Archive pour le 13 juillet, 2007

buona notte

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Publié dans:immagini buon...notte, giorno |on 13 juillet, 2007 |Pas de commentaires »

« Quello che ascoltate all’orecchio, predicatelo sui tetti

San Patrizio (circa 385-vers 461), monaco missionario, vescovo
Confessione, § 43- 47 ; SC 249, 119

« Quello che ascoltate all’orecchio, predicatelo sui tetti »

Non per mia iniziativa ho cominciato questa opera, ma Cristo Signore mi ha ordinato di venire a trascorrere tra i pagani Irlandesi il resto dei miei giorni – se lo vuole il Signore e se mi custodisce da ogni via cattiva… Ma non confido in me stesso « finché sono in questo corpo votato alla morte » (2 Pt 1,13; Rm 7,24)… Non ho condotto una vita perfetta come altri fedeli; ma lo confesso al mio Signore e non arrossisco alla sua presenza. Infatti non mentisco: da quando l’ho conosciuto nella mia giovinezza, l’amore di Dio è cresciuto in me, insieme al suo timore, e fino a oggi, per la grazia del Signore, « ho conservato la fede » (2 Tm 4,7).

Rida dunque e mi insulti chiunque vorrà; io non tacerò e non nasconderò « i prodigi e i miracoli » (Dn 6,28) che il Signore che conosce ogni cosa mi ha mostrato, molti anni prima che succedessero. Per questo dovrei rendere senza sosta grazie a Dio, che tanto spesso ha perdonato la mia stupidità e la mia trascuratezza e non si è irritato neanche una sola volta contro di me, nonostante sia stato eletto vescovo. Il Signore mi « ha fatto grazia », « in favore di mille generazioni » (Es 20,6), perché ha visto che ero disponibile… Infatti numerosi erano coloro he si opponevano a questa missione; parlavano anche fra di loro a mia insaputa e dicevano: « Perché costui si getta in un’impresa pericolosa presso degli stranieri che non conoscono Dio? » Non per malizia si esprimevano così; io stesso lo attesto: a causa della mia rustichezza non potevano capire perché io fossi stato nominato vescovo. Neanch’io sono stato pronto a riconoscere la grazia che era in me. Ora tutto questo è diventato chiaro per me.

Ora dunque, espongo semplicemente ai miei fratelli e ai miei compagni di servizio che mi hanno creduto, perché « ho predicato prima e lo ripeto ora » (2 Cor 13,2), allo scopo di fortificare e di confermare la vostra fede. Possiate anche voi ricercare scopi più elevati e compiere opere più eccellenti. Questo sarà la mia felicità, poiché « il figlio saggio rende lieto il padre » (Pr 10,1).

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IL buon samaritano

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Il primato dell’unità sulle sacrosante diversificazioni – Dal motu proprio sulla liturgia un principio prezioso per tutti

dal sito del giornale on line « Avvenire »

Il primato dell’unità sulle sacrosante diversificazioni 

Dal motu proprio sulla liturgia un principio prezioso per tutti 

Francesco D’Agostino  

Il motu proprio con il quale Benedetto XVI ha ridato spazio all’uso della liturgia romana anteriore al Concilio Vaticano II ha suscitato numerosi commenti e svariate riflessioni, anche nel mondo laico: non poteva essere diversamente, se si riflette sulla peculiarità del nesso che ci unisce con la tradizione linguistica latina, anche al di là della prassi della Chiesa romana.
Esiste però un’ulteriore ragione per riflettere da parte di tutti (e in particolare da parte dei « laici ») sulla decisione di Papa Benedetto; una ragione che non ha rilievo né teologico né liturgico, ma – se si può usare una parola difficile solo sulle prime – « ermeneutico ». Il punto è già stato perfettamente colto dal cardinale Ruini, nell’editoriale pubblicato su « Avvenire » domenica 8 luglio. Il porporato ricordava infatti come il primo e principale motivo che aveva indotto il Papa a emanare il motu proprio sia stato la « sollecitudine per l’unità della Chiesa, unità che sussiste non solo nello spazio, ma anche nel tempo e che non è compatibile con fratture e contrapposizioni tra le diverse fasi del suo sviluppo storico ». Quello dell’unità è quindi da considerare alla stregua di un valore primario, per realizzare il quale nessuno sforzo deve restare intentato: l’affiancare alla forma ordinaria della liturgia eucaristica una « forma straordinaria » non va inteso come la creazione di due riti, ma di un duplice uso dell’unico e medesimo rito romano.
Perché ho detto che questo tema dovrebbe interessare, da un punto di vista « ermeneutico », anche i non credenti? Perché da esso emerge con chiarezza quello che è o comunque dovrebbe essere il comune orizzonte interpretativo di tutta la storia umana. Che la storia si esprima in una impressionante varietà di culture, lingue, tradizioni, religioni, esperienze non è mai sfuggito naturalmente a nessuno. Nel nostro tempo, però, si sta imponendo una lettura relativistica di questa straordinaria varietà: anziché essere compresa, studiata e interpretata come l ‘espressione molteplice di un unico valore fondamentale, quello dello spirito umano, essa viene sempre più spesso additata come la prova evidente della relatività e della incomunicabilità dei valori antropologici e culturali.
Il risultato di questo canone « ermeneutico » è devastante: alle prime difficoltà di comunicazione tra gli uomini, il relativismo antropologico e culturale, che sulle prime ama presentarsi come benevolo e tollerante, si rivela rapidamente indifferente e ostile nei confronti della diversità. Se non si assume come principio interpretativo fondamentale di tutta la storia umana lo stesso criterio che
la Chiesa assume per interpretare la propria storia, e cioè il primato dell’unità sulla divisione, il rischio che le lacerazioni esistenti tra gli uomini si moltiplichino in modo esponenziale è altissimo. Non è riconoscendoci irriducibilmente differenti che creiamo la pace tra di noi, ma piuttosto riconoscendo la nostra fondamentale eguaglianza, che spesso si occulta nella diversità delle pratiche e delle esperienze.
Come non dobbiamo pensare a « due riti », ma « un duplice uso dell’unico rito romano », analogamente, non dobbiamo pensare a « mille o diecimila culture umane », ma a « mille o diecimila usi dell’unica cultura umana »; non a diecimila lingue diverse », ma « diecimila usi diversi di comunicazione tra gli uomini ». Il confronto culturale è faticoso, a volte tormentoso, perché esige una lucidità di giudizio (nei confronti delle culture che vengono meno alle comuni esigenze del bene umano), che mai va disgiunta da una doverosa apertura simpatetica a chi è diverso da noi culturalmente, tanto quanto è umanamente a noi identico. L’unità, prima ancora che il contenuto di un appello morale, è un principio antropologico fondamentale, che si crea la sua strada in mille modi diversi e imprevedibili, anche attraverso le nuove norme canoniche sulla liturgia eucaristica. 

 

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Primi incontri di Benedetto XVI con residenti e turisti tra i sentieri delle Dolomiti bellunesi. Il cardinale Bertone atteso in Cadore per una conferenza

dal sito della Radio Vaticana:

13/07/2007 15.03.16
  

Primi incontri di Benedetto XVI con residenti e turisti tra i sentieri delle Dolomiti bellunesi. Il cardinale Bertone atteso in Cadore per una conferenza
 

 

Prosegue in Cadore, allietato dall’incantevole cornice naturale, il periodo di riposo e svago del Papa, che si tratterrà fino al 27 luglio nell’amena cittadina di Lorenzago, nota località turistica delle Dolomiti, in provincia di Belluno, ospite in una villetta nei pressi del Castello di Mirabello. E c’è attesa anche per l’arrivo a Lorenzago – mercoledì prossimo, 18 luglio – del cardinale Tarcisio Bertone, che terrà una conferenza a Pieve di Cadore sul suo « primo anno di segretario di Stato a contatto come il Papa”, cosi come annunciato ieri dal portavoce della diocesi di Treviso, don Giuseppe Bratti. Il servizio di Roberta Gisotti:

La presenza di Benedetto XVI in Cadore solleva naturalmente il desiderio di molti fedeli o turisti di poterlo incontrare e da qui il fervore anche nei luoghi di culto nei dintorni che il Santo Padre potrebbe visitare, magari inaspettatamente come accaduto mercoledì scorso a Lozzo nel Santuario della Madonna di Loreto, dove il Papa si è raccolto a pregare, o ancora ieri pomeriggio con un fuori programma nella Valle di Stabie, dove ha invece passeggiato, sostando con un gruppo di gitanti incontrati per caso. Sorpreso quindi Benedetto XVI di ritrovarsi attorniato dai giornalisti, “che sanno sempre tutto”, ha detto loro scherzosamente il Papa:
  
Come siete arrivati qui? I giornalisti sanno tutto …

 
Ma diamo la parola all’inviato del quotidiano « Avvenire » Salvatore Mazza, per il racconto di questo incontro di simpatia ma anche commovente di ieri pomeriggio con alcuni bambini e i loro genitori:

 
R. – Sì, è stata un cosa molto simpatica perché il corteo del Papa, sulla strada del ritorno, ha visto queste persone e c’erano due bambine con dei mazzolini di fiori in mano. Allora il Papa si è fermato, è sceso dalla macchina, si è fermato prima a salutare le bambine mentre il suo segretario, don Georg, riceveva questi fiori. Quindi, Benedetto XVI si è intrattenuto con i genitori di una di queste due bambine, la più piccola, che erano lì in villeggiatura e avevano visto la macchina con i giornalisti e allora l’avevano seguita credendo che stessero « pedinando » il Papa, e infatti così era.

 
D. – Da giornalisti, si avverte forse il peso, come dire, di non invadere l’esigenza del riposo del Papa con i riflettori della stampa…

 
R. – Ovviamente sì. Si ha sempre l’idea di essere inopportuni. Il problema è che il Papa è qui per riposare e si cerca il più possibile di starsene in disparte. E anche quando poi esce e il « dovere professionale » impone di seguire, di cercare di capire cosa stia succedendo, si cerca sempre di fare il nostro lavoro con il massimo rispetto per non invadere questo spazio di privacy che il Papa si ritaglia lontano dagli impegni quotidiani.

 
D. – Ieri, c’è stata pure una sosta privata con una famiglia che vive in una baita sempre nei pressi del Passo Mauria, nella Valle di Stabie…

 
R. – Sì, esatto. Il Papa ha percorso a piedi il sentiero e si è imbattuto in questa baita abitata dal signor Lino e dalla moglie Celestina; poi è stato invitato a casa e si è seduto casualmente – ma ovviamente perché poi il posto è quello – sulla stessa sedia su cui si era già seduto Papa Wojtyla nel ’98 e lì si è fermato a conversare con i due padroni di casa, chiedendo notizie del posto, chiedendo il significato del nome di questa baita, “Almetabiate” – “la mia baita” in dialetto locale – che, come ha spiegato il signor Lino, non è « mia » inteso in senso possessivo ma nel senso di chi ci si ristorasse. Il signor Lino oggi mentre lo raccontava era molto emozionato, e poi, aver avuto la fortuna di poter ospitare a casa propria, nel proprio giardino due Papi…

 
D. – Ci sono attese particolari per la giornata di oggi?

 
R. – La giornata del Papa viene decisa di volta in volta. Oggi, è una giornata veramente splendida, fa caldo, c’è un sole magnifico, i contorni delle montagne sono assolutamente nitide e il sospetto che anche oggi possa approfittare per uscire è abbastanza forte, considerando che l’ha fatto in giorni non altrettanto belli.
 

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Predicatore del Papa: “A chi posso farmi prossimo, ora e qui?”

dal sito:

http://www.zenit.org/article-11414?l=italian

 

 

Predicatore del Papa: “A chi posso farmi prossimo, ora e qui?”

 

 Commento di padre Cantalamessa alla liturgia di domenica prossima 

 

ROMA, venerdì, 13 luglio 2007 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il commento di padre Raniero Cantalamessa, OFM Cap. – predicatore della Casa Pontificia –, alla liturgia di domenica prossima.

 

* * *
XV Domenica del Tempo Ordinario (C)
Deuteronomio 30, 10-14; Colossesi 1, 15-20; Luca 10, 25-37 

IL BUON SAMARITANO 

Ci siamo proposti, dicevo, di commentare alcuni vangeli domenicali ispirandoci al libro di papa Benedetto XVI su Gesù di Nazaret. Alla parabola del buon Samaritano dono dedicate diverse pagine del libro. La parabola non si comprende se non si tiene conto della domanda alla quale con essa Gesù intendeva rispondere: « Chi è il mio prossimo?

A questa domanda di un dottore della legge, Gesù risponde raccontando una parabola. Nella musica e nella letteratura mondiale, ci sono degli « attacchi » divenuti celebri. Quattro note, disposte in una certa sequenza, e ogni intenditore esclama subito, per esempio: « Quinta sinfonia di Beethoven: il destino che bussa alla porta! ». Molte parabole di Gesù condividono questa caratteristica. « Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico… », e tutti capiscono immediatamente: parabola del buon Samaritano!

Nell’ambiente giudaico del tempo si discuteva su chi doveva essere considerato, per un israelita, il proprio prossimo. Si arrivava in genere a comprendere, nella categoria di prossimo, tutti i connazionali e i proseliti, cioè i gentili che avevano aderito al giudaismo. Con la scelta dei personaggi (un Samaritano che soccorre un giudeo!) Gesù viene a dire che la categoria di prossimo è universale, non particolare. Ha per orizzonte l’uomo, non la cerchia familiare, etnica, o religiosa. Prossimo è anche il nemico! Si sa infatti che i giudei infatti « non mantenevano buone relazioni con i samaritani! » (cfr. Gv 4, 9).

La parabola insegna che l’amore del prossimo deve essere non solo universale, ma anche concreto e fattivo. Come si comporta il samaritano della parabola? Se il Samaritano si fosse accontentato di accostarsi e di dire a quel disgraziato che giaceva nel suo sangue: « Poveretto, quanto mi dispiace! Come è successo? Fatti coraggio! « , o parole simili, e poi se ne fosse andato, non sarebbe stato tutto ciò un’ironia e un insulto? Lui fece dell’altro: « Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui. Il giorno seguente, estrasse due denari e li diede all’albergatore, dicendo: Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più, te lo rifonderò al mio ritorno ».

La cosa però veramente nuova, nella parabola del buon samaritano, non è che in essa Gesù esige un amore universale e concreto. La vera novità, fa notare il papa nel suo libro, è altrove. Terminato di narrare la parabola Gesù domanda al dottore della legge che lo aveva interrogato: « Chi di questi tre [il levita, il sacerdote, il samaritano] ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti? « .

Gesù opera un capovolgimento inatteso rispetto al concetto tradizionale di prossimo. Prossimo è il Samaritano, non il ferito, come ci saremmo aspettati. Questo significa che non bisogna attendere passivamente che il prossimo spunti sulla propria strada, magari con tanto di segnalazione luminosa e a sirene spiegate. Tocca a noi essere pronti ad accorgerci che c’è, a scoprirlo. Prossimo è quello che ognuno di noi è chiamato a diventare! Il problema del dottore della Legge appare rovesciato; da problema astratto e accademico, si fa problema concreto e operativo. La domanda da porsi non è: « Chi è il mio prossimo? », ma: « A chi posso farmi prossimo, ora e qui? »

Nel suo libro, il papa fa un’applicazione attuale della parabola del buon samaritano. Vede l’intero continente africano simboleggiato dallo sventurato che è stato spogliato, ferito e lasciato mezzo morto ai margini della strada e vede in noi, membri dei paesi ricchi dell’emisfero nord, i due personaggi che passano e tirano diritto, se non addirittura i briganti che lo hanno ridotto così.

Io vorrei accennare a un’altra possibile attualizzazione della parabola. Sono convinto che se Gesù vivesse oggi in Israele e un dottore della Legge gli chiedesse di nuovo: « Chi è il mio prossimo? » cambierebbe leggermente la parabola e al posto di un samaritano metterebbe un palestinese! Se poi a interrogarlo fosse un palestinese, al posto del samaritano troveremmo un ebreo!

Ma è troppo comodo limitare il discorso all’Africa o al Medio Oriente. Se fosse uno di noi a porre a Gesù la domanda: « Chi è il mio prossimo? », cosa risponderebbe? Ci ricorderebbe certamente che il nostro prossimo non è solo il connazionale, ma anche l’extracomunitario, non solo il cristiano, ma anche il musulmano, non solo il cattolico, ma anche il protestante. Ma aggiungerebbe subito che non è questa la cosa più importante; la cosa più importante non è sapere chi è il mio prossimo, ma vedere a chi posso io farmi prossimo, ora e qui; per chi posso essere io il buon samaritano. 

 

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