San Luigi, Re di Francia

Presentiamo on-line un testo del prof.Giancarlo Biguzzi, docente di Nuovo Testamento presso la Pontificia Università Urbaniana, già apparso sulla rivista Eteria, appartenente ad una serie di articoli che avevano lo scopo di introdurre, come in agili reportage giornalistici, ad una prima conoscenza dei luoghi e delle figure del Nuovo Testamento. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di rendere più facile la lettura on-line. Il Centro culturale Gli scritti (29/6/2007)
Venendo da Adana, passavamo per Isso della battaglia (333 a.C.), e poi per Iskenderun, e non sapevo che tono dare al mio discorso quando presi il microfono per presentare Antiochia di Siria ai pellegrini che, Bibbia alla mano, erano sulle orme di Paolo di Tarso. Da un lato infatti Antiochia, oggi Antakya, merita un discorso lungo in ordine al cristianesimo primitivo, ma dall’altro, dal punto di vista turistico, non ha molto da offrire.Il pullman costeggiava spiagge talvolta addirittura squallide, e comunque ben diverse da quelle della costa turchese. Dato il presente poco turistico della regione, cominciai allora a celebrarne il passato, e soprattutto il passato appunto di Antiochia.
Al tempo delle origini cristiane, Antiochia era la terza città dell’impero romano (mezzo milione di abitanti), evidentemente dopo Roma (un milione), e dopo Alessandria di Egitto, grande centro di commercio e di cultura. Da Antiochia, coi mercanti, coi soldati, con gli avventurieri ecc., giungevano a Roma i culti, i costumi e le esotiche dissolutezze orientali, tanto che in nome delle antiche virtù romane il poeta Giovenale (60-135 d.C.), come è noto, scriveva astiosamente: “E’ da un pezzo che l’Oronte (e cioè il fiume di Antiochia) si getta nel Tevere!”
Più che dei fasti romano-imperiali i pellegrini che vengono qui, vogliono però sentir parlare appunto delle origini cristiane. E allora non si può non dire che Antiochia nel Nuovo Testamento è seconda soltanto a Gerusalemme. Nel vulcanico cristianesimo delle origini, quello di Antiochia fu il più importante cratere laterale tra quelli sorti attorno al cratere centrale della chiesa gerosolimitana.
E’ comunque da Gerusalemme che il discorso su Antiochia deve partire. Tra i discepoli di Gesù alcuni avevano nomi prettamente giudaici (Matteo, Giovanni, Natanaele, Giuda…), ma altri portavano nomi greci (Filippo, Andrea). Per questo è del tutto comprensibile che la comunità postpasquale di Gerusalemme fosse composta oltre che di ebrei di lingua aramaica, anche di ebrei ‘ellenisti’, che invece parlavano greco (Atti 6,1).
Questi Ellenisti, per il fatto di essere in gran parte rimpatriati dalla diaspora, molto più che quelli palestinesi erano aperti al mondo non-giudaico e, a partire dalla fede in Gesù, sottoponevano a critica le istituzioni del giudaismo: il tempio, la legge, o la circoncisione ecc. La loro apertura universalistica provocò l’immediata, dura reazione degli ebrei gerosolimitani, i quali riuscirono ad eliminare completamente la loro presenza dalla città. Stefano, il personaggio di maggior spicco, fu ucciso; altri si dispersero in Samaria (cf quello che è detto di Filippo in Atti 8); altri forse ripararono a Damasco (cf Anania e Giuda in Atti 9), e altri, infine, in Fenicia, a Cipro e appunto ad Antiochia (Atti 11,19).
Ad Antiochia questi fuggiaschi furono protagonisti di almeno tre grandi cose. La prima fu il nome cristiano. Come a Gerusalemme, anche qui essi si differenziarono dai frequentatori delle sinagoghe locali, presentandosi come ebrei-messianici: come ebrei cioè per i quali in Gesù di Nazaret si erano compiute le parole dei profeti e tutte le Scritture. Come già precedentemente a Gerusalemme e come a Roma nell’anno 41 (cf Svetonio, Vita di Claudio 25,4; e Atti 18,2) anche ad Antiochia, intorno agli anni 39-40 d.C., ci furono contrasti tra giudei-messianici e giudei non-messianici. I contrasti sfociarono probabilmente in tumulti e disordini. E furono probabilmente le autorità romane allora che, intervenendo a ristabilire l’ordine pubblico, coniarono il neologismo ‘cristiani’ per designare gli ebrei-messianici. ‘Messia, messianico’ in ebraico infatti è la stessa cosa che ‘Cristo, cristiano’ in greco. La nascita del nome che nella storia avrebbe avuto l’importanza che sappiamo, è segnalata in Atti 11,26 in cui è scritto: “…ad Antiochia per la prima volta i discepoli furono chiamati cristiani”. Dal punto di vista del vocabolario storico-religioso, Antiochia ha dunque dato al mondo un contributo che non ha il pari.
La seconda impresa dei cristiani antiocheni fu la missione. Gerusalemme era stata missionaria soltanto suo malgrado, quando da essa furono allontanati i cristiani ellenisti. Antiochia invece divenne il più grande centro di irradiazione missionaria delle origini per congenialità e per scelta: “… alcuni fra loro cominciarono a parlare anche ai greci ” (Atti 11,20), e poi per una vera e propria strategia che contava su missionari itineranti e fondatori di chiese in altre regioni, i quali da Antiochia partivano (Atti 13,2ss), e ad Antiochia facevano ritorno (Atti 14,26), per poi ripartire in nuove ondate missionarie (Atti 15,36 ecc.). I nomi a noi noti dei grandi missionari di Antiochia sono: Pietro (Gal 2,11), Barnaba e Paolo (Atti 13,2ss), Giovanni Marco (Atti 13,5), Tito (Gal 2,1.3), Agabo (Atti 11,28), e quasi certamente anche Luca, l’autore degli Atti degli Apostoli.
Il terzo, incalcolabile merito della comunità cristiana di Antiochia fu quello di mettere al servizio del Vangelo e della missione quelli che noi chiameremmo i mezzi della comunicazione sociale. E’ infatti ad Antiochia di Siria che con ogni probabilità furono scritti il vangelo di Matteo e la Didachè, mentre è certo che il vescovo antiocheno degli inizi del secondo secolo, e cioè Ignazio martire, ha scritto sette famose lettere a diverse comunità (Efeso, Filippi, Roma…) o persone (Policarpo, vescovo di Smirne). Quanto all’importanza del vangelo di Matteo, basti dire che ci ha dato la preghiera del Pater nella formulazione in cui noi la recitiamo, e poi fra l’altro il racconto dei Magi e della stella, il discorso della montagna con le otto beatitudini e, infine, la formula trinitaria del battesimo, con la quale accompagniamo anche il segno di croce.
Dicendo tutte queste cose il pullman arriva ad Antakya senza che ce se ne accorga. E’ una città di centomila abitanti, di un qualche colore orientale nonostante alcuni alberghi e condomìni all’europea. Arrivando, si costeggia e si attraversa il fiume Oronte, davvero inquinato come diceva Giovenale, e tutto quello che ad Antakya il turista può visitare è un museo, proprio sulla riva dell’Oronte. Nulla più rimane dei quattro lussuosi quartieri dell’antichità, nulla della grande via colonnata lunga 4 Km, larga 10 metri, con portici profondi 10 metri e ornati di circa 3.000 statue.
Al museo, sono in esposizione tanti, meravigliosi mosaici pavimentali, provenienti dalle lussuose ville della vicina Dafne (8 km), sacra al tempio e al mito di Apollo e della bella ninfa, Dafne appunto, che inseguita dal dio sfuggì alla sua insidia tramutandosi in alloro. Le iscrizioni musive parlano tra l’altro di ‘amerìmnia’, di ‘chresis’, di ‘soterìa’. Parlano cioè di serenità, di sano uso delle cose, di salvezza: aspirazioni cui il cristianesimo delle origini diede la risposta che sappiamo, con il consistente contributo della comunità antiochena. E’ per questo e per tutto quanto si diceva, che ad Antiochia sull’Oronte, o Antakya, vanno più pellegrini che turisti.
posto la storia di San Luigi IX, Re di Francia, per noi è memoria facoltativa, per la Francia non lo so se è festa, non lo trovo scritto, comunque i santi sono un dono per tutti anche se in un luogo vengono celebrati come festa ed in un altro come memoria, quello che mi stupisce è che i grandi Padri della Chiesa, molti di essi, sono memoria facoltativa, certo non si può fare la festa per tutti i santi, la liturgia del tempo deve scorrere, comunque dal sito:
http://www.santiebeati.it/dettaglio/29000
San Ludovico (Luigi IX) Re di Francia 25 agosto – Memoria Facoltativa Poissy, 25 aprile 1215 – Tunisi, 25 agosto 1270
Luigi IX, sovrano di Francia, nacque il 25 aprile 1215 in Poissy. Incoronato re di Francia, Luigi si assunse il compito, davanti a Dio e agli uomini, di diffondere il Vangelo. Nell’anno 1244 fu sorpreso da una fortissima febbre. Guarito, volle di persona guidare una crociata per la liberazione della Terra Santa. Sbarcato in Egitto, presso la città di Damietta, attaccò con successo i Saraceni. Ma una terribile pestilenza decimò l’esercito crociato, colpendo lo stesso re. Assalito nuovamente dai Turchi, venne sconfitto e fatto prigioniero. Dopo essere stato rilasciato, proseguì come pellegrino per la Terra Santa, dove compì numerose opere di bene. Tornato in Francia, governò con giustizia e cristiana pietà, fondando la Sorbona e preparando una nuova crociata. Ma a Tunisi una nuova epidemia colpì l’esercito. Luigi IX, sentendosi morire, si fece adagiare con le braccia incrociate sopra un letto coperto di cenere e cilicio, dove spirò. Era il 25 agosto del 1270. (Avvenire) Patronato:Re, Ordine Francescano Secolare Etimologia:Ludovico = variante di Clodoveo Emblema:Corona, Globo E’ presente nel Martirologio Romano.
S. Luigi IX, re di Francia, nacque il 25 aprile 1215 in Poissy, dove ricevette anche il Battesimo. Ebbe per genitori Luigi VIII e la regina Bianca di Castiglia, donna di grande pietà e virtù.
A questo giovane principe la mamma procurò di ispirare fin dalla prima infanzia un singolare amore alla virtù e un grande orrore per il peccato, ripetendogli spesso quelle celebri parole: “Figliolo mio, vorrei piuttosto vederti morto, anzichè macchiato di un sol peccato mortale e in disgrazia di Dio”. Questa massima fece così grande impressione sul cuore di Luigi che se ne ricordò per tutta la sua vita.
Giunto alla maggiore età, venne consacrato e coronato re di Francia e Luigi riguardò poi sempre la sua consacrazione non come una semplice cerimonia, ma come un impegno e un obbligo che egli assumeva davanti a Dio e agli uomini di far regnare Gesù Cristo in tutti i suoi stati.
Gluidato da maestri dotati di pietà e di scienza, Luigi arrivò alla giovinezza così serio e dedito ai suoi doveri, così pio e virtuoso, che pareva immune da ogni passione. Semplice e modesto curava di conciliarsi il rispetto del popolo non tanto con il fasto esteriore, quanto con le opere buone e con un buon governo.
Per riempirsi la mente e il cuore di massime sante e di elevati sentimenti egli leggeva continuamente la Sacra Scrittura e le opere dei Santi Padri e ne consigliava la lettura anche ai suoi cortigiani.
In lui il valore si congiungeva alla pietà, senza nulla perdere del suo splendore.
Nell’anno 1244 fu sorpreso da un’ardentissima febbre per cui tutto il popolo, dolente, offrì a Dio fervide preghiere, ottenendone la guarigione. Guarito, volle di persona guidare una crociata per la liberazione della Terra Santa.
Sbarcato in Egitto, presso la città di Damietta, attaccò i Saraceni e li vinse: ma iniziata la marcia verso l’interno, una terribile pestilenza decimò l’esercito crociato e colpì lo stesso sovrano. Assalito nuovamente dai Turchi, venne facilmente sconfitto e fatto prigioniero.
Venuto a patti con il vincitore, potè liberare gran parte dei suoi soldati, soccorrere i feriti e proseguire come pellegrino per la Terra Santa. Qui mise mano a opere di cristiana e regale pietà che però dovette interrompere per far ritorno in Francia, essendogli in questo frattempo morta la madre. Si occupò del riordinamento del regno, e governò con somma giustizia e cristiana pietà. Abolì il duello giudiziario, fondò la Sorbona, la Santa Cappella, e si preparò a una nuova crociata.
Ma a Tunisi una nuova epidemia colpì l’esercito e lo stesso re, sentendosi morire, domandò gli ultimi Sacramenti. Fattosi poi adagiare sopra un letto coperto di cenere e cilicio, con le braccia incrociate sul petto, spirò pronunziando le parole: “Entrerò nella tua casa, o Signore, ti adorerò nel tuo tempio santo e glorificherò il tuo nome”. Era il 25 agosto del 1270.
Autore: Antonio Galuzzi
dal sito:
http://www.qumran2.net/s/parolenuove/commento_10470.htm
Piccoli e ultimi per entrare nel Regno
Monaci Benedettini Silvestrini
XXI Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (26/08/2007)
Vangelo: Lc 13,22-30
La salvezza è per noi credenti in Cristo, la meta ultima di tutta la nostra esistenza. A nulla ci gioverebbe aver conquistato il mondo intero se poi perdiamo la nostra anima. Sarebbe un fallimento totale ed irrimediabile. Siamo però fortemente condizionati dall’idea che per conseguire un premio, per avere successo, per vincere le lotte della vita dobbiamo dotarci di forza e di grandezza, di umana potenza. Rispetto al regno di Dio accade esattamente il contrario. Sono ben altre le condizioni per accedervi. Gesù ci ammonisce più volte, e in diverse parabole, sempre con esempi di facile comprensione. La porta per entrare in Paradiso è stretta e soltanto i piccoli riescono a varcarla. Ci dice ancora: «Quanto difficilmente coloro che hanno ricchezze entreranno nel regno di Dio!». Vuol dire che il paradiso non si compra né con i soldi né con altri mezzi umani. Ci sollecita infatti a diventare come bambini perché l’innocenza e la semplicità di cuore sono le chiavi per aprire quella porta. In un altro brano dice: «Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite, perché a chi è come loro appartiene il regno di Dio». San Paolo esortava i primi cristiani a cercare le cose di lassù e non quelle della terra. Il Signore ci indica poi quale deve essere il nostro vero tesoro: «Non accumulatevi tesori sulla terra, dove tignola e ruggine consumano e dove ladri scassinano e rubano; accumulatevi invece tesori nel cielo, dove né tignola né ruggine consumano, e dove ladri non scassinano e non rubano». A proposito degli affanni che ci possono distogliere dai pensieri di vera umiltà, Gesù dice: «Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta». La triste sorpresa per coloro che confidano in se stessi, nelle proprie forze, o cercano Dio solo per farne uno scudo protettivo ci viene invece ben descritta nel Vangelo odierno. Siamo al rendimento dei conti: «Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: Signore, aprici. Ma egli vi risponderà: Non vi conosco, non so di dove siete. Allora comincerete a dire: Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze. Ma egli dichiarerà: Vi dico che non so di dove siete. Allontanatevi da me voi tutti operatori d’iniquità! Là ci sarà pianto e stridore di denti». Auguriamoci di non sentire mai rivolte a noi queste parole. Chiediamo la vera sapienza cristiana, dono dello Spirito e accettiamo di essere o diventare piccoli per poter varcare quella porta che ci introdurrà nella beatitudine eterna.