San Girolamo

Ufficio delle Letture di Sabato 31 agosto,
commento di San Girolamo, biografia del Santo, dal sito:
http://www.santiebeati.it/dettaglio/24650
Con quest’uomo intrattabile hanno un debito enorme la cultura e i cristiani di tutti i tempi. Ha litigato con sprovveduti, dotti, santi e peccatori; fu ammirato e detestato. Ma rimane un benefattore delle intelligenze e la Chiesa lo venera come uno dei suoi padri più grandi. Nato da famiglia ricca, riceve il battesimo a Roma, dove va a studiare. Studierà per tutta la vita, viaggiando dall’Europa all’Oriente con la sua biblioteca di classici antichi, sui quali si è formato. Nel 375, dopo una malattia, Gerolamo passa alla Bibbia, con passione crescente. Studia il greco ad Antiochia; poi, nella solitudine della Calcide (confini della Siria), si dedica all’ebraico. Riceve il sacerdozio ad Antiochia nel 379 e nel 382 è a Roma. Qui, papa Damaso I lo incarica di rivedere il testo di una diffusa versione latina della Scrittura, detta Itala, realizzata non sull’originale ebraico, bensì sulla versione greca detta dei Settanta. A Roma fa anche da guida spirituale a un gruppo di donne della nobiltà. E intanto scaglia attacchi durissimi a ecclesiastici indegni (un avido prelato riceve da lui il nome “Grasso Cappone”).
Alla morte di Damaso I (384), va in Palestina con la famiglia della nobile Paola. Vive in un monastero a Betlemme, scrivendo testi storici, dottrinali, educativi e corrispondendo con gli amici di Roma con immutata veemenza. Perché così è fatto. E poi perché, francamente, troppi ipocriti e furbi inquinano ora la Chiesa, dopo che l’imperatore Teodosio (ca. 346-395) ha fatto del cristianesimo la religione di Stato, penalizzando gli altri culti.
Intanto prosegue il lavoro sulla Bibbia secondo l’incarico di Damaso I. Ma, strada facendo, lo trasforma in un’impresa mai tentata. Sente che per avvicinare l’uomo alla Parola di Dio bisogna andare alla fonte. E così, per la prima volta, traduce direttamente in latino dall’originale ebraico i testi protocanonici dell’Antico Testamento. Lavora sulla pagina e anche sul terreno, come dirà: « Mi sono studiato di percorrere questa provincia (la Giudea) in compagnia di dotti ebrei ». Rivede poi il testo dei Vangeli sui manoscritti greci più antichi e altri libri del Nuovo Testamento. Gli ci vorrebbe più tempo per rifinire e perfezionare l’enorme lavoro. Ma, così come egli lo consegna ai cristiani, esso sarà accolto e usato da tutta la Chiesa: nella Bibbia di tutti, Vulgata, di cui le sue versioni e revisioni sono parte preponderante, la fede è presentata come nessuno aveva fatto prima dell’impetuoso Gerolamo.
E impetuoso rimane, continuando nelle polemiche dottrinali con l’irruenza di sempre, perfino con sant’Agostino, che invece gli risponde con grande amabilità. I suoi difetti restano, e la grandezza della sua opera pure. Gli ultimi suoi anni sono rattristati dalla morte di molti amici, e dal sacco di Roma compiuto da Alarico nel 410: un evento che angoscia la sua vecchiaia.
seconda lettura dell’Ufficio delle letture di questa mattina, dal sito:
http://www.maranatha.it/Ore/ord/LetVen/21VENpage.htm
Seconda Lettura
Dal «Commento su Gioele» di san Girolamo, sacerdote (PL 25, 967-968) Ritornate a me
Ritornate a me con tutto il vostro cuore» (Gl 2, 129 e mostrate la penitenza dell’anima con digiuni, pianti e battendovi il petto: affinché, digiunando adesso, dopo siate satollati; piangendo ora, dopo ridiate; battendovi ora il petto, dopo siate consolati. Nelle circostanze tristi ed avverse vi è consuetudine di strapparsi le vesti. Così fece, secondo il vangelo, il sommo Sacerdote per rendere più grave l’accusa contro il Signore, nostro Salvatore, e così pure Paolo e Barnaba all’udire parole blasfeme. Ebbene Gioele dice: «Laceratevi il cuore e non le vesti, ritornate al Signore vostro Dio, perché egli è misericordioso e benigno, tardo all’ira e ricco di benevolenza» (Gl 2, 13).
Ritornate dunque al Signore vostro Dio, da cui vi siete allontanati per il male che avete fatto, e non disperate mai del perdono per la gravità delle colpe, perché l’infinita misericordia le cancellerà tutte per quanto gravi. Il Signore infatti è buono e misericordioso. Vuole piuttosto la penitenza che la morte del peccatore. E’ paziente e ricco di compassione e non imita l’impazienza degli uomini, ché anzi aspetta per lungo tempo la nostra conversione. Il Signore «è misericordioso e benigno, tardo all’ira e ricco di benevolenza e si impietosisce riguardo alla sventura. Chi sa che non cambi…» (Gl 2, 13-14). E’ pienamente disposto a perdonare e a pentirsi della sentenza di condanna che aveva preparata per i nostri peccati. Se noi ci pentiamo di quanto abbiamo fatto di male, egli si pentirà della decisione di castigo che aveva preso e del male che aveva minacciato di farci. Se noi cambiamo vita anch’egli cambierà la sentenza che aveva predisposto. Quando diciamo che ci ha minacciato del male, certo non ci riferiamo a un male morale, ma a una pena dovuta giustamente a chi ha mancato.
Gioele dopo aver rivelato la misericordia di Dio verso chi si pente, soggiunge: «Chi sa che non cambi e si plachi e lasci dietro a sé una benedizione» (Gl 2, 13-14). Il profeta intende dire: Io assolvo il mio mandato, vi esorto alla penitenza perché so che Dio è oltremodo clemente, come si ricava anche dalla preghiera di David: «Pietà di me, o Dio, secondo la tua misericordia: nella tua grande bontà cancella il mio peccato» (Sal 50, 1. 3). Però siccome non possiamo conoscere la profondità delle ricchezze della sapienza e della scienza di Dio — è sempre il pensiero del profeta Gioele — mitigo la mia affermazione e, più che presumere, auguro dicendo: «Chi sa che non cambi e si plachi?». Dicendo: «Chi sa?» bisogna intendere che è cosa impossibile, o per lo meno difficile a sapersi.
La frase: Offerta e libazione per il Signore nostro Dio (cfr. Gl 2, 14) l’interpretiamo così: dopo che il Signore avrà elargito la sua benedizione e avrà perdonato i nostri peccati, noi possiamo offrire i nostri sacrifici a Dio.
dal sito on line del giornale Avvenire:
Oltre Loreto, Isola del Gran Sasso, Manoppello, Fiastra…
Giovani, un istinto inatteso li porta dove davvero conta
Francesco Ognibene
Non è un modo di dire: ci sono posti dove le pietre parlano davvero, e Loreto è senza dubbio tra quelli più loquaci. Un minuscolo lembo di Terra Santa è qui, circondato oggi dall’allegria dei giovani che sono venuti a incontrare Papa Benedetto, domani e domenica, una compagnia rumorosa e serena attorno a un angolo di cielo che fa tanto famiglia, amicizia, casa. I mattoni sghembi della Casa di Maria chiudono uno spazio piccolo come un grembo che accoglie a migliaia ogni giorno i ragazzi dell’Agorà. Vengono a Loreto da ogni parte come guidati da un istinto, attratti da un luogo dove smettono di essere massa colorata e prendono ciascuno il proprio volto, forma esteriore di una storia, delle richieste portate sulle spalle con lo zaino, delle domande su di sé, il futuro, la vita. Le pietre parlano, a tutti: dalla Santa Casa i ragazzi escono solo dopo aver vuotato il sacco e messo un punto in fondo a una preghiera, intensa o elementare che sia. Sono loro stessi, e dove altro potrebbero esserlo se non a casa della Madre? È bello osservarli mentre prendono le misure di un posto così denso eppure tanto piccolo, fanno qualche passo incerto, poi si appoggiano fiduciosi alle pareti, sfiorano i mattoni, si siedono a terra, a volte vinti dall’emozione, e capiscono forse per la prima volta con tanta evidenza che la fede non è un’astrazione, una dottrina, un’idea, tant’è vero che c’è un luogo di pietre grezze che parla del divino diventato storia. Escono e respirano, sono arrivati, cosa bisogna cercare ancora? Ma nella geografia spirituale dell’Agorà 2007 non c’è solo Loreto a parlare la lingua del cuore, ed è forse questa la maggior sorpresa delle giornate che stiamo vivendo in mezzo ai giovani, tutt’uno con l’ininterrotto viavai spontaneo dentro il santuario. Ogni diocesi tra le tante che ospitano ragazzi da tutta Italia e da almeno 50 altri Paesi del mondo per questo incontro festoso di fine estate sta offrendo i suoi luoghi della fede, le sue « case » dove piantare il campo base e sentirsi giunti a un approdo. E chi entra in questi luoghi, che altri vorrebbero ridotti a musei di una religione muta, si sente tornato a casa, finalmente. Sant’Apollinare in Classe, San Gabriele dell’Addolorata (Isola del Gran Sasso), il Santo Volto di Manoppello, l’abbazia di Fiastra, l’eremo di Gamogna, il santuario di Maria Goretti a Corinaldo, il duomo di Orvieto, e poi cattedrali belle da perdersi, i monasteri, le pievi. Tra Romagna, Umbria, Marche e Abruzzo è una ragnatela di percorsi ripassati in queste giornate di vigilia. È l’Italia che parla ai giovani con la sua vera voce, quella della storia cristiana che non è solo origine o radice ma respiro, anima. A guidare i viaggiatori diretti a Montorso, dove confluiranno domani, è ancora un fiuto naturale, che infallibilmente li porta al centro di ogni questione e ricerca. Se vogliono, sanno liberarsi in fretta dalle chiacchiere che li avvolgono, e si mettono in movimento rivelando di saper scegliere e di non concedersi sconti, quando vale la pena. Invitandoli a Loreto, il Papa li ha spinti a riprendere la strada, a rimettersi in questione, ma senza fretta. Tre giorni in giro per città e santuari, sino a oggi, gli hanno fatto scoprire che nel loro Paese le pietre dicono tutt’altre cose rispetto a quelle che sono abituati a sentire. E questa voce già li sta preparando ad ascoltare Benedetto non come si fa a una lezione ma nello stile di una famiglia. Non importa allora quanti saranno domani, né la coreografia che creeranno insieme, le bandiere, i canti, la notte all’aperto. Stanno ritrovandosi a casa, è questo che cont ta.
dal sito:
http://www.zenit.org/article-11714?l=italian
Predicatore del Papa: la rivoluzione sociale dell’umiltà
Commento di padre Cantalamessa alla liturgia di domenica prossima
ROMA, venerdì, 31 agosto 2007 (ZENIT.org).-
Pubblichiamo il commento di padre Raniero Cantalamessa, OFM Cap., predicatore della Casa Pontificia, alla liturgia di domenica prossima, XXII del tempo ordinario.
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XXII Domenica del tempo ordinario
Siracide 3, 19-21.30-31; Ebrei 12, 18-19.22-24a; Luca 14, 1.7-14
NELLA TUA ATTIVITA’ SII MODESTO!
L’inizio del Vangelo di questa domenica ci aiuta a correggere un pregiudizio assai diffuso: « Un sabato Gesú era entrato in casa di uno dei capi dei farisei per pranzare e la gente stava ad osservarlo ». Leggendo il Vangelo da una certa angolatura, si è finito per fare dei farisei il prototipo di tutti i vizi: ipocrisia, doppiezza, falsità; i nemici per antonomasia di Gesù. Con questi significati negativi, il termine fariseo e l’aggettivo farisaico è entrato nel vocabolario della nostra e di molte altre lingue.
Una simile idea dei farisei non è corretta. Tra di essi c’erano certamente molti elementi che rispondevano a questa immagine, ed è con essi che Cristo si scontra duramente. Ma non tutti erano così. Nicodemo, che va da Gesù di notte e che più tardi lo difende dinanzi al Sinedrio, era un fariseo (cfr. Gv 3,1; 7, 50 s.). Fariseo era anche Saulo prima della conversione, ed era certamente persona sincera e zelante, anche se ancora male illuminata. Fariseo era Gamaliele che difese gli apostoli davanti al Sinedrio (cfr. At 5, 34 ss.).
I rapporti di Gesù con i farisei non furono soltanto conflittuali. Condividevano spesso le stesse convinzioni, come la fede nella risurrezione dei morti, sull’amore di Dio e del prossimo come primo e più importante comandamento della legge. Alcuni, come nel nostro caso, lo invitano perfino a pranzo in casa loro. Oggi si è d’accordo nel ritenere che non furono tanto i farisei a volere la condanna di Gesú, quanto la setta avversaria dei Sadducei, cui apparteneva la casta sacerdotale di Gerusalemme.
Per tutti questi motivi, sarebbe altamente auspicabile che si smetta di usare i termini fariseo o farisaico in senso dispregiativo. Ne guadagnerebbe anche il dialogo con gli ebrei che ricordano con con grande onore il ruolo svolto dalla corrente dei farisei nella loro storia, specie dopo la distruzione di Gerusalemme.
Durante il pranzo, quel sabato, Gesù diede due insegnamenti importanti: uno rivolto agli invitati, l’altro all’invitante. Al padrone di casa, Gesù disse (forse a quattrocchi, o in presenza dei soli discepoli): « Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici, né i tuoi fratelli, né i tuoi parenti, né i ricchi vicini… » Così ha fatto lui stesso, Gesù, quando ha invitato al grande banchetto del Regno poveri, afflitti, miti, affamati, perseguitati (le categorie di persone elencate nelle Beatitudini).
Ma è su ciò che Gesù dice agli invitati che vorrei soffermarmi questa volta. « Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto… ». Gesù non intende dare consigli di buona creanza. Neppure intende incoraggiare il sottile calcolo di chi si mette all’ultimo posto, con la segreta speranza che il padrone gli faccia cenno di salire avanti. La parabola qui può trarre in inganno, se non si pensa di quale banchetto e di quale padrone Gesù sta parlando. Il banchetto è quello più universale del Regno e il padrone è Dio.
Nella vita, vuol dire Gesù, scegli l’ultimo posto, cerca di far contenti gli altri più che te stesso; sii modesto nel valutare i tuoi meriti, lascia che siano gli altri a riconoscerli, non tu (« nessuno è un buon giudice in una causa propria »), e già fin da questa vita Dio ti esalterà. Ti esalterà nella sua grazia, ti farà salire in alto nella graduatoria dei suoi amici e dei veri discepoli del suo Figlio, che è la sola cosa che conta davvero.
Ti esalterà anche nella stima degli altri. È un fatto sorprendente, ma vero. Non è solo Dio che « si china verso l’umile, ma tiene a bada il superbo » (cfr. Salmo 107,6); anche l’uomo fa lo stesso, indipendentemente dal fatto se è credente o meno. La modestia, quando è sincera e non affettata, conquista, rende la persona amata, la sua compagnia desiderata, la sua opinione apprezzata. La vera gloria fugge chi la insegue e insegue chi la fugge.
Viviamo in una società che ha estremo bisogno di riascoltare questo messaggio evangelico sull’umiltà. Correre ad occupare i primi posti, magari passando, senza scrupoli, sulle teste degli altri, l’arrivismo e la competitività esasperata, sono caratteristiche da tutti deprecate e da tutti, purtroppo, seguite. Il Vangelo ha un impatto sul sociale, perfino quando parla di umiltà e di modestia.
Kiruna: città della Svezia oltre il Circolo Polare artico
San Serafino di Sarov (1759-1833), monaco russo
Colloqui con Motovilov
« Le nostre lampade si spengono … »
Nella parabola delle dieci vergini, quando l’olio venne a mancare alle vergini stolte, fu detto : « Andate dai venditori e compratevene ». Tornando poi, trovarono la porta della stanza nuziale chiusa e non poterono entrare. Alcuni ritengono che la mancanza d’olio delle vergini stolte simboleggi l’insufficienza delle opere virtuose fatte nel corso della loro vita. Una tale interpretazione non è interamente giusta. Quale opera virtuosa poteva mai mancare loro, visto che erano chiamate vergini, sebbene stolte ? Infatti la verginità è proprio un’alta virtù…
Io, misero, ritengo che abbia mancato loro precisamente lo Spirito Santo di Dio. Pur praticando le virtù, queste vergini, spiritualmente ignoranti, credevano che la vita cristiana consistesse in questi prassi. Ci siamo comportate in un modo virtuoso, abbiamo fatto opere buone, pensavano, senza preoccuparsi se, sì o no, avessero ricevuto la grazia dello Spirito Santo. Di questo genere di vita, fondato soltanto sulla pratica delle virtù morali, ma senza un esame minuzioso per sapere se esse ci conferiscono – e in quale quantità – la grazia dello Spirito di Dio, è stato detto : « C’è una via che sembra diritta a qualcuno, ma sbocca in sentieri di morte » (Prov 14, 12).