buona notte

Imitazione di Cristo
§ 2, 2-3
« Il più grande tra voi sia vostro servo »
Se tu sai tacere e sopportare, sperimenterai senza dubbio l’aiuto del Signore. Egli conosce bene il tempo e il modo di liberarti, e perciò devi rassegnarti alla sua volontà. Spetta a Dio aiutare e liberare da ogni situazione difficile.
Spesso giova assai, per meglio conservare l’umiltà, che gli altri conoscano i nostri difetti e li riprendano. Quando uno si umilia per i suoi difetti, placa facilmente gli altri e dà soddisfazione a coloro che gli sono ostili.
Dio protegge e libera l’umile, lo ama e lo consola ; egli si china verso l’umile, gli elargisce grazia abbondante e dopo l’umiliazione lo innalza alla gloria. Egli rivela all’umile i suoi segreti e dolcemente lo attrae e l’invita a sé.
Preghiera di San Francesco D’Assisi, dal sito:
http://www.maranatha.it/Franchiara/Franc03Page.htm
Preghiera di Lode e Ringraziamento
Onnipotente, santissimo, altissimo, sommo Dio,
Padre santo e giusto,
Signore Re del cielo e della terra,
ti rendiamo grazie per il fatto stesso che tu esisti,
ed anche perché con un gesto della tua volontà,
per l’unico tuo Figlio e nello Spirito Santo,
hai creato tutte le cose visibili ed invisibili
e noi, fatti a tua immagine e somiglianza,
avevi destinato a vivere felici in un paradiso
dal quale unicamente per colpa nostra
siano stati allontanati.
E ti rendiamo grazie, perché,
come per il Figlio tuo ci creasti,
così a causa del vero e santo amore
con il quale ci hai amati,
hai fatto nascere lo stesso vero Dio e vero uomo
dalla gloriosa sempre vergine beatissima santa Maria
e hai voluto che per mezzo della croce,
del sangue e della morte di lui
noi fossimo liberati dalla schiavitù del peccato.
E ti rendiamo grazie, perché
lo stesso tuo Figlio ritornerà nella gloria
della sua maestà,
per mandare nel fuoco eterno
gli empi che non fecero penitenza
e non vollero conoscere il tuo amore
e per dire a quelli che ti conobbero,
adorarono, servirono
e si pentirono dei loro peccati. Venite Benedetti del Padre mio:
entrate in possesso del regno
che è stato preparato per voi,
fin dalla creazione del mondo! (Mt. 25, 34).
E poiché noi, miseri e peccatori,
non siamo nemmeno degni di nominarti
ti preghiamo e ti supplichiamo,
perché il Signore nostro Gesù Cristo,
il Figlio che tu ami
e che a te basta sempre e in tutto,
per il quale hai concesso a noi cose così grandi,
insieme con lo Spirito Santo Paraclito,
ti renda grazie per ogni cosa
in modo degno e a te gradito.
E umilmente preghiamo in nome del tuo amore
la beatissima Maria sempre vergine,
i beati Michele, Gabriele, Raffaele
e tutti gli angeli,
i beati Giovanni Battista e Giovanni evangelista,
Pietro e Paolo,
i beati patriarchi, profeti, innocenti,
apostoli, evangelisti, discepoli,
martiri, confessori, vergini,
i beati Elia ed Enoc,
e tutti i santi che furono, che sono e che saranno,
perché, come essi possono fare,
rendano grazie a te,
per tutto il bene che ci hai fatto,
o sommo Dio, eterno e vivo,
con il Figlio tuo diletto,
Signore nostro Gesù Cristo
e con lo Spirito Paraclito
nei secoli dei secoli.
Amen
dal sito on line del giornale: « Avvenire »:
Emergenza fuoco, il lavoro educativo
Parlare e predicare del peccato contro la natura
Francesco Ognibene
«In Italia manca l’affetto per l’ambiente». Forse non solo per l’ambiente, viene spontaneo aggiungere. Ma le amare parole del capo della Protezione civile Guido Bertolaso quando mercoledì notte non s’era ancora venuti a capo del rogo di Cefalù riassumono sobriamente la lezione che resta tra la cenere del Sud, una volta dissolto il fumo di stucchevoli polemiche. Leggi, mezzi, uomini, strutture: la difesa della natura è tutto questo, certo, ma è anche molto di più. È quell’«affetto», appunto, che drammaticamente scopriamo mancare quando ci accorgiamo all’improvviso di angoli di degrado, isole d’incuria, intere aree abbandonate al capriccio di chi le usa senza nemmeno più l’ombra della consapevolezza che l’ambiente è « bene comune »: appartiene a tutti, deve stare a cuore a ciascuno, e non può essere lasciato in balia di qualche sconsiderato o, peggio, di criminali. L’affetto però non si impone per legge, e quando viene a mancare così platealmente è segno che l’incendio è colpa del piromane, ma non di lui soltanto. Nessuno che abbia responsabilità educative può eludere oggi, di fronte alla tragedia delle vittime e al nuovo scempio di boschi, una riflessione su quel che si fa per coltivare il germoglio dell’amore per l’ambiente, luogo vivo e non solo fondale della nostra vita. Devastarlo è un reato che ferisce l’umanità e non solo la flora. La stessa Chiesa deve usare ogni propria risorsa formativa perché questa sensibilità oscurata torni a parlare al cuore, dettando doveri, suggerendo impegni, impedendo omissioni, se occorre evocando il peccato. È un senso morale atrofizzato che deve riprendere tono e restituire lo sguardo attento a chi l’ha perduto (anche a noi stessi, forse) finendo per considerare la natura come un accessorio utile, un occasionale rifugio emotivo, e non secondo ciò che la stessa storia cristiana indica quando parla di « creato », parola che racchiude il divino e l’umano come poche altre. Il mondo affidato in eredità all’uomo – a ciascuno – è una respon sabilità non delegabile a nessuna Protezione civile: è la stessa comune natura umana, così violentemente alterata, che dovrebbe farci avvertire come nostro, gelosamente nostro, ciò che ci è consegnato per farlo fruttare e non per spremerlo e gettarlo. Ogni omelia, catechesi, occasione formativa può essere il « luogo » di questa rinnovata educazione popolare: un’opera non residuale, quasi un lusso là dove si è esaurita ogni altra necessità pastorale, ma un impegno che è parte stessa dello sforzo così necessario per rimettere al centro della cultura la persona umana e opporsi alla pretesa di autonomia, al soggettivismo sempre più scomposto, alla libertà che solo pretende, all’arbitrio che induce a credersi capricciosi signori del mondo. Negli incendi di questa estate e in ogni vigliaccheria piccola o grande di fronte alla natura c’è anche uno strappo che va sanato tra ciò che siamo e il ritratto sgraziato che ci siamo costruiti. Sentirsi richiamati a tornare in noi stessi allora è un passo culturale decisivo, un’armonia ritrovata, e non un’ingenuità evasiva. Invocando «campi scuola» da far organizzare a tutte le scuole italiane «per educare i giovani ad amare il loro territorio» Bertolaso non ha fatto che richiamare un’esperienza nata dalla passione educativa della Chiesa, che onorando la natura invita a contemplarne il Creatore, e a smettere di credersi tutto.
dal sito:
http://www.santiebeati.it/dettaglio/21400
San Bartolomeo Apostolo, Festa
Primo secolo dell’èra cristiana
Apostolo martire nato nel I secolo a Cana, Galilea; morì verso la metà del I secolo probabilmente in Siria. La passione dell’apostolo Bartolomeo contiene molte incertezze: la storia della vita, delle opere e del martirio del santo è inframmezzata da numerosi eventi leggendari.Il vero nome dell’apostolo è Natanaele. Il nome Bartolomeo deriva probabilmente dall’aramaico «bar», figlio e «talmai», agricoltore. Bartolomeo giunse a Cristo tramite l’apostolo Filippo. Dopo la resurrezione di Cristo, Bartolomeo fu predicatore itinerante (in Armenia, India e Mesopotamia). Divenne famoso per la sua facoltà di guarire i malati e gli ossessi. Bartolomeo fu condannato alla morte Persiana: fu scorticato vivo e poi crocefisso dai pagani. La calotta cranica del martire Bartolomeo si trova dal 1238 nel duomo di San Bartolomeo, a Francoforte. Una delle usanze più note legate alla festa di San Bartolomeo é il pellegrinaggio di Alm: la domenica prima o dopo San Bartolomeo, gli abitanti della località austriaca di Alm si recano in pellegrinaggio a St. Bartholoma, sul Konigssee, nel Berchtesgaden. I primi pellegrinaggi risalgono al XV secolo e sono legati allo scioglimento di un voto perché cessasse un’epidemia di peste. (Avvenire)
Patronato:Diocesi Campobasso-Boiano
Etimologia:Bartolomeo = figlio del valoroso, dall’aramaico
Emblema:Coltello
E’ presente nel Martirologio Romano.
Non è di quelli che accorrono appena chiamati, anche se poi sarà capace di donarsi totalmente a una causa; ha le sue idee, le sue diffidenze e i suoi pregiudizi. I vangeli sinottici lo chiamano Bartolomeo, e in quello di Giovanni è indicato come Natanaele. Due nomi comunemente intesi il primo come patronimico (BarTalmai, figlio di Talmai, del valoroso) e il secondo come nome personale, col significato di “dono di Dio”.
Da Giovanni conosciamo la storia della sua adesione a Gesù, che non è immediata come altre. Di Gesù gli parla con entusiasmo Filippo, suo compaesano di Betsaida: « Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i Profeti, Gesù, figlio di Giuseppe di Nazareth ». Basta questo nome – Nazareth – a rovinare tutto. La risposta di Bartolomeo arriva inzuppata in un radicale pessimismo: « Da Nazareth può mai venire qualcosa di buono? ». L’uomo della Betsaida imprenditoriale, col suo “mare di Galilea” e le aziende della pesca, davvero non spera nulla da quel paese di montanari rissosi.
Ma Filippo replica ai suoi pregiudizi col breve invito a conoscere prima di sentenziare: « Vieni e vedi ». Ed ecco che si vedono: Gesù e NatanaeleBartolomeo, che si sente dire: « Ecco davvero un Israelita in cui non c’è falsità ». Spiazzato da questa fiducia, lui sa soltanto chiedere a Gesù come fa a conoscerlo. E la risposta (« Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto il fico ») produce una sua inattesa e debordante manifestazione di fede: « Rabbi, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d’Israele! ». Quest’uomo diffidente è in realtà pronto all’adesione più entusiastica, tanto che Gesù comincia un po’ a orientarlo: « Perché ti ho detto che ti ho visto sotto il fico credi? Vedrai cose maggiori di questa ».
Troviamo poi Bartolomeo scelto da Gesù con altri undici discepoli per farne i suoi inviati, gli Apostoli. Poi gli Atti lo elencano a Gerusalemme con gli altri, « assidui e concordi nella preghiera ». E anche per Bartolomeo (come per Andrea, Tommaso, Matteo, Simone lo Zelota, Giuda Taddeo, Filippo e Mattia) dopo questa citazione cala il silenzio dei testi canonici.
Ne parlano le leggende, storicamente inattendibili. Alcune lo dicono missionario in India e in Armenia, dove avrebbe convertito anche il re, subendo però un martirio tremendo: scuoiato vivo e decapitato. Queste leggende erano anche un modo di spiegare l’espandersi del cristianesimo in luoghi remoti, per opera di sconosciuti. A tante Chiese, poi, proclamarsi fondate da apostoli dava un’indubbia autorità. La leggenda di san Bartolomeo è ricordata anche nel Giudizio Universale della Sistina: il santo mostra la pelle di cui lo hanno “svestito” gli aguzzini, e nei lineamenti del viso, deformati dalla sofferenza, Michelangelo ha voluto darci il proprio autoritratto.
Midnight sun – in Bodo, Norway
http://encarta.msn.com/media_461511787_761556517_-1_1/Midnight_Sun_in_Bodo_Norway.html
Pape Benoît XVI
Udienza generale del 4/10/06 (© copyright Libreria Editrice Vaticana)
« Vieni e vedi » : l’apostolo Bartolomeo-Natanaele incontra il Figlio di Dio
Tradizionalmente, l’apostolo Bartolomeo viene identificato con Natanaele: un nome che significa « Dio ha dato ». Questo Natanaele proveniva da Cana (Gv 21, 2) ed è quindi possibile che sia stato testimone del grande « segno » compiuto da Gesù in quel luogo (Gv 2, 1-11). L’identificazione dei due personaggi è probabilmente motivata dal fatto che questo Natanaele, nella scena di vocazione raccontata dal Vangelo di Giovanni, è posto accanto a Filippo, cioè nel posto che ha Bartolomeo nelle liste degli Apostoli riportate dagli altri Vangeli.
A questo Natanaele, Filippo aveva comunicato di aver trovato « colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i Profeti: Gesù, figlio di Giuseppe, da Nazaret » . Come sappiamo, Natanaele gli oppose un pregiudizio piuttosto pesante: « Da Nazaret può mai venire qualcosa di buono? » . Questa sorta di contestazione è, a suo modo, importante per noi. Essa, infatti, ci fa vedere che, secondo le attese giudaiche, il Messia non poteva provenire da un villaggio tanto oscuro come era appunto Nazaret (cfr Gv 7, 42). Al tempo stesso, però, pone in evidenza la libertà di Dio, che sorprende le nostre attese facendosi trovare proprio là dove non ce lo aspetteremmo. D’altra parte, sappiamo che Gesù in realtà non era esclusivamente « da Nazaret », ma che era nato a Betlemme e che ultimamente veniva dal cielo, dal Padre che è nei cieli.
Un’altra riflessione ci suggerisce la vicenda di Natanaele: nel nostro rapporto con Gesù non dobbiamo accontentarci delle sole parole. Filippo, nella sua replica, fa a Natanaele un invito significativo: « Vieni e vedi! ». La nostra conoscenza di Gesù ha bisogno soprattutto di un’esperienza viva: la testimonianza altrui è certamente importante, poiché di norma tutta la nostra vita cristiana comincia con l’annuncio che giunge fino a noi ad opera di uno o più testimoni. Ma poi dobbiamo essere noi stessi a venir coinvolti personalmente in una relazione intima e profonda con Gesù