Archive pour le 4 août, 2007

San Giovanni Maria Vianney (m)

San Giovanni Maria Vianney (m) dans immagini sacre

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Dal «Catechismo» di san Giovanni Maria Vianney, sacerdote

dal sito:

http://liturgia.silvestrini.org/santo/233.html

Dal «Catechismo» di san Giovanni Maria Vianney, sacerdote

Fate bene attenzione, miei figliuoli: il tesoro del cristiano non é sulla terra, ma in cielo. Il nostro pensiero perciò deve volgersi dov’é il nostro tesoro. Questo é il bel compito dell’uomo: pregare ed amare. Se voi pregate ed amate, ecco, questa é la felicità dell’uomo sulla terra. La preghiera nient’altro é che l’unione con Dio. Quando qualcuno ha il cuore puro e unito a Dio, é preso da una certa saovità e dolcezza che inebria, é purificato da una luce che si diffonde attorno a lui misteriosamente. In questa unione intima, Dio e l’anima sono come due pezzi di cera fusi insieme, che nessuno piò più separare.
Come é bella questa unione di Dio con la sua piccola creatura! E’ una felicità questa che non si può comprendere. Noi eravamo diventati indegni di pregare. Dio però, nella sua bontà, ci ha permesso di parlare con lui. La nostra preghiera é incenso a lui quanto mai gradito. Figliuoli miei, il vostro cuore é piccolo, ma la preghiera lo dilata e lo rende capace di amare Dio. La preghiera ci fa pregustare il cielo, come qualcosa che discende a noi dal paradiso. Non ci lascia mai senza dolcezza. Infatti é miele che stilla nell’anima e fa che tutto sia dolce.
Nella preghiera ben fatta i dolori si sciolgono come neve al sole. Anche questo ci dà la preghiera: che il tempo scorra con tanta velocità e tanta felicità dell’uomo che non si avverte più la sua lunghezza. Ascoltate: quando ero parroco di Bresse, dovendo per un certo tempo sostituire i miei confratelli, quasi tutti malati, mi trovavo spesso a percorrere lunghi tratti di strada; allora pregavo il buon Dio, e il tempo, siatene certi, non mi pareva mai lungo.
Ci sono alcune persone che si sprofondano completamente nella preghiera come un pesce nell’onda, perché sono tutte dedite al buon Dio. Non c’é divisione alcuna nel loro cuore. O quanto amo queste anime generose! San Francesco d’Assisi e santa Coletta vedevano nostro Signore e parlavano con lui a quel modo che noi ci parliamo gli uni agli altri.
Noi invece quante volte veniamo in chiesa senza sapere cosa dobbiamo fare o domandare! Tuttavia, ogni qual volta ci rechiamo da qualcuno, sappiamo bene perché ci andiamo. Anzi vi sono alcuni che sembrano dire così al buon Dio: «Ho soltanto due parole da dirti, così mi sbrigherò presto e me ne andrò via da te». Io penso sempre che, quando veniamo ad adoperare il Signore, otterremmo tutto quello che domandiamo, se pregassimo con fede proprio viva e con cuore totalmente puro.

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In processione sino alla chiesa risparmiata dal fuoco

dal sito on line del giornale « Avvenire »

In processione sino alla chiesa risparmiata dal fuoco 

Un’anima antica oltre il rogo del Gargano 

Francesco Ognibene  

C’è una immagine della Madonna di Loreto dentro la chiesetta tra i boschi affacciati su Peschici. È davanti alla porta del piccolo santuario che il fuoco si è fermato, martedì scorso. Il giorno del grande rogo del Gargano a un certo punto sembrava dovesse bruciare tutto, la gente fuggiva via mare perché alle sue spalle le fiamme stavano correndo dalla montagna verso la spiaggia, spinte dal vento. Nulla pareva poterle più fermare, non i lanci d’acqua dagli elicotteri, né il prodigarsi di pompieri, protezione civile, abitanti. Via tutti, su barche e gommoni, prima che sia troppo tardi. Ore di lotta hanno dapprima assediato e infine vinto l’incendio. Ma sul campo sono rimaste vittime, rovine, ceneri, case e negozi devastati, un paese in lacrime. Un colpo che non basta l’atteso pienone agostano a gettarsi alle spalle.
Poi i primi che si sono spinti sulla montagna hanno trovato quel piccolo spiraglio di fiducia, il confine della rovina a pochi metri dalla chiesa intatta. S’immagina lo stupore, e la notizia che corre. Lo sappiamo bene, dentro di noi, ma forse ci pare cosa d’altri tempi, che sa di Medioevo: l’Italia è disseminata di posti così, il terremoto, l’epidemia, la guerra o il fuoco che risparmiano un’immagine venerata, o chi le si è affidato, il disastro più cattivo che sembra improvvisamente non poter osare un passo in più.
Forse anche incoraggiati dalla piccola Vergine lauretana restata integra, a Peschici non sono rimasti a guardare sconsolati la piaga nera che ora chiazza la montagna. E l’arcivescovo di Manfredonia, Domenico D’Ambrosio, che è uno di questa terra coraggiosa, ha dato voce alla speranza invitando la gente del paese e della vicina Vieste a una processione, questa sera, fino alla chiesa dentro il bosco, in testa la statua del patrono Elia. Così insegna la tradizione cristiana che lastrica la nostra terra e vibra ancora nella gente, così propone di fare oggi il pastore della Chiesa garganica: è la fede che parla attraverso un gesto antico che no n è folklore, e che spinge a darsi da fare. Domani, infatti, la diocesi vivrà poi non solo una giornata di preghiera ma di concretissima raccolta di fondi per realizzare un’opera che sarà definita insieme alla Caritas. L’anima e le mani, il Cielo e la terra, il cuore e la fatica umana: è così che si fascia e si cura una ferita, per grande che sia.
La Chiesa chiama tutti, credenti e agnostici, gente del Gargano e i suoi ospiti, perché tutti apparteniamo a una storia cristiana che ha insegnato a non lasciarsi piegare dall’imprevedibile rovescio del destino, anche quando dietro la furia della natura si agita l’ombra di una criminale regia umana. La rabbia, la legittima richiesta di aiuti, la ricerca delle responsabilità, l’impegno per non perdere la stagione turistica sono una parte della risposta, ma non tutto quello che si sa di poter fare: «Non possiamo rimanere estranei – ha scritto D’Ambrosio alla sua gente –. C’è bisogno di solidarietà». La processione di stasera e la preghiera « operativa » di domani sono i gesti che consentono di sentirsi capaci di rialzarsi. Così è sempre stato, ed è bello che si torni a farlo dove la cronaca parlava solo di una sconfitta. È una comunità che si riconosce e si ritrova, proprio quando le era sembrato di sentirsi perduta. 

 

Predicatore del Papa: la cosa più importante non è avere dei beni, ma fare del bene

dal sito:

http://www.zenit.org/article-11560?l=italian

 

Predicatore del Papa:
la cosa più importante non è avere dei beni, ma fare del bene

 Commento di padre Cantalamessa alla liturgia di domenica 5 agosto 

 

ROMA, domenica, 29 luglio 2007 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il commento di padre Raniero Cantalamessa, OFM Cap. – predicatore della Casa Pontificia –, alla liturgia di domenica 5 agosto. 

* * * 

XVIII Domenica del Tempo Ordinario (C)
Qoelet 1,2;2,21-23; Colossesi 3, 1-5.9-11; Luca 12, 13-21

VANITA’ DI VANITA’

Il Vangelo di questa domenica fa luce su un problema fondamentale per l’uomo, quello del senso del agire e operare nel mondo, che il Qoelet nella prima lettura esprime in termini sconsolati: « Vanità delle vanità, tutto è vanità…Quale profitto c’è per l’uomo in tutta la sua fatica e in tutto l’affanno del suo cuore con cui si affatica sotto il sole? ».

Un tale chiede a Gesù di intervenire in una lite tra lui e suo fratello per questioni di eredità. Come spesso quando presentano a Gesù casi particolari (se pagare o no il tributo a Cesare; se lapidare o meno la donna adultera), egli non risponde direttamente, ma affronta il problema alla radice; si colloca su un piano più alto, mostrando l’errore che è alla base della stessa domanda. Tutti e due i fratelli hanno torto perché la loro lite non deriva da ricerca di giustizia ed equità, ma da cupidigia. Tra loro due non esiste più che l’eredità da spartire. L’interesse mette a tacere ogni sentimento, disumanizza.

Per mostrare quanto questo atteggiamento sia sbagliato, Gesù aggiunge, come è suo solito, una parabola, quella del ricco stolto che crede di essere al sicuro per molti anni, avendo accumulato molti beni e a cui la notte stessa viene chiesto conto della vita.

Gesù conclude la parabola con le parole: « Così è di chi accumula tesori per sé, e non arricchisce davanti a Dio ». C’è dunque una via d’uscita al « tutto è vanità »: arricchirsi davanti a Dio. In che consiste questo diverso modo di arricchire, Gesù lo spiega poco dopo, nello stesso Vangelo di Luca: « Fatevi borse che non invecchiano, un tesoro inesauribile nei cieli, dove i ladri non arrivano e la tignola non consuma. Perché dove è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore » (Lc 12, 33-34). C’è qualcosa che possiamo portare con noi, che ci segue dovunque, anche oltre la morte: non sono i beni, ma le opere; non ciò che abbiamo avuto, ma ciò che abbiamo fatto. La cosa più importante nella vita non è dunque avere dei beni, ma fare del bene. Il bene avuto resta quaggiù, il bene fatto lo portiamo con noi.

Smarrita qualsiasi fede in Dio, molti si ritrovano spesso oggi nelle condizioni del Qoelet, che non conosceva ancora l’idea di una vita oltre la morte. L’esistenza terrena appare in questo caso un controsenso. Non si usa più il termine « vanità », che è di sapore religioso, ma quello di assurdo. « Tutto è assurdo! ». Il teatro dell’assurdo (Beckett, Ionesco), fiorito nei decenni dopo la guerra, era lo specchio di tutta una cultura. Quelli che sfuggono alla tentazione dell’accumulo delle cose, come certi filosofi e scrittori, cadono in qualcosa che è forse ancora peggiore: la « nausea » di fronte alle cose. Le cose, si legge nel romanzo La nausea di Sartre, sono « di troppo », sono opprimenti. In arte, vediamo le cose deformate, oggetti che si afflosciano, orologi penzolanti come salami. Lo si chiama « surrealismo », ma più che un superamento, è un rifiuto della realtà. Tutto spira putridume, decomposizione. L’abbandono dell’idea del cielo non ha certo reso più libera e gioiosa la vita sulla terra!

Il Vangelo di oggi ci suggerisce come rimontare questa china pericolosa. Le creature torneranno ad apparirci belle e sante il giorno che smetteremo di volerle solo possedere, o solo « consumare », e le restituiremo allo scopo per cui ci furono date che è di allietare la nostra vita quaggiù e facilitarci il raggiungimento del nostro destino eterno. Facciamo nostra una preghiera della liturgia: « Insegnaci, Signore, a usare saggiamente i beni della terra, sempre orientati ai beni eterni ».

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buona domenica

buona domenica dans immagini buon...notte, giorno lb-00267

http://pharm1.pharmazie.uni-greifswald.de/gallery/liebermn.htm

La Morte di Giovanni Battista

San Giovanni Crisostomo (circa 345-407), vescovo d’Antiochia poi di Costantinopoli, dottore della Chiesa – Omelia sul Vangelo di San Matteo 48, 2-5

La Morte di Giovanni Battista

« Dammi qui, su un vassoio, la testa di Giovanni il Battista ». E Dio l’ha permesso, non ha lanciato dal cielo il suo fulmine per divorare questo volto insolente ; non ha ordinato alla terra di aprirsi per inghiottire i convitati a questo banchetto orrendo: In questo modo, Dio donava una corona più bella al giusto e lasciava una consolazione magnifica a coloro che, nell’avvenire, sarebbero stati vittime di tali ingiustizie. Ascoltiamo dunque, noi tutti che, malgrado la nostra vita onesta, dobbiamo soffrire a causa dei malvagi… Il più grande tra i nati di donna (Lc 7, 28) è stato ucciso dietro richesta di una ragazza impudica, di una donna perduta ; e questo per aver difeso le leggi divine. Queste considerazioni ci facciano sopportare con coraggio le nostre sofferenze…

Nota però il tono moderato dell’Evangelista che, nei limiti del possibile, cerca circonstanze attenuanti a questo crimine. Riguardo a Erode, scrive che ha agito « a causa del giuramento e dei commensali » e che « ne fu contristato » ; riguardo alla ragazza, nota che era stata « istigata dalla madre »… Anche noi, non odiamo i malvagi, non critichiamo le colpe del prossimo, nascondiamole il più discretamente possibile ; accogliamo la carità nelle nostre anime. Poiché su questa donna impudica e sanguinaria, l’Evangelista ha parlato con tutta la moderazione possibile… Tu, invece, non esiti a trattare il tuo prossimo con cattiveria… Tutto differente è il modo di agire dei santi : piangono sui peccatori invece di maledirli. Facciamo come loro : piangiamo su Erodìade e su coloro che la imitano. Anche oggi vediamo oggi tanti pranzi del genere di quello di Erode ; Non vi si uccide il Precursore, ma vi si lacerano le membra di Cristo

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