L’Accademico di Francia che sfidò la «laicité»

dal sito on line del giornale « Avvenire »: 

L’Accademico di Francia che sfidò la «laicité» 

Parigi piange la morte del cardinale Lustiger Un porporato che ha segnato la storia recente dell’Europa risvegliando i cattolici d’Oltralpe Destò scalpore nel 1981 la scelta di Wojtyla di insediare a Notre Dame un figlio di ebrei 

Di Luigi Geninazzi  

L’addio, in pubblico, l’aveva già dato due mesi prima della sua morte, avvenuta domenica pomeriggio in una clinica della capitale francese. Era il 1° giugno, quando il cardinale Jean-Marie Lustiger, smagrito, su una sedia a rotelle, si recò a salutare i colleghi dell’Accademie Francaise, cui era stato eletto nel 1995. L’ex arcivescovo di Parigi sapeva che non avrebbe resistito a lungo alla grave malattia che lui stesso aveva fatto conoscere ai suoi sacerdoti con una lettera scritta nell’autunno scorso. Quella del 1° giugno fu la sua ultima apparizione pubblica che commosse tutta
la Francia. «Sarò più assiduo con le mie preghiere dal cielo di quanto non lo sono stato con la mia presenza tra voi», si congedò dagli accademici col suo tipico humour.
Se n’è andato un grande cardinale che ha segnato la storia recente della Chiesa e della cultura europea. L’arcivescovo emerito di Parigi – aveva lasciato la guida dell’arcidiocesi l’11 febbraio 2005 – era nato nella capitale francese il 17 settembre 1926 da una famiglia ebrea originaria dell’Alta Slesia, in Polonia. I suoi genitori, askenaziti, della classe dei Levi, gli danno il nome di Aaron. Durante una gita scolastica in Germania vede coi suoi occhi la realtà del nazismo e dell’antisemitismo. Vuole capire di più cosa significhi essere ebreo e, sebbene i suoi genitori non siano credenti, legge
la Bibbia. Anche il Nuovo Testamento che «ho letto con grande interesse e senza dirlo a nessuno», ricorderà. All’età di 14 anni la scelta del cristianesimo: nonostante la dura opposizione del padre, riceve il battesimo, scegliendo il duplice nome di Jean e Marie, nella cattedrale di Orléans, la città dove si era rifugiato insieme con la sorella all’inizio della seconda guerra mondiale. Due anni dopo sua madre viene deportata ad Auschwitz dove troverà la morte insieme ad altri parenti. Una tragedia di cui Lustiger non ha mai voluto parlare pubblicamente ma che l’ha segnato per sempre. Del resto la conv ersione non ha mai significato per lui un abbandono dell’identità ebraica. «Mi considero un giudeo compiuto – ebbe a dire da arcivescovo, incurante delle polemiche e delle critiche -. Per me la vocazione d’Israele è quella di portare luce all’ebraismo. Essere cristiani è il mezzo per raggiungere tale scopo».
È con una simile autocoscienza che il giovane Lustiger decide di diventare prete. Dopo aver lavorato come operaio entra in seminario, ottiene la licenza in teologia presso l’Institut Catholique e in Lettere e filosofia presso
la Sorbona. Ordinato sacerdote nel 1954 è nominato responsabile della pastorale fra gli studenti, un’esperienza che diventerà bagaglio essenziale della sua missione, sempre attenta al mondo giovanile. Nel 1979 viene nominato vescovo di Orléans ed è con grande emozione che entra nella cattedrale dove aveva scelto di essere battezzato. «Tutto è possibile a Dio» è il suo motto episcopale.
Sì, tutto è possibile, perfino che un presule d’origine ebrea diventi arcivescovo di Parigi. La nomina, decisamente clamorosa, arriva nel febbraio 1981, una scelta maturata personalmente da Giovanni Paolo II dopo una lunga notte di preghiera. Tra Lustiger e Wojtyla c’era un’affinità unica e sorprendente. Entrambi avevano fatto la triste esperienza del nazismo, entrambi avevano lavorato come operai in una fabbrica, entrambi avevano mosso i primi passi dell’attività sacerdotale in mezzo ai giovani. Li univa soprattutto la chiara coscienza dell’identità europea che poteva tornare ad essere pienamente se stessa solo tornando alle radici cristiane.
Uomo dalle intuizioni folgoranti, il cardinale Lustiger (riceverà la porpora nel 1983) inaugura un nuovo stile pastorale. A cominciare dalla scelta di puntare sui mass-media. Appena insediatosi a capo della diocesi di Parigi lancia Radio Notre-Dame e moltiplica i suoi interventi pubblici divenendo un punto di riferimento anche per quegli ambienti laici tradizionalmente ostili alla Chiesa. Pro muove con convinzione l’edizione francese della rivista Communio, aggregando giovani pensatori cattolici come Marion, Duchesne e Brague che oggi sono tra i nomi più noti dell’intellighenzia d’Oltralpe. Nella Francia in via di scristianizzazione Jean-Marie Lustiger avverte drammaticamente la debolezza delle strutture pastorali e la mancanza di vocazioni sacerdotali. Fonda il seminario diocesano che organizza in modo innovativo, con gruppi di studenti che vivono in piccole comunità. In pochi anni le ordinazioni sacerdotali (solo cinque nel 1981, quando Lustiger assume la guida della diocesi) aumentano considerevolmente. Punta sui giovani, ridà slancio al pellegrinaggio annuale a Chartres. Ed è l’artefice della Giornata mondiale della Gioventù che si tiene a Parigi nel 1997, sfidando le cautele dei suoi collaboratori. I fatti gli daranno ragione: un milione di giovani partecipa alla Messa del Papa all’ippodromo Longchamp, mentre gli organizzatori se ne aspettavano 70 mila…
Con lui il cattolicesimo francese perde ogni complesso d’inferiorità. Nel 1984 l’arcivescovo di Parigi non teme di schierarsi a fianco dei genitori che difendono la libertà d’insegnamento contro un progetto restrittivo del governo socialista. La sua autorità morale viene riconosciuta da tutti, anche dai politici coi quali Lustiger sa instaurare un dialogo schietto, trasparente e spesso critico. Uomo di grande apertura è al tempo stesso intransigente nella condanna del permissivismo in materia di etica sociale. Difende i sans-papiers, gli immigrati irregolari che nell’estate del 1996 occupano una chiesa di Parigi. E non s’accontenta di lanciare allarmi sul destino dell’Europa ma si reca di persona nei luoghi-simbolo delle nuove tragedie umanitarie, come fa nel 1994 andando a Sarajevo sfidando le bombe e i cecchini per portare la propria solidarietà ai cristiani martoriati della Bosnia. E trova anche il tempo di scrivere, venti libri dei quali uno, «
la Promessa», rappresenta i l culmine della sua riflessione sul mistero della salvezza d’Israele. La sua vibrante condanna dell’antisemitismo è risuonata l’ultima volta ad Auschwitz, dove facendo forza contro l’istintiva, comprensibile repulsione, parlò come inviato speciale di Giovanni Paolo II durante la commemorazione del gennaio 2005. La sua voce era sempre più stanca ed affaticata, il corpo segnato visibilmente dal tumore che lo stava divorando. «Nella debolezza e nella sofferenza si mostrano la forza e la salvezza di Dio» mi disse quando lo incontrai l’ultima volta nell’agosto 2004, in occasione della visita di Giovanni Paolo II a Lourdes. Parlava del Papa, certo. Ma dietro quel suo timido sorriso ho intuito che parlava anche di sè. Grande e forte fino all’ultimo. 

 

Publié dans : Jean_marie Lustiger |le 7 août, 2007 |Pas de Commentaires »

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