Il primato dell’unità sulle sacrosante diversificazioni – Dal motu proprio sulla liturgia un principio prezioso per tutti
dal sito del giornale on line « Avvenire »
Il primato dell’unità sulle sacrosante diversificazioni
Dal motu proprio sulla liturgia un principio prezioso per tutti
Francesco D’Agostino
Il motu proprio con il quale Benedetto XVI ha ridato spazio all’uso della liturgia romana anteriore al Concilio Vaticano II ha suscitato numerosi commenti e svariate riflessioni, anche nel mondo laico: non poteva essere diversamente, se si riflette sulla peculiarità del nesso che ci unisce con la tradizione linguistica latina, anche al di là della prassi della Chiesa romana.
Esiste però un’ulteriore ragione per riflettere da parte di tutti (e in particolare da parte dei « laici ») sulla decisione di Papa Benedetto; una ragione che non ha rilievo né teologico né liturgico, ma – se si può usare una parola difficile solo sulle prime – « ermeneutico ». Il punto è già stato perfettamente colto dal cardinale Ruini, nell’editoriale pubblicato su « Avvenire » domenica 8 luglio. Il porporato ricordava infatti come il primo e principale motivo che aveva indotto il Papa a emanare il motu proprio sia stato la « sollecitudine per l’unità della Chiesa, unità che sussiste non solo nello spazio, ma anche nel tempo e che non è compatibile con fratture e contrapposizioni tra le diverse fasi del suo sviluppo storico ». Quello dell’unità è quindi da considerare alla stregua di un valore primario, per realizzare il quale nessuno sforzo deve restare intentato: l’affiancare alla forma ordinaria della liturgia eucaristica una « forma straordinaria » non va inteso come la creazione di due riti, ma di un duplice uso dell’unico e medesimo rito romano.
Perché ho detto che questo tema dovrebbe interessare, da un punto di vista « ermeneutico », anche i non credenti? Perché da esso emerge con chiarezza quello che è o comunque dovrebbe essere il comune orizzonte interpretativo di tutta la storia umana. Che la storia si esprima in una impressionante varietà di culture, lingue, tradizioni, religioni, esperienze non è mai sfuggito naturalmente a nessuno. Nel nostro tempo, però, si sta imponendo una lettura relativistica di questa straordinaria varietà: anziché essere compresa, studiata e interpretata come l ‘espressione molteplice di un unico valore fondamentale, quello dello spirito umano, essa viene sempre più spesso additata come la prova evidente della relatività e della incomunicabilità dei valori antropologici e culturali.
Il risultato di questo canone « ermeneutico » è devastante: alle prime difficoltà di comunicazione tra gli uomini, il relativismo antropologico e culturale, che sulle prime ama presentarsi come benevolo e tollerante, si rivela rapidamente indifferente e ostile nei confronti della diversità. Se non si assume come principio interpretativo fondamentale di tutta la storia umana lo stesso criterio che
la Chiesa assume per interpretare la propria storia, e cioè il primato dell’unità sulla divisione, il rischio che le lacerazioni esistenti tra gli uomini si moltiplichino in modo esponenziale è altissimo. Non è riconoscendoci irriducibilmente differenti che creiamo la pace tra di noi, ma piuttosto riconoscendo la nostra fondamentale eguaglianza, che spesso si occulta nella diversità delle pratiche e delle esperienze.
Come non dobbiamo pensare a « due riti », ma « un duplice uso dell’unico rito romano », analogamente, non dobbiamo pensare a « mille o diecimila culture umane », ma a « mille o diecimila usi dell’unica cultura umana »; non a diecimila lingue diverse », ma « diecimila usi diversi di comunicazione tra gli uomini ». Il confronto culturale è faticoso, a volte tormentoso, perché esige una lucidità di giudizio (nei confronti delle culture che vengono meno alle comuni esigenze del bene umano), che mai va disgiunta da una doverosa apertura simpatetica a chi è diverso da noi culturalmente, tanto quanto è umanamente a noi identico. L’unità, prima ancora che il contenuto di un appello morale, è un principio antropologico fondamentale, che si crea la sua strada in mille modi diversi e imprevedibili, anche attraverso le nuove norme canoniche sulla liturgia eucaristica.

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