buona notte

San Giovanni della Croce (1542-1591), carmelitano, dottore della Chiesa
Avvisi e sentenze
Lo spirito di proprietà o la povertà in Spirito ?
Non abbiate nessun desiderio se non quello di entrare, solo per amore di Cristo, nel distacco, nel vuoto e nella povertà riguardo a tutto quanto esiste sulla terra. Non proverete altri bisogni che quelli ai quali avrete così sottomesso il vostro cuore ; il povero in Spirito non è mai così felice quanto quando si trova nell’indigenza ; colui che ha un cuore che non desidera nulla, vive sempre nell’agiatezza…
I poveri in Spirito danno con grande liberalità tutto quanto possiedono. La loro gioia è di sapere farne a meno, offrendolo per amore di Dio e del prossimo. Non solo i beni, le gioie e i piaceri di questo mondo ci imgombrano e ci fanno perdere tempo nella nostra marcia verso Dio, ma pure le gioie e le consolazioni spirituali sono un ostacolo nella nostra marcia in avanti se le riceviamo o le ricerchiamo con uno spirito di proprietà.
http://santiebeati.it/immagini/?mode=view&album=24050&pic=24050AB.JPG&dispsize=Original&start=0
dal sito:
http://www.santiebeati.it/dettaglio/24050
San Bernardo – Digione, Francia 1090 – Chiaravalle-Clairvaux, 20 agosto 1153
A ventidue anni si fa monaco, tirando con sé una trentina di parenti. Il monastero è quello fondato da Roberto di Molesmes a Cîteaux (Cistercium in latino, da cui cistercensi). A 25 anni lo mandano a fondarne un altro a Clairvaux, campagna disabitata, che diventa la Clara Vallis sua e dei monaci. È riservato, quasi timido. Ma c’è il carattere. Papa e Chiesa sono le sue stelle fisse, ma tanti ecclesiastici gli vanno di traverso. È severo anche coi monaci di Cluny, secondo lui troppo levigati, con chiese troppo adorne, « mentre il povero ha fame ».
Ai suoi cistercensi chiede meno funzioni, meno letture e tanto lavoro. Scaglia sull’Europa incolta i suoi miti dissodatori, apostoli con la zappa, che mettono all’ordine la terra e l’acqua, e con esse gli animali, cambiando con fatica e preghiera la storia europea. E lui, il capo, è chiamato spesso a missioni di vertice, come quando percorre tutta l’Europa per farvi riconoscere il papa Innocenzo II (Gregorio Papareschi) insidiato dall’antipapa Pietro de’ Pierleoni (Anacleto II). E lo scisma finisce, con l’aiuto del suo prestigio, del suo vigore persuasivo, ma soprattutto della sua umiltà. Questo asceta, però, non sempre riesce ad apprezzare chi esplora altri percorsi di fede. Bernardo attacca duramente la dottrina trinitaria di Gilberto Porretano, vescovo di Poitiers. E fa condannare l’insegnamento di Pietro Abelardo (docente di teologia e logica a Parigi) che preannuncia Tommaso d’Aquino e Bonaventura.
Nel 1145 sale al pontificato il suo discepolo Bernardo dei Paganelli (Eugenio III), e lui gli manda un trattato buono per ogni papa, ma adattato per lui, con l’invito a non illudersi su chi ha intorno: « Puoi mostrarmene uno che abbia salutato la tua elezione senza aver ricevuto denaro o senza la speranza di riceverne? E quanto più si sono professati tuoi servitori, tanto più vogliono spadroneggiare ». Eugenio III lo chiama poi a predicare la crociata (la seconda) in difesa del regno cristiano di Gerusalemme. Ma l’impresa fallirà davanti a Damasco.
Bernardo arriva in una città e le strade si riempiono di gente. Ma, tornato in monastero, rieccolo obbediente alla regola come tutti: preghiera, digiuno, e tanto lavoro. Abbiamo di lui 331 sermoni, più 534 lettere, più i trattati famosi: su grazia e libero arbitrio, sul battesimo, sui doveri dei vescovi… E gli scritti, affettuosi su Maria madre di Gesù, che egli chiama mediatrice di grazie (ma non riconosce la dottrina dell’Immacolata Concezione).
Momenti amari negli ultimi anni: difficoltà nell’Ordine, la diffusione di eresie e la sofferenza fisica. Muore per tumore allo stomaco. È seppellito nella chiesa del monastero, ma con la Rivoluzione francese i resti andranno dispersi; tranne la testa, ora nella cattedrale di Troyes.
Alessandro III lo proclama santo nel 1174. Pio VIII, nel 1830, gli dà il titolo di Dottore della Chiesa.
Autore: Domenico Agasso
dal sito on line del giornale « Avvenire »
MCCALL SMITH: LA MIA DETECTIVE AFRICANA
Lo scrittore inglese nato nello Zimbabwe spiega perché la protagonista della sua fortunata serie di gialli piace così tanto: «È un’investigatrice ottima, ma sa che non si può risolvere tutto»
Mrs Marple color ebano
La proprietaria della «Ladies’ Detective Agency» dimostra che in Botswana esiste una parte sana del continente, dove vivono persone che conoscono il valore cristiano del perdono, la tolleranza, e non cedono alla tentazione della rabbia, anche nella povertà
Di Laura Silvia Battaglia
La sua Mma Ramotswe è una sorta di Miss Marple africana. Ma, della creatura in giallo, diventata famosa come alter ego della romanziera Agatha Christie, questa signora dai nervi saldi possiede solo la voglia di scovare la verità, al di là delle apparenze. Perché Precious Ramotswe, protagonista di una delle serie più fortunate della giallistica mondiale, firmata da Alexander McCall Smith, è più che una detective. È una signora incline al buon senso e al perdono ma a cui per prima capitano una serie di guai: per farvi fronte lei sa che più che la giustizia può la misericordia e più che la verità – a volte, anche se costa ammetterlo – può il mistero. Il suo creatore, ex docente di Medicina legale all’Università di Edimburgo (ma suona anche in un’orchestra amatoriale e si dice cucini da dio, pur se il suo vero divertimento è, come ci confessa, la scrittura), – ambienta queste amabili storie in Botswana. L’ultima della serie, appena uscita in Italia per Guanda (Un gruppo di allegre signore), ruota intorno a un enigma la cui chiave di volta è una zucca gialla e introduce una rivoluzione copernicana nella storia della Ladies’ Detective Agency di Gaborone: da oggi in poi, chi lavorerà per Precious Ramotswe, nelle pause dall’impiego non sarà più costretto a bere il tè rosso. Il tè, in queste storie, è quasi un calumet della pace: una cosa insolita, come insolita è questa narrazione rispetto alle molte altre sull’Africa.
«L’Africa che descrivo – confida l’autore – è un’Africa pacificata, molto lontana da quella di cui ogni tanto si occupa la stampa. Eppure esiste. È un vero peccato che ci si occupi solo di ciò che non funziona e il mio desiderio è restituire verità all’Africa buona».
La sua infanzia è stata vissuta in Zimbawe. Quanto è cambiato questo Paese da quando lei lo ha conosciuto per la prima volta?
«Moltissimo, credo. Sfortunatamente sono lontano da questo paese da moltissimi anni: non so più come sia, davvero».
Vale anche per il Botswana, come effetto della glo balizzazione, la perdita di alcuni valori tradizionali? È una situazione che ben si denuncia nell’ultimo libro della serie, quando Mma Ramotswe lamenta di vedere che i giornali descrivono gli individui sempre meno come persone e sempre più come consumatori.
«Ogni parte del mondo è soggetta alla pressione della globalizzazione e stiamo perdendo il senso del locale per il globale. Il Botswana non è esente da questo processo».
Nello stesso libro si dice: « Una vita senza storie da raccontare non è una vita e sono le storie a legarci gli uni agli altri ». In che modo e con quale intensità uno scrittore si lega alle proprie storie e ai propri personaggi? Lo fa fino al punto di non riuscire ad abbandonarli? Questo è l’ennesimo romanzo della serie dedicato a Precious Ramotswe.
«La mia lunga frequentazione con Mma Ramotswe e con i suoi amici suggerisce che io abbia un debole per questi personaggi. Ma credo che questa forma di fedeltà e di lunga amicizia sia una cosa positiva, in un mondo dominato dall’estraneità dei rapporti e dalla fretta. Gli uomini siamo abitudinari, ci affezioniano alle cose. Con le scarpe, ad esempio: se hai camminato tanto con un paio ai piedi, diventano vecchie amiche, non riesci a lasciarle. Mentre le nuove, non sempre ci stanno comode. Così è per me con i miei racconti e con le mie tre serie (le altre due sono 44 Scotland Streete Isabel Dalhousie, di cui, in ottobre, uscirà per Guanda l’ultimo episodio, Il piacere sottile della pioggia, n.d.r.). Credo che gli italiani in questo mi possiate capire: voi conoscete l’importanza della frequentazione e dell’amicizia coltivata nel tempo».
Nel mondo di Mma Ramotswe sembrano vigere, e alla fine trionfare, dei valori che si possono definire cristiani: il perdono e la tolleranza, l’amore che ci redime dalla sofferenza e dal dolore, il senso dell’attesa, lo sforzo di non cadere nella tentazione della rabbia. Era suo desiderio creare un personaggio che con i suoi comportamenti rendesse più avvicinabile l’ese rcizio di una morale?
«Non è stata una cosa preventivata. Ho solo deciso di creare un personaggio simile alle persone che si possono incontrare in Botswana e Mma Ramotswe ne è il risultato. È successo che nel momento in cui avevo deciso di descriverla, lei si fosse presentata con questi valori. Ho solo riportato ciò che ho « visto »».
C’è un passaggio nel suo libro in cui ci si interroga sul rapporto tra verità e coscienza a proposito dei sacerdoti. Si tratta di un tema delicato e quanto mai attuale…
«Sì, i sacerdoti combattono battaglie morali, e più di una battaglia, credo, anche con loro stessi. Ma chi, pur non essendo prete, non lo fa?»
Si inquadra nell’ottica precedente la riflessione sul mistero? Mma Ramotswe è una donna che sa risolvere tutto. Eppure sembra che lei, McCall Smith, ci tenga a sottolineare che non tutto si può risolvere.
«La vita è incerta e spesso un po’ oscura. Noi cerchiamo di farci strada in questo buio per come possiamo. Mma Ramotswe sa che spesso non ci sono soluzioni: lei semplicemente cerca la soluzione migliore nelle cose difficili e scomode».
C’è un mistero irrisolto nella sua vita di scrittore che affiderebbe con fiducia alla sua Miss Marple africana?
«Che faccenda intrigante! Mah, a dire il vero non saprei. Ma ci penserò, mai dire mai».
dal sito:
http://www.zenit.org/article-11609?l=italian
L’aborto non salvaguarda la salute della donna
ROMA, domenica, 19 agosto 2007 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito per la rubrica di Bioetica l’intervento del dottor Carlo Valerio Bellieni, Dirigente del Dipartimento Terapia Intensiva Neonatale del Policlinico Universitario « Le Scotte » di Siena e membro della Pontificia Accademia Pro Vita.
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Di recente la posizione della Chiesa in tema di aborto è stata oggetto di attacco, specialmente da quando ha puntato il dito verso certe organizzazioni internazionali che proclamano l’aborto come un diritto da diffondere al pari del diritto all’acqua o ai farmaci salvavita. Il fatto che non viene compreso è che la condanna non nasce unicamente da valutazioni morali (la vita è sacra dal momento del concepimento) che tuttavia hanno un indiscutibile fondamento scientifico (l’analisi del DNA attesta che dal concepimento è presente e vivo un essere umano diverso dalla madre), ma riguarda anche l’impatto psicologico e talora negativo sul piano fisico che l’aborto ha su chi lo compie. Vediamo di capire dunque due punti: primo, se permettere l’aborto sia un passo a favore della salute della donna, e secondo, se la definizione di “salute” che implica il diritto all’aborto ci soddisfa.
Salute della donna: Varie legislazioni permettono l’aborto in base all’idea che la nascita di un bambino non voluto sia un rischio per la salute della donna. In realtà questo è l’unico caso in tutta la medicina in cui il paziente (in questo caso la donna) si autodiagnostica la malattia (il fatto che la nascita sia pericolosa per la sua salute) e fa le sue scelte “terapeutiche” in totale autonomia dal medico, almeno nei primi mesi. Quante sbagliano “diagnosi”? Possono esserci soluzioni “terapeutiche” alternative? L’assoluta discrezionalità della scelta ci impedisce di saperlo.
Ma è il bambino un pericolo per la salute della madre oppure è l’aborto ad essere pericoloso per la donna? Il Journal of Child Psychology & Psychiatry del 2006, riporta che le donne che abortiscono sono a maggior rischio di problemi mentali (depressione, ansia, comportamenti suicidi) rispetto alle altre; e già molti studiosi hanno parlato dei rischi da aborto chimico (Ann Pharmacother. 2005 Sep;39(9):1483-8). Non solo, ma una recente ricerca pubblicata dal British Medical Journal mostra che portare a termine senza abortire una gravidanza non desiderata ha lo stesso livello di rischio di depressione per la madre che l’aborto di una gravidanza non desiderata, dunque l’argomento che abortendo si preserva la madre da patologie depressive legate alla nascita indesiderata viene meno.
Ma ancora, uno studio norvegese mostra che le donne che hanno avuto un aborto spontaneo mostrano problemi psicologici maggiori di quelle che hanno avuto un aborto volontario, ma solo nei primi giorni; a distanza di 2 e poi di 5 anni, i problemi delle prime scompaiono, mentre persistono i disagi psicologici di quelle che hanno avuto un aborto volontario. Dunque, ciò che secondo questa ricerca provoca disagio mentale profondo non è la perdita del figlio, ma averlo fatto volontariamente. E’ dunque l’aborto una maniera per preservare la salute della donna? Esistono motivi per dubitarne.
Forse è per questo che i medici inglesi sono sempre più restii a praticare aborti, come recentemente segnala il quotidiano britannico Independent; anche perché ormai si sa bene che dalla 20° settimana il feto ha la possibilità di provare dolore durante l’intervento e perché con le ecografie possiamo chiaramente renderci conto della sua umanità. Per esempio possiamo vedere il feto piangere o camminare
Ma il problema nasce quando si domanda cosa è la salute che con l’aborto si vorrebbe tutelare. Perché in questo caso ci si rifà sempre alla criticatissima definizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità del 1948 secondo cui la salute sarebbe il “completo benessere psico-fisico-sociale”. Capiamo bene come questo “pieno benessere” non esiste: chi di noi non ha qualche piccola o grande contrarietà o allergia? Ma capiamo anche che con questo criterio chiunque potrebbe compiere atti lesivi verso altre persone, giustificandole con il fatto che se non li avesse compiuti la sua “salute” ne avrebbe avuto un danno. Pensiamo per esempio ad un marito che picchiasse la moglie dicendo che altrimenti avrebbe avuto un imprecisato nocumento per la salute psico-fisica.
La giustificazione del perché con un adulto questo non sia possibile e con un feto sì, è data correntemente dal fatto che il feto non è nato, dunque non sarebbe una persona e avrebbe per questo meno diritti. E’ una posizione difficilmente sostenibile oggi che gli studi moderni ci mostrano non solo l’umanità del feto, ma tutta la sua sensibilità, e anche le ragioni biologiche per non reputarlo un’appendice della madre. Dunque, tutto l’impianto del diritto all’aborto si regge su una definizione zoppicante.
La tutela della salute della donna basata sulla diffusione dell’accesso all’aborto ha mostrato i suoi limiti. Essa, infatti, invece che avere come oggetto la cancellazione della vita nascente, dovrebbe partire da un aiuto sociale ed economico prioritario ed obbligatorio per gli Stati verso le donne in difficoltà; ma anche da un impulso culturale verso una maggiore conoscenza dei propri diritti di gestante e della crescita psico-fisiologica propria e del bambino in utero.
dal sito:
http://www.zenit.org/article-11606?l=italian
Una Europa in difesa dell’inviolabilità della persona umana e della sua dignità
Messaggio del Presidente della Repubblica al Meeting di Rimini
RIMINI, domenica, 19 agosto 2007 (ZENIT.org).- In un videomessaggio inviato questa domenica al Meeting per l’Amicizia tra i Popoli che si è aperto a Rimini, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, ha spiegato che l’Europa non potrà andare avanti se insieme allo spazio economico non proporrà anche dei valori comuni.
L’Unione Europea “non potrà allargare il consenso di cui ha bisogno, dei propri cittadini, se continuerà a presentarsi prevalentemente in termini di spazio economico. Se non saprà proporsi all’interno delle proprie frontiere e al mondo intero, come un progetto fondato su valori comuni”, ha affermato il Presidente della Repubblica.
Secondo Napolitano il futuro dell’Unione Europea è limitato “se non saprà incarnare una visione solidale dei rapporti tra essa stessa e gli stati che la compongono, una visione nello stesso tempo delle relazioni internazionali, basata sul dialogo e sul rispetto dello stato di diritto, sulla ferma difesa dei principi dell’inviolabilità della persona umana e della sua dignità”.
Circa le difficoltà per la realizzazione del Trattato costituzionale sottoscritto nel 2004, il Presidente della Repubblica ha denunciato il “rischio che il processo di integrazione regredisca ad una semplice rete di cooperazione intergovernativa”.
“E’ invece necessario – ha sottolineato Napolitano – continuare a coltivare le antiche e nuove ragioni dell’unità europea come antidoto al riemergere di ogni forma di intolleranza e di estremismo”.
Per questo, ha continuato, “è necessario continuare a fare dell’Unione un soggetto politico e dotarla degli strumenti e dei poteri che sono indispensabili perché essa possa assolvere, sulla scena internazionale, il suo ruolo di importante fattore di stabilità e di pace”.
Il Presidente della Repubblica ha infine concluso rivolgendo “a tutti i partecipanti al Meeting di Rimini i miei più vivi auspici di buon lavoro ed il mio cordiale saluto”.
India, 1996
Photograph by Cary Wolinsky
A washerwoman hangs diaphanous saris to dry on the mortared walls of a house in India. India’s enormous labor pool allows even middle-class households there to employ home help, including servants, cooks, and washerwomen.
(Photo shot on assignment for, but not published in, « The Quest for Color, » July 1999, National Geographic magazine)
http://lava.nationalgeographic.com/cgi-bin/pod/PhotoOfTheDay.cgi?month=08&day=17&year=07