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Predicatore del Papa: impossibile conoscere Gesù prescindendo dalla
fede in Dio
Commento di padre Cantalamessa alla liturgia di domenica prossima
ROMA, venerdì, 27 luglio 2007 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il commento di padre Raniero Cantalamessa, OFM Cap. – predicatore della Casa Pontificia –, alla liturgia di domenica prossima.
XVII Domenica del Tempo Ordinario (C)
Genesi 18, 20-21.23-32; Colossesi 2, 12-14; Luca 11, 1-13
GESU’ CHE PREGA
Il vangelo della XVII Domenica del Tempo Ordinario comincia con queste parole: « Un giorno Gesù si trovava in un luogo a pregare e quando ebbe finito uno dei discepoli gli disse: Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli ». Ed egli disse loro: Quando pregate, dite: Padre, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno ».
Cosa diventava il volto e tutta la persona di Gesú quando era immerso in preghiera, lo possiamo immaginare dal fatto che i discepoli, solo vedendolo pregare si innamorano della preghiera e chiedono al Maestro di insegnare anche a loro a pregare. E Gesú li accontenta, come abbiamo sentito, insegnando loro la preghiera del Padre nostro.
Anche questa volta vogliamo riflettere sul vangelo ispirandoci al libro di papa Benedetto su Gesú. « Senza il radicamento in Dio, scrive il papa, la persona di Gesú rimane fuggevole, irreale e inspiegabile. Questo è il punto di appoggio su cui si basa questo mio libro: esso considera Gesú a partire dalla sua comunione con il Padre. Questo è il vero centro della sua personalità ».
I vangeli giustificano ampiamente queste affermazioni. Nessuno può contestare dunque storicamente che il Gesú dei vangeli vive e opera in continuo riferimento al Padre celeste, che prega e insegna a pregare, che fonda tutto sulla fede in Dio. Se si elimina questa dimensione dal Gesú dei vangeli non resta di lui assolutamente niente.
Da questo dato storico deriva una conseguenza fondamentale e cioè che non è possibile conoscere il vero Gesù se si prescinde dalla fede, se ci si accosta a lui da non credenti o atei dichiarati. Non parlo in questo momento della fede in Cristo, nella sua divinità (che viene dopo), ma di fede in Dio, nell’accezione più comune del termine. Molti non credenti scrivono oggi su Gesú, convinti che sono essi a conoscere il vero Gesú, non
la Chiesa, non i credenti. Lungi da me (e, credo, anche dal papa) l’idea che i non credenti non abbiano diritto di occuparsi di Gesú. Gesú è « patrimonio dell’umanità » e nessuno, neppure
la Chiesa, ha il monopolio su di lui. Il fatto che anche dei non credenti scrivano su Gesú e si appassionino di lui non può che farci piacere.
Quello che vorrei mettere in luce sono le conseguenze che derivano da un tale punto di partenza. Se si nega o si prescinde dalla fede in Dio, non si elimina solo la divinità, o il cosiddetto Cristo della fede, ma anche il Gesú storico tout court, non si salva neppure l’uomo Gesú. Se Dio non esiste, Gesú non è che uno dei tanti illusi che ha pregato, adorato, parlato con la propria ombra o la proiezione della propria essenza, per dirla con Feuerbach. Ma come si spiega allora che la vita di quest’uomo « ha cambiato il mondo »? Sarebbe come dire che non la verità e la ragione hanno cambiato il mondo, ma l’illusione e l’irrazionalità. Come si spiega che quest’uomo continua, a distanza di duemila anni, a interpellare gli spiriti come nessun altro? Può tutto ciò essere il frutto di un equivoco, di un’illusione?
Non c’è che una via d’uscita a questo dilemma e bisogna riconoscere la coerenza di coloro che (specie nell’ambito del californiano « Jesus Seminar ») l’hanno imboccata. Secondo costoro Gesú non era un credente ebreo; era nel fondo un filosofo nello stile dei cinici; non ha predicato un regno di Dio, né una prossima fine del mondo; ha solo pronunciato massime sapienziali nello stile di un maestro Zen. Il suo scopo era di ridestare negli uomini la coscienza di sé, convincerli che non avevano bisogno né di lui né di altro dio, perché loro stessi portavano in sé una scintilla divina. Sono però – guarda caso – le cose che va predicando da decenni New Age!
Il papa ha visto giusto: senza il radicamento in Dio, la figura di Gesú rimane fuggevole, irreale, io aggiungerei contraddittoria. Non credo che ciò debba intendersi nel senso che solo chi aderisce interiormente al cristianesimo può capire qualcosa di esso, ma certo dovrebbe mettere in guardia dal credere che solo ponendosi al di fuori di esso, fuori dei dogmi della Chiesa, si possa dire qualcosa di oggettivo su di esso.