’Arcivescovo. Con questo la miracolosa icona diede agli assediati il “segno” che la Regina del cielo pregava il divin Figlio per la liberazione della città e Novgorod fu salva. 

A commissionarla per la nuova Cattedrale di pietra del palazzo reale consacrata nel 1215, era stato Costantino il Saggio, principe di Rostov e di Vladimir. 

La figura orante con le braccia levate al cielo, simboleggia la reverenza verso Dio e diventò in ambito cristiano formula iconografica per rappresentare il buon cristiano defunto e il martire in particolare, tipo del vero credente che da Cristo aspetta la vita. 

Il gesto della mano con il palmo rivolto verso l’alto esprime l’attesa del dono da parte di Dio e al tempo stesso la totale disponibilità a essere “colmati dall’Alto”; le mani alzate rinunciano ad intervenire autonomamente nella storia e formano al tempo stesso un ricettacolo invisibile che Dio potrà riempire e dal quale si effonderà, come dal bacino di una fonte, l’acqua della vita. 

L’Orante con il Bambino nel medaglione non è dunque una raffigurazione storica della Madre con il Figlio, bensì la “Vergine del Segno”, come viene chiamata in russo. 

La porpora dell’omophoriòn – il manto – e il rosso del tappeto dal ricco disegno a fogliame si accordano armoniosamente con il verde scuro dell’abito. L’oro caldo del fondo traspare anche sulle pieghe degli abiti là dove solitamente il colore viene posato in una soprattinta più chiara. 

Portatrice privilegiata di questo “segno”, la Vergine orante è necessariamente al tempo stesso colei che intercede per gli uomini e trasmette la grazia divina: “Per difendere la nostra causa, ella stende sul mondo le sue mani immacolate”. 

 

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Omelia di Benedetto XVI durante la Messa in piazza San Clemente a Velletri

dal sito: 

http://www.zenit.org/article-11959?l=italian

 

Omelia di Benedetto XVI durante la Messa in piazza San Clemente a Velletri

 VELLETRI, domenica, 23 settembre 2007 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il testo dell’omelia pronunciata questa domenica mattina da Benedetto XVI nel celebrare la Santa Messa nella Piazza antistante alla Cattedrale di San Clemente, a Velletri, dove si è recato per una visita pastorale di un giorno. 

* * * 

Cari fratelli e sorelle!

Sono tornato volentieri in mezzo a voi per presiedere questa solenne celebrazione eucaristica, rispondendo ad un vostro reiterato invito. Sono tornato con gioia per incontrare la vostra comunità diocesana, che per diversi anni è stata in modo singolare anche la mia e che mi resta tuttora tanto cara. Vi saluto tutti con affetto. Saluto, in primo luogo, il Signor Cardinale Francis Arinze, che mi è succeduto come Cardinale titolare di questa Diocesi; saluto il vostro Pastore, il caro Mons. Vincenzo Apicella, che ringrazio per le cortesi parole di benvenuto con cui ha voluto accogliermi a nome vostro. Saluto gli altri Vescovi, i sacerdoti, i religiosi e le religiose, gli operatori pastorali, i giovani e quanti sono attivamente impegnati nelle parrocchie, nei movimenti, nelle associazioni e nelle varie attività diocesane. Saluto il Commissario Prefettizio di Velletri, i Sindaci dei Comuni della Diocesi di Velletri-Segni e le altre Autorità civili e militari, che ci onorano della loro presenza. Saluto quanti sono venuti da altre parti, in particolare dalla Germania, per unirsi a noi in questo giorno di festa. Vincoli di amicizia legano la mia terra natale alla vostra: ne è testimone la colonna di bronzo donatami a Marktl am Inn nel settembre dello scorso anno, in occasione del viaggio apostolico in Germania e che ben volentieri ho voluto restasse qui, come ulteriore segno del mio affetto e della mia benevolenza.

So che vi siete preparati all’odierna mia visita attraverso un intenso cammino spirituale, adottando come motto un versetto assai significativo della Prima Lettera di Giovanni: « Noi abbiamo riconosciuto e creduto all’amore che Dio ha per noi » (4,16). Deus caritas est, Dio è amore: con queste parole inizia la mia prima Enciclica, che concerne il centro della nostra fede: l’immagine cristiana di Dio e la conseguente immagine dell’uomo e del suo cammino. Mi rallegro che voi abbiate scelto come guida dell’itinerario spirituale e pastorale della Diocesi proprio questa espressione: « Noi abbiamo riconosciuto l’amore che Dio ha per noi e vi abbiamo creduto ». L’odierna nostra assemblea liturgica non può pertanto non focalizzarsi su questa verità essenziale, sull’amore di Dio, capace di imprimere all’esistenza umana un orientamento e un valore assolutamente nuovi. L’amore è l’essenza del Cristianesimo, che rende il credente e la comunità cristiana fermento di speranza e di pace in ogni ambiente, attenti specialmente alle necessità dei poveri e dei bisognosi. L’amore fa vivere la Chiesa.

Nelle passate domeniche, san Luca, l’evangelista che più degli altri si preoccupa di mostrare l’amore che Gesù ha per i poveri, ci ha offerto diversi spunti di riflessione circa i pericoli di un attaccamento eccessivo al denaro, ai beni materiali e a tutto ciò che ci impedisce di vivere in pienezza la nostra vocazione ad amare Dio e i fratelli. Anche quest’oggi, attraverso una parabola che provoca in noi una certa meraviglia perché si parla di un amministratore disonesto che viene lodato (cfr Lc 16,1-13), a ben vedere il Signore ci riserva un serio e quanto mai salutare insegnamento. Come sempre Egli trae spunto da fatti di cronaca quotidiana: narra di un amministratore che sta sul punto di essere licenziato per disonesta gestione degli affari del suo padrone e, per assicurarsi il futuro, cerca con furbizia di accordarsi con i debitori. E’ certamente un disonesto, ma astuto: il Vangelo non ce lo presenta come modello da seguire nella sua disonestà, ma come esempio da imitare per la sua previdente scaltrezza. La breve parabola si conclude infatti con queste parole: « Il padrone lodò quell’amministratore disonesto perché aveva agito con scaltrezza » (Lc 16,8).

Che cosa vuole dirci Gesù? Alla parabola del fattore infedele, l’evangelista fa seguire una breve serie di detti e di ammonimenti circa il rapporto che dobbiamo avere con il denaro e i beni di questa terra. Sono piccole frasi che invitano ad una scelta che presuppone una decisione radicale, una costante tensione interiore. La vita è in verità sempre una scelta: tra onestà e disonestà, tra fedeltà e infedeltà, tra egoismo e altruismo, tra bene e male. Incisiva e perentoria la conclusione del brano evangelico: « Nessun servo può servire a due padroni: o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro ». In definitiva, dice Gesù, occorre decidersi: « Non potete servire a Dio e mammona » (Lc 16,13). Mammona è un termine di origine fenicia che evoca sicurezza economica e successo negli affari; potremmo dire che nella ricchezza viene indicato l’idolo a cui si sacrifica tutto pur di raggiungere il proprio successo personale. È necessaria quindi una decisione fondamentale – la scelta tra la logica del profitto come criterio ultimo nel nostro agire e la logica della condivisione e della solidarietà. La logica del profitto, se prevalente, incrementa la sproporzione tra poveri e ricchi, come pure un rovinoso sfruttamento del pianeta. Quando invece prevale la logica della condivisione e della solidarietà, è possibile correggere la rotta e orientarla verso uno sviluppo equo, per il bene comune di tutti. In fondo si tratta della decisione tra l’egoismo e l’amore, tra la giustizia e la disonestà, in definitiva tra Dio e Satana. Se amare Cristo e i fratelli non va considerato come qualcosa di accessorio e di superficiale, ma piuttosto lo scopo vero ed ultimo di tutta la nostra esistenza, occorre saper operare scelte di fondo, essere disposti a radicali rinunce, se necessario sino al martirio. Oggi, come ieri, la vita del cristiano esige il coraggio di andare contro corrente, di amare come Gesù, che è giunto sino al sacrificio di sé sulla croce.

Potremmo allora dire, parafrasando una considerazione di sant’Agostino, che per mezzo delle ricchezze terrene dobbiamo procurarci quelle vere ed eterne: se infatti si trova gente pronta ad ogni tipo di disonestà pur di assicurarsi un benessere materiale pur sempre aleatorio, quanto più noi cristiani dovremmo preoccuparci di provvedere alla nostra eterna felicità con i beni di questa terra (cfr Discorsi 359,10). Ora, l’unica maniera di far fruttificare per l’eternità le nostre doti e capacità personali come pure le ricchezze che possediamo è di condividerle con i fratelli, mostrandoci in tal modo buoni amministratori di quanto Iddio ci affida. Dice Gesù: « Chi è fedele nel poco, è fedele nel molto; e chi è disonesto nel poco, è disonesto anche nel molto » (Lc 16,10-11).

Della stessa scelta fondamentale da compiere giorno per giorno parla oggi nella prima lettura il profeta Amos. Con parole forti, egli stigmatizza uno stile di vita tipico di chi si lascia assorbire da un’egoistica ricerca del profitto in tutti i modi possibili e che si traduce in una sete di guadagno, in un disprezzo dei poveri e in uno sfruttamento della loro situazione a proprio vantaggio (cfr Am 4,5). Il cristiano deve respingere con energia tutto questo, aprendo il cuore, al contrario, a sentimenti di autentica generosità. Una generosità che, come esorta l’apostolo Paolo nella seconda Lettura, si esprime in un amore sincero per tutti e si manifesta in primo luogo nella preghiera. Grande gesto di carità è pregare per gli altri. L’Apostolo invita in primo luogo a pregare per quelli che rivestono compiti di responsabilità nella comunità civile, perché – egli spiega – dalle loro decisioni, se tese a realizzare il bene comune, derivano conseguenze positive, assicurando la pace e « una vita calma e tranquilla con tutta pietà e dignità » per tutti (1 Tm 2,2). Non venga pertanto mai meno la nostra preghiera, apporto spirituale all’edificazione di una Comunità ecclesiale fedele a Cristo e alla costruzione d’una società più giusta e solidale.

Cari fratelli e sorelle, preghiamo, in particolare, perché la vostra comunità diocesana, che sta subendo una serie di trasformazioni, dovute al trasferimento di molte famiglie giovani provenienti da Roma, allo sviluppo del « terziario » e all’insediamento nei centri storici di molti immigrati, conduca un’azione pastorale sempre più organica e condivisa, seguendo le indicazioni che il vostro Vescovo va offrendo con spiccata sensibilità pastorale. A questo riguardo, quanto mai opportuna si è rivelata la sua Lettera Pastorale del dicembre scorso con l’invito a mettersi in ascolto attento e perseverante della Parola di Dio, degli insegnamenti del Concilio Vaticano II e del Magistero della Chiesa. Deponiamo nelle mani della Madonna delle Grazie, la cui immagine è custodita e venerata in questa vostra bella Cattedrale, ogni vostro proposito e progetto pastorale. La materna protezione di Maria accompagni il cammino di voi qui presenti e di quanti non hanno potuto partecipare all’odierna nostra Celebrazione eucaristica. In special modo, vegli la Vergine Santa sugli ammalati, sugli anziani, sui bambini, su chiunque si sente solo e abbandonato o versa in particolari necessità. Ci liberi Maria dalla cupidigia delle ricchezze, e faccia sì che alzando al cielo mani libere e pure, rendiamo gloria a Dio con tutta la nostra vita (cfr Colletta). Amen!

Publié dans:Papa Benedetto XVI |on 24 septembre, 2007 |Pas de commentaires »

buona notte

buona notte dans immagini buon...notte, giorno orchmor1

Orchis morio

http://www.capriorchids.com/localorchis.htm

Publié dans:immagini buon...notte, giorno |on 24 septembre, 2007 |Pas de commentaires »

« Fate attenzione a come ascoltate »

Discorso attribuito a Sant’Agostino (354-430), vescovo d’Ippona (Africa del Nord) e dottore della Chiesa
Cf. Discorso sul salmo 139,15 ; Discorsi su san Giovanni, n° 57

« Fate attenzione a come ascoltate »

« Sia ogni uomo veloce ad ascoltare, lento a parlare » (Gc 1,19)… Ecco, l’attesto alla vostra Carità. Miei fratelli, in questo momento noi stiamo parlando a voi per insegnarvi qualcosa; ma quanto sarebbe meglio se tutti sapessimo tutto e nessuno dovesse far da maestro agli altri, se non ci fosse uno che parli e un altro che ascolti ma tutti fossimo all’ascolto di quell’unico a cui è detto: « Al mio udito farai sentire esultazione e letizia! » (Sal 50,10). Riponi la tua gioia nell’ascoltare Dio.

Nel tuo parlare ti muova solo la necessità. In tal modo non sarai un linguacciuto e potrai rigar dritto. Come ci si riferisce del beato Giovanni, il quale godeva non tanto perché gli era dato predicare e parlare ma perché poteva ascoltare. Diceva infatti: « Ma l’amico dello sposo sta in piedi ad udirlo e si riempie di gioia alla voce della sposo » (Gv 3,29). E poi, perché voler parlare e non voler piuttosto ascoltare? Uscire continuamente fuori e provar tanta difficoltà a tornar dentro? Gustiamo il piacere che proviamo nell’ascoltare la Verità che parla dentro di noi senza strepito alcuno. Chi, volentieri e religiosamente ascolta, non è tentato di vantarsi delle fatiche altrui, e, lungi dal gonfiarsi d’orgoglio, gode di ascoltare la voce della verità del Signore con una gioia che è propria solo all’umiltà

Publié dans:Bibbia: commenti alla Scrittura |on 24 septembre, 2007 |Pas de commentaires »

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