Archive pour le 27 juillet, 2007

San Pantaleone

San Pantaleone dans immagini sacre

San Pantaleone m, 305 c

Pantoleon di Nicomedia era di famiglia agiata, ricevette un’educazione classica e imparò l’arte medica. Fu chiamato ad esercitare la professione medica alla corte dell’imperatore Massimiano, dove incontrò Ermolao che lo fece convertire. Costretto ad una professione di fede pubblica, fu per questo torturato. Prima di morire decapitato, chiese perdono a Dio per i suoi peccati e quelli dei suoi persecutori e mentre lo faceva si sentì una voce dal cielo che decretò che il suo nome non sarebbe stato più Pantoleon bensì Pantalaeemon, cioè « colui che ha pietà di tutti ».

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La storia del Gatto che prevede la morte

dal sito:

http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=195541&START=1&2col=

 

La storia del Gatto che prevede la morte 

 

Questo è un ospedale. La stanza è la 313. Il bambino guarda la nonna, guarda il gatto sul letto e poi la madre: «Cosa ci fa lì sopra». La mamma risponde con un sorriso senza speranza: «È qui per aiutare la nonna ad arrivare in cielo».
Dicono che lui, il gatto, senta la morte. Oscar è bianco e grigio, occhi piccoli, strizzati, soffice come un peluche e un brutto carattere. È nato qui, due anni fa, nella clinica Steere House di Providence, Rhode Island, Stati Uniti. È un ospedale per anziani con malattie degenerative. Oscar se ne sta spesso per i fatti suoi, nessuna confidenza, niente carezze. Ma ogni mattino, da quando aveva solo sei mesi, fa il suo giro di visite. Passa davanti alle stanze dei pazienti, si ferma, annusa, e va via. Quando resta vuol dire che non c’è più nulla da fare. In un anno e mezzo è capitato 25 volte. È l’angelo della provvidenza. Salta sul letto e aspetta, raggomitolato, fino alla fine. Chi passa lo ascolta fare le fusa. Medici e infermieri ormai sanno che questo è il momento di avvertire i parenti. Oscar non sbaglia mai.
L’ultimo respiro è difficile da percepire. È un battito un po’ più profondo degli altri. È un addio silenzioso. Ma i gatti hanno occhi che vedono anche di notte, sentono oltre e nell’istante preciso in cui tutto è compiuto Oscar si alza e lascia la stanza. Felpato, senza un rumore, taciturno come sempre. Un medico racconta che di solito tra l’arrivo di Oscar e la morte passano poche ore. «Non più di quattro».
Providence non è una città qualunque. Qui, in una grande casa vittoriana di legno marrone al numero 10 di Bernes Street, viveva Howard P. Lovecraft. L’autore dei Cicli di Cthulhu, lì dove l’uomo si specchia nei suoi orrori, la psiche diventa corpo e la metafisica dei nostri incubi genera la carne dei mostri, aveva una passione quasi paranoica per i gatti. C’è anche un suo saggio, Something about cats, pubblicato sulla rivista Leaves nel 1937, ma è nel racconto I gatti di Ulthar che Lovecraft svela i segreti di Oscar. «A me basta osservarli quando fanno le fusa accanto al fuoco. Il gatto è misterioso e affine alle cose invisibili che l’uomo non potrà mai conoscere. È l’animo dell’antico Egitto, è il depositario di racconti che risalgono alle città dimenticate di Meroe e Ophir, è l’erede dei segreti dell’Africa oscura e misteriosa. La sfinge è cugina del gatto, che parla la sua stessa lingua ma è più antico e ricorda cose che essa ha dimenticato». Ecco, capite perché la storia di Oscar, così vera da evocare le fantasie nere del New England di Lovecraft, non poteva aver luogo che qui, a Providence. 

Dicono che le prime a notare il mistero di Oscar siano state le infermiere. La notizia è arrivata fino al New England Journal of Medicine e dall’Università di Brown è stato inviato David Dosa, specialista in geriatria. «Sembra che Oscar faccia sul serio il suo lavoro. Non fa mai errori. Come un sensitivo sembra riesca a percepire quando un paziente è vicino a morire». Il caso sta appassionando gli scienziati. Dotti, medici e sapienti guardano il gatto e si interrogano. Qualcuno si è messo a studiare la giornata tipica di Oscar e c’è tutto il fascino della scienza che incontra l’indefinibile. La dottoressa Joan Teno racconta che una paziente non mangiava più, aveva problemi di respirazione e le sue gambe erano di un colore bluastro, sintomi di una morte imminente. Ma Oscar quella volta non era rimasto nella stanza. «Pensavo si fosse sbagliato, ma dopo dieci ore è apparso. È rimasto due ore accanto alla paziente e solo allora la donna è morta». Il New England Journal of Medicine non crede che Oscar sia un gatto magico. La scienza cerca, sempre, prima altrove. Il felino è sveglio, certo, e le ipotesi sono varie. Forse, come accade a volte anche agli infermieri, riesce a interpretare il respiro affannoso del moribondo. Forse è l’odore, qualcosa che il gatto riesce a percepire grazie al suo olfatto. Forse Oscar è, come il dottor House, un ottimo osservatore. La dottoressa Teno se la cava così: «Credo che alcune sostanze chimiche vengano rilasciate nell’atmosfera quando uno è sul punto di morire. E il gatto le riconosce». O magari aveva ragione quel vecchio folle di William S. Burroughs quando scriveva in Compagno psichico «Noi siamo il gatto che è in noi. Siamo i gatti che non possono camminare da soli, e per noi c’è un posto soltanto».
Vittorio Macioce

Predicatore del Papa: impossibile conoscere Gesù prescindendo dalla

dal sito: 

http://www.zenit.org/article-11549?l=italian 

Predicatore del Papa: impossibile conoscere Gesù prescindendo dalla  

fede in Dio

 Commento di padre Cantalamessa alla liturgia di domenica prossima 

 

ROMA, venerdì, 27 luglio 2007 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il commento di padre Raniero Cantalamessa, OFM Cap. – predicatore della Casa Pontificia –, alla liturgia di domenica prossima.

XVII Domenica del Tempo Ordinario (C)
Genesi 18, 20-21.23-32; Colossesi 2, 12-14; Luca 11, 1-13

GESU’ CHE PREGA

Il vangelo della XVII Domenica del Tempo Ordinario comincia con queste parole: « Un giorno Gesù si trovava in un luogo a pregare e quando ebbe finito uno dei discepoli gli disse: Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli ». Ed egli disse loro: Quando pregate, dite: Padre, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno ».

Cosa diventava il volto e tutta la persona di Gesú quando era immerso in preghiera, lo possiamo immaginare dal fatto che i discepoli, solo vedendolo pregare si innamorano della preghiera e chiedono al Maestro di insegnare anche a loro a pregare. E Gesú li accontenta, come abbiamo sentito, insegnando loro la preghiera del Padre nostro.

Anche questa volta vogliamo riflettere sul vangelo ispirandoci al libro di papa Benedetto su Gesú. « Senza il radicamento in Dio, scrive il papa, la persona di Gesú rimane fuggevole, irreale e inspiegabile. Questo è il punto di appoggio su cui si basa questo mio libro: esso considera Gesú a partire dalla sua comunione con il Padre. Questo è il vero centro della sua personalità ».

I vangeli giustificano ampiamente queste affermazioni. Nessuno può contestare dunque storicamente che il Gesú dei vangeli vive e opera in continuo riferimento al Padre celeste, che prega e insegna a pregare, che fonda tutto sulla fede in Dio. Se si elimina questa dimensione dal Gesú dei vangeli non resta di lui assolutamente niente.

Da questo dato storico deriva una conseguenza fondamentale e cioè che non è possibile conoscere il vero Gesù se si prescinde dalla fede, se ci si accosta a lui da non credenti o atei dichiarati. Non parlo in questo momento della fede in Cristo, nella sua divinità (che viene dopo), ma di fede in Dio, nell’accezione più comune del termine. Molti non credenti scrivono oggi su Gesú, convinti che sono essi a conoscere il vero Gesú, non
la Chiesa, non i credenti. Lungi da me (e, credo, anche dal papa) l’idea che i non credenti non abbiano diritto di occuparsi di Gesú. Gesú è « patrimonio dell’umanità » e nessuno, neppure
la Chiesa, ha il monopolio su di lui. Il fatto che anche dei non credenti scrivano su Gesú e si appassionino di lui non può che farci piacere.

Quello che vorrei mettere in luce sono le conseguenze che derivano da un tale punto di partenza. Se si nega o si prescinde dalla fede in Dio, non si elimina solo la divinità, o il cosiddetto Cristo della fede, ma anche il Gesú storico tout court, non si salva neppure l’uomo Gesú. Se Dio non esiste, Gesú non è che uno dei tanti illusi che ha pregato, adorato, parlato con la propria ombra o la proiezione della propria essenza, per dirla con Feuerbach. Ma come si spiega allora che la vita di quest’uomo « ha cambiato il mondo »? Sarebbe come dire che non la verità e la ragione hanno cambiato il mondo, ma l’illusione e l’irrazionalità. Come si spiega che quest’uomo continua, a distanza di duemila anni, a interpellare gli spiriti come nessun altro? Può tutto ciò essere il frutto di un equivoco, di un’illusione?

Non c’è che una via d’uscita a questo dilemma e bisogna riconoscere la coerenza di coloro che (specie nell’ambito del californiano « Jesus Seminar ») l’hanno imboccata. Secondo costoro Gesú non era un credente ebreo; era nel fondo un filosofo nello stile dei cinici; non ha predicato un regno di Dio, né una prossima fine del mondo; ha solo pronunciato massime sapienziali nello stile di un maestro Zen. Il suo scopo era di ridestare negli uomini la coscienza di sé, convincerli che non avevano bisogno né di lui né di altro dio, perché loro stessi portavano in sé una scintilla divina. Sono però – guarda caso – le cose che va predicando da decenni New Age!

Il papa ha visto giusto: senza il radicamento in Dio, la figura di Gesú rimane fuggevole, irreale, io aggiungerei contraddittoria. Non credo che ciò debba intendersi nel senso che solo chi aderisce interiormente al cristianesimo può capire qualcosa di esso, ma certo dovrebbe mettere in guardia dal credere che solo ponendosi al di fuori di esso, fuori dei dogmi della Chiesa, si possa dire qualcosa di oggettivo su di esso.

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dal sito:

http://www.zenit.org/article-11550?l=italian

 

L’evoluzione non da’ una risposta a tutte le domande dell’uomo, riconosce il Papa

 Analizza la crisi di senso tra i giovani 

 

CITTA’ DEL VATICANO, venerdì, 27 luglio 2007 (ZENIT.org).-

L’evoluzione non da’ una risposta a tutte le domande dell’essere umano, in particolare a quella sul senso della vita, considera Benedetto XVI.

A questa conclusione è arrivato rispondendo alla domanda di un sacerdote sulla crisi di senso tra i giovani, che alle volte finisce col suicidio, nel corso dell’incontro con 400 presbiteri che ha tenuto il 24 luglio ad Auronzo, nelle Dolomiti.

“In un primo momento sembra che non abbiamo bisogno di Dio, anzi che, senza Dio saremmo più liberi e il mondo sarebbe più ampio. Ma dopo un certo tempo, nelle nostre nuove generazioni, si vede cosa succede, quando Dio scompare”, ha risposto il Papa.

“Ma il grande problema è che se Dio non c’è e non è il Creatore anche della mia vita, in realtà la vita è un semplice pezzo dell’evoluzione, nient’altro, non ha senso di per sé stessa”, ha aggiunto.

“Ma io devo invece cercare di mettere senso in questo pezzo di essere”, ha spiegato.

“Vedo attualmente in Germania, ma anche negli Stati Uniti, un dibattito abbastanza accanito tra il cosiddetto creazionismo e l’evoluzionismo, presentati come fossero alternative che si escludono: chi crede nel Creatore non potrebbe pensare all’evoluzione e chi invece afferma l’evoluzione dovrebbe escludere Dio”.

“Questa contrapposizione è un’assurdità, perché da una parte ci sono tante prove scientifiche in favore di un’evoluzione che appare come una realtà che dobbiamo vedere e che arricchisce la nostra conoscenza della vita e dell’essere come tale”.

“Ma la dottrina dell’evoluzione non risponde a tutti i quesiti e non risponde soprattutto al grande quesito filosofico: da dove viene tutto? e come il tutto prende un cammino che arriva finalmente all’uomo?”.

“Mi sembra molto importante”, ha spiegato, “che la ragione si apra di più, che veda sì questi dati, ma che veda anche che non sono sufficienti per spiegare tutta la realtà”.

“Non è sufficiente, la nostra ragione è più ampia e può vedere anche che la ragione nostra non è in fondo qualcosa di irrazionale, un prodotto della irrazionalità, ma che la ragione precede tutto, la ragione creatrice, e che noi siamo realmente il riflesso della ragione creatrice”.

“Siamo pensati e voluti e, quindi, c’è una idea che mi precede, un senso che mi precede e che devo scoprire, seguire e che dà finalmente significato alla mia vita”, ha sottolineato.

Questa visione, ha sottolineato, è necessaria per capire anche il senso del dolore.

“In questo senso direi che è importante far scoprire ai giovani Dio, far scoprire loro l’amore vero che proprio nella rinuncia diventa grande e così far scoprire loro anche la bontà interiore della sofferenza, che mi rende più libero e più grande”, ha concluso.

 

 

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