Archive pour le 9 juillet, 2007

buona notte

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« Pregate il padrone della messe, che mandi operai »

Giovanni Paolo II
Messaggio per la 38a Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni, 6 maggio 2001 (© copyright Libreria Editrice Vaticana)

« Pregate il padrone della messe, che mandi operai »

Padre santo, fonte perenne dell’esistenza e dell’amore,
che nell’uomo vivente mostri lo splendore della tua gloria,
e metti nel suo cuore il seme della tua chiamata,
fa che nessuno, per nostra negligenza, ignori questo dono o lo perda,
ma tutti, con piena generosità, possano camminare
verso la realizzazione del tuo Amore.

Signore Gesù, che nel tuo pellegrinare per le strade della Palestina,
hai scelto e chiamato gli apostoli e hai affidato loro il compito
di predicare il Vangelo, pascere i fedeli, celebrare il culto divino,
fa’ che anche oggi non manchino alla tua Chiesa
numerosi e santi Sacerdoti, che portino a tutti
i frutti della tua morte e della tua risurrezione.

Spirito Santo, che santifichi la Chiesa
con la costante effusione dei tuoi doni,
immetti nel cuore dei chiamati alla vita consacrata
un’intima e forte passione per il Regno,
affinché con un sì generoso e incondizionato,
pongano la loro esistenza al servizio del Vangelo.

Vergine Santissima, che senza esitare
hai offerto te stessa all’Onnipotente
per l’attuazione del suo disegno di salvezza,
infondi fiducia nel cuore dei giovani
perché vi siano sempre pastori zelanti,
che guidino il popolo cristiano sulla via della vita,
e anime consacrate che sappiano testimoniare
nella castità, nella povertà e nell’obbedienza,
la presenza liberatrice del tuo Figlio risorto.
Amen

Il Papa a Lorenzago di Cadore

Il Papa a Lorenzago di Cadore dans immagini del Papa

Pope Benedict XVI is greeted by children on his arrival for his annual holidays in Lorenzago di Cadore, northern Italy, July 9, 2007. REUTERS/Osservatore Romano (ITALY)

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La Messa precedente il Concilio -Sollecitudine per l’unità della Chiesa

riporto un articolo scritto su « Avvenire del Cardinale Camillo Ruini perché mi sembra adatto alla comprensione della « preoccupazione pastorale » del Papa per quanto riguarda il « Motu Proprio »:


La Messa precedente il Concilio -
Sollecitudine per l’unità della Chiesa 
Camillo Ruini  

Dieci giorni fa, al termine dell’incontro dedicato al Motu proprio sull’uso della liturgia romana anteriore al Concilio Vaticano II, Benedetto XVI ha voluto illustrare personalmente i motivi che lo hanno mosso a promulgare questo testo.
Come primo e principale di tali motivi il Papa ha indicato la sollecitudine per l’unità della Chiesa, unità che sussiste non solo nello spazio ma anche nel tempo e che non è compatibile con fratture e contrapposizioni tra le diverse fasi del suo sviluppo storico. Papa Benedetto ha ripreso cioè il contenuto centrale del suo discorso del 22 dicembre 2005 alla Curia Romana nel quale, a 40 anni dal Concilio, ha proposto come chiave di interpretazione del Vaticano II non «l’ermeneutica della discontinuità e della rottura», bensì quella «della riforma, del rinnovamento nella continuità dell’unico soggetto-Chiesa». Egli non fa valere così un suo personale punto di vista o una sua preferenza teologica, ma adempie il compito essenziale del successore di Pietro che, come dice il Concilio stesso (Lumen gentium, n.23), «è il perpetuo e visibile principio e fondamento dell’unità sia dei Vescovi sia della moltitudine dei fedeli».
Allo stesso modo, nella lettera ai Vescovi con cui accompagna e mette nelle loro mani il Motu proprio, Papa Benedetto scrive che la ragione positiva che lo ha indotto a pubblicarlo è quella di giungere ad una riconciliazione interna nel seno della Chiesa: egli ricorda espressamente come, guardando alle divisioni che nel corso dei secoli hanno lacerato il Corpo di Cristo, si abbia «continuamente l’impressione che, in momenti critici in cui la divisione stava maturando, non è stato fatto il sufficiente da parte dei responsabili della Chiesa per conservare o conquistare la riconciliazione e l’unità». Da qui deriva per noi «un obbligo: fare tutti gli sforzi, affinché a tutti quelli che hanno veramente il desiderio dell’unità, sia reso possibile di restare in quest’unità o di ritrovarla nuovamente».
Sol o ponendosi su questa lunghezza d’onda si può cogliere davvero il senso del Motu proprio e si può metterlo in pratica in maniera positiva e feconda. In realtà, come il Papa ha spiegato abbondantemente nella sua lettera, non è fondato il timore che venga intaccata l’autorità del Concilio e messa in dubbio la riforma liturgica, o che venga sconfessata l’opera di Paolo VI e Giovanni Paolo II. Il Messale di Paolo VI rimane infatti la «forma normale» e «ordinaria» della liturgia eucaristica, mentre il Messale romano anteriore al Concilio può essere usato come «forma straordinaria»: non si tratta, precisa il Papa, di «due Riti», ma di un duplice uso dell’unico e medesimo Rito romano. Giovanni Paolo II, inoltre, già nel 1984 e poi nel 1988, aveva consentito l’uso del Messale anteriore al Concilio, per le medesime ragioni che muovono ora Benedetto XVI a fare un passo ulteriore in questa direzione.
Tale passo ulteriore non è del resto a senso unico. Esso richiede una volontà costruttiva, e una condivisione sincera dell’intenzione che ha guidato Benedetto XVI, non solo a quella larghissima maggioranza dei sacerdoti e dei fedeli che si trovano a proprio agio con la riforma liturgica seguita al Vaticano II, ma anche a coloro che rimangono profondamente attaccati alla forma precedente del Rito romano. In concreto, ai primi è richiesto di non indulgere nelle celebrazioni a quegli arbitri che purtroppo non sono mancati e che oscurano la ricchezza spirituale e la profondità teologica del Messale di Paolo VI. Ai secondi è richiesto di non escludere per principio la celebrazione secondo questo nuovo Messale, manifestando così concretamente la propria accoglienza del Concilio. In tal modo si eviterà il rischio che un Motu proprio emanato per unire maggiormente la comunità cristiana sia invece utilizzato per dividerla.
Nella sua lettera il Papa, rivolgendosi ai Vescovi, sottolinea che queste nuove norme «non diminuiscono in alcun modo» la loro autorità e responsabilità sulla liturgi a e sulla pastorale dei propri fedeli: come insegna il Vaticano II (Sacrosanctum Concilium, n.22), ogni Vescovo è infatti «il moderatore della liturgia nella propria diocesi», in comunione con il Papa e sotto la sua autorità. Anche questo è un criterio di primaria importanza perché il Motu proprio possa portare quei frutti di bene per i quali è stato scritto.

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Traduzione non ufficiale del Motu Proprio “Summorum Pontificum”

dal sito:

http://www.zenit.org/article-11368?l=italian

 

Traduzione non ufficiale del Motu Proprio “Summorum Pontificum”

 

 

CITTA’ DEL VATICANO, domenica, 8 luglio 2007 (ZENIT.org).-

Di seguito riportiamo la traduzione non ufficiale (dal latino in italiano), distribuita dal VIS (Vatican Information Service), della Lettera Apostolica « Motu proprio data », « Summorum Pontificum » del Santo Padre Benedetto XVI, sull »uso della liturgia romana anteriore alla riforma compiuta nel 1970.

Per presentare le nuove disposizioni contenute nel Motu Proprio il Santo Padre ha anche indirizzato una lettera ai Vescovi di tutto il mondo. 

* * * 

  

LETTERA APOSTOLICA
MOTU PROPRIO DATA
BENEDETTO XVI  

  

I Sommi Pontefici fino ai nostri giorni ebbero costantemente cura che
la Chiesa di Cristo offrisse alla Divina Maestà un culto degno, « a lode e gloria del Suo nome » ed « ad utilità di tutta la sua Santa Chiesa ».

Da tempo immemorabile, come anche per l’avvenire, è necessario mantenere il principio secondo il quale « ogni Chiesa particolare deve concordare con
la Chiesa universale, non solo quanto alla dottrina della fede e ai segni sacramentali, ma anche quanto agli usi universalmente accettati dalla ininterrotta tradizione apostolica, che devono essere osservati non solo per evitare errori, ma anche per trasmettere l’integrità della fede, perché la legge della preghiera della Chiesa corrisponde alla sua legge di fede » (1).

Tra i Pontefici che ebbero tale doverosa cura eccelle il nome di San Gregorio Magno, il quale si adoperò perché ai nuovi popoli dell »Europa si trasmettesse sia la fede cattolica che i tesori del culto e della cultura accumulati dai Romani nei secoli precedenti. Egli comandò che fosse definita e conservata la forma della sacra Liturgia, riguardante sia il Sacrificio della Messa sia l’Ufficio Divino, nel modo in cui si celebrava nell’Urbe. Promosse con massima cura la diffusione dei monaci e delle monache, che operando sotto la regola di San Benedetto, dovunque unitamente all »annuncio del Vangelo illustrarono con la loro vita la salutare massima della Regola: « Nulla venga preposto all »opera di Dio » (cap. 43). In tal modo la sacra Liturgia celebrata secondo l »uso romano arricchì non solo la fede e la pietà, ma anche la cultura di molte popolazioni. Consta infatti che la liturgia latina della Chiesa nelle varie sue forme, in ogni secolo dell »età cristiana, ha spronato nella vita spirituale numerosi Santi e ha rafforzato tanti popoli nella virtù di religione e ha fecondato la loro pietà.

Molti altri Romani Pontefici, nel corso dei secoli, mostrarono particolare sollecitudine a che la sacra Liturgia espletasse in modo più efficace questo compito: tra essi spicca S. Pio V, il quale sorretto da grande zelo pastorale, a seguito dell’esortazione del Concilio di Trento, rinnovò tutto il culto della Chiesa, curò l’edizione dei libri liturgici, emendati e « rinnovati secondo la norma dei Padri » e li diede in uso alla Chiesa latina.

Tra i libri liturgici del Rito romano risalta il Messale Romano, che si sviluppò nella città di Roma, e col passare dei secoli a poco a poco prese forme che hanno grande somiglianza con quella vigente nei tempi più recenti.

“Fu questo il medesimo obbiettivo che seguirono i Romani Pontefici nel corso dei secoli seguenti assicurando l’aggiornamento o definendo i riti e i libri liturgici, e poi, all’inizio di questo secolo, intraprendendo una riforma generale » (2). Così agirono i nostri Predecessori Clemente VIII, Urbano VIII, San Pio X (3), Benedetto XV, Pio XII e il Beato Giovanni XXIII.

Nei tempi più recenti, il Concilio Vaticano II espresse il desiderio che la dovuta rispettosa riverenza nei confronti del culto divino venisse ancora rinnovata e fosse adattata alle necessità della nostra età. Mosso da questo desiderio, il nostro Predecessore, il Sommo Pontefice Paolo VI, nel 1970 per
la Chiesa latina approvò i libri liturgici riformati e in parte rinnovati. Essi, tradotti nelle varie lingue del mondo, di buon grado furono accolti da Vescovi, sacerdoti e fedeli. Giovanni Paolo II rivide la terza edizione tipica del Messale Romano. Così i Romani Pontefici hanno operato « perché questa sorta di edificio liturgico [...] apparisse nuovamente splendido per dignità e armonia » (4).

Ma in talune regioni non pochi fedeli aderirono e continuano ad aderire con tanto amore ed affetto alle antecedenti forme liturgiche, le quali avevano imbevuto così profondamente la loro cultura e il loro spirito, che il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, mosso dalla cura pastorale nei confronti di questi fedeli, nell »anno 1984 con lo speciale indulto « Quattuor abhinc annos », emesso dalla Congregazione per il Culto Divino, concesse la facoltà di usare il Messale Romano edito dal Beato Giovanni XXIII nell »anno 1962; nell »anno 1988 poi Giovanni Paolo II di nuovo con
la Lettera Apostolica « Ecclesia Dei », data in forma di Motu proprio, esortò i Vescovi ad usare largamente e generosamente tale facoltà in favore di tutti i fedeli che lo richiedessero.

A seguito delle insistenti preghiere di questi fedeli, a lungo soppesate già dal Nostro Predecessore Giovanni Paolo II, e dopo aver ascoltato Noi stessi i Padri Cardinali nel Concistoro tenuto il 22 marzo 2006, avendo riflettuto approfonditamente su ogni aspetto della questione, dopo aver invocato lo Spirito Santo e contando sull »aiuto di Dio, con la presente Lettera Apostolica stabiliamo quanto segue:

Art. 1. Il Messale Romano promulgato da Paolo VI è la espressione ordinaria della « lex orandi » (« legge della preghiera ») della Chiesa cattolica di rito latino. Tuttavia il Messale Romano promulgato da San Pio V e nuovamente edito dal Beato Giovanni XXIII deve venir considerato come espressione straordinaria della stessa « lex orandi » e deve essere tenuto nel debito onore per il suo uso venerabile e antico. Queste due espressioni della « lex orandi » della Chiesa non porteranno in alcun modo a una divisione nella « lex credendi » (« legge della fede ») della Chiesa; sono infatti due usi dell »unico rito romano.

Perciò è lecito celebrare il Sacrificio della Messa secondo l’edizione tipica del Messale Romano promulgato dal Beato Giovanni XXIII nel 1962 e mai abrogato, come forma straordinaria della Liturgia della Chiesa. Le condizioni per l »uso di questo Messale stabilite dai documenti anteriori « Quattuor abhinc anno » e « Ecclesia Dei », vengono sostituite come segue:

Art. 2. Nelle Messe celebrate senza il popolo, ogni sacerdote cattolico di rito latino, sia secolare sia religioso, può usare o il Messale Romano edito dal Beato Papa Giovanni XXIII nel 1962, oppure il Messale Romano promulgato dal Papa Paolo VI nel 1970, e ciò in qualsiasi giorno, eccettuato il Triduo Sacro. Per tale celebrazione secondo l’uno o l’altro Messale il sacerdote non ha bisogno di alcun permesso, né della Sede Apostolica, né del suo Ordinario.

Art. 3. Le comunità degli Istituti di vita consacrata e delle Società di vita apostolica, di diritto sia pontificio sia diocesano, che nella celebrazione conventuale o « comunitaria » nei propri oratori desiderano celebrare
la Santa Messa secondo l »edizione del Messale Romano promulgato nel 1962, possono farlo. Se una singola comunità o un intero Istituto o Società vuole compiere tali celebrazioni spesso o abitualmente o permanentemente, la cosa deve essere decisa dai Superiori maggiori a norma del diritto e secondo le leggi e gli statuti particolari.

Art. 4. Alle celebrazioni della Santa Messa di cui sopra all’art. 2, possono essere ammessi – osservate le norme del diritto – anche i fedeli che lo chiedessero di loro spontanea volontà.

Art. 5. § 1. Nelle parrocchie, in cui esiste stabilmente un gruppo di fedeli aderenti alla precedente tradizione liturgica, il parroco accolga volentieri le loro richieste per la celebrazione della Santa Messa secondo il rito del Messale Romano edito nel 1962. Provveda a che il bene di questi fedeli si armonizzi con la cura pastorale ordinaria della parrocchia, sotto la guida del Vescovo a norma del canone 392, evitando la discordia e favorendo l’unità di tutta
la Chiesa. § 2. La celebrazione secondo il Messale del Beato Giovanni XXIII può aver luogo nei giorni feriali; nelle domeniche e nelle festività si può anche avere una celebrazione di tal genere. § 3. Per i fedeli e i sacerdoti che lo chiedono, il parroco permetta le celebrazioni in questa forma straordinaria anche in circostanze particolari, come matrimoni, esequie o celebrazioni occasionali, ad esempio pellegrinaggi. § 4. I sacerdoti che usano il Messale del Beato Giovanni XXIII devono essere idonei e non giuridicamente impediti. § 5. Nelle chiese che non sono parrocchiali né conventuali, è compito del Rettore della chiesa concedere la licenza di cui sopra.

Art. 6. Nelle Messe celebrate con il popolo secondo il Messale del Beato Giovanni XXIII, le letture possono essere proclamate anche nella lingua vernacola, usando le edizioni riconosciute dalla Sede Apostolica.

Art. 7. Se un gruppo di fedeli laici fra quelli di cui all »art. 5 § 1 non abbia ottenuto soddisfazione alle sue richieste da parte del parroco, ne informi il Vescovo diocesano. Il Vescovo è vivamente pregato di esaudire il loro desiderio. Se egli non può provvedere per tale celebrazione, la cosa venga riferita alla Commissione Pontificia « Ecclesia Dei ».

Art. 8. Il Vescovo, che desidera rispondere a tali richieste di fedeli laici, ma per varie cause è impedito di farlo, può riferire la questione alla Commissione « Ecclesia Dei », perché gli offra consiglio e aiuto.

Art. 9 § 1. Il parroco, dopo aver considerato tutto attentamente, può anche concedere la licenza di usare il rituale più antico nell »amministrazione dei sacramenti del Battesimo, del Matrimonio, della Penitenza e dell’Unzione degli infermi, se questo consiglia il bene delle anime. § 2. Agli Ordinari viene concessa la facoltà di celebrare il sacramento della Confermazione usando il precedente antico Pontificale Romano, qualora questo consigli il bene delle anime. § 3. Ai chierici costituiti « in sacris » è lecito usare il Breviario Romano promulgato dal Beato Giovanni XXIII nel 1962.

Art. 10. l’Ordinario del luogo, se lo riterrà opportuno, potrà erigere una parrocchia personale a norma del canone 518 per le celebrazioni secondo la forma più antica del rito romano, o nominare un cappellano, osservate le norme del diritto.

Art. 11.
La Pontificia Commissione « Ecclesia Dei », eretta da Giovanni Paolo II nel 1988 (5), continua ad esercitare il suo compito. Tale Commissione abbia la forma, i compiti e le norme, che il Romano Pontefice le vorrà attribuire.

Art. 12. La stessa Commissione, oltre alle facoltà di cui già gode, eserciterà l »autorità della Santa Sede vigilando sulla osservanza e l »applicazione di queste disposizioni.

Tutto ciò che da Noi è stato stabilito con questa Lettera Apostolica data a modo di Motu proprio, ordiniamo che sia considerato come « stabilito e decretato » e da osservare dal giorno 14 settembre di quest’anno, festa dell »Esaltazione della Santa Croce, nonostante tutto ciò che possa esservi in contrario.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 7 luglio 2007, anno terzo del nostro Pontificato.

Note:

(1) Ordinamento generale del Messale Romano, 3a ed., 2002, n. 397.
(2) Giovanni Paolo II, Lett. Ap. « Vicesimus quintus annus », 4 dicembre 1988, 3: AAS 81 (1989), 899.
(3) Ibid.
(4) San Pio X, Lett. Ap., Motu proprio data, « Abhinc duos annos », 23 ottobre 1913: AAS 5 (1913), 449-450; cfr. Giovanni Paolo II, Lett. Ap.
« Vicesimus quintus annus », n. 3: AAS 81 (1989), 899.
(5) Cfr Joannes Paulus II, Lett. ap.
Motu proprio data « Ecclesia Dei », 2 luglio 1988, 6: AAS 80 (1988), 1498. 

 

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Benedetto XVI: tutti i battezzati sono “missionari di Cristo”

dal sito: 

http://www.zenit.org/article-11371?l=italian

 

 

Benedetto XVI: tutti i battezzati sono “missionari di Cristo”

 

 Discorso introduttivo alla preghiera dell’Angelus 

 

CITTA’ DEL VATICANO, domenica, 8 luglio 2007 (ZENIT.org).- Pubblichiamo le parole pronunciate questa domenica da Benedetto XVI in occasione della preghiera mariana dell’Angelus, recitata con i fedeli ed i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro. 

* * * 

  

Cari fratelli e sorelle,

oggi il Vangelo (cfr Lc 10,1-12.17-20) presenta Gesù che invia settantadue discepoli nei villaggi dove sta per recarsi, affinché predispongano l’ambiente. E’ questa una particolarità dell’evangelista Luca, il quale sottolinea che la missione non è riservata ai dodici Apostoli, ma estesa anche ad altri discepoli. Infatti – dice Gesù – « la messe è molta, ma gli operai sono pochi » (Lc 10,2). C’è lavoro per tutti nel campo di Dio. Ma Cristo non si limita ad inviare: Egli dà anche ai missionari chiare e precise regole di comportamento.

Anzitutto li invia « a due a due », perché si aiutino a vicenda e diano testimonianza di amore fraterno. Li avverte che saranno « come agnelli in mezzo a lupi »: dovranno cioè essere pacifici nonostante tutto e recare in ogni situazione un messaggio di pace; non porteranno con sé né vestiti né denaro, per vivere di ciò che
la Provvidenza offrirà loro; si prenderanno cura dei malati, come segno della misericordia di Dio; dove saranno rifiutati, se ne andranno, limitandosi a mettere in guardia circa la responsabilità di respingere il Regno di Dio. San Luca mette in risalto l’entusiasmo dei discepoli per i buoni frutti della missione, e registra questa bella espressione di Gesù: « Non rallegratevi perché i demòni si sottomettono a voi: rallegratevi piuttosto che i vostri nomi sono scritti nei cieli » (Lc 10,20). Questo Vangelo risvegli in tutti i battezzati la consapevolezza di essere missionari di Cristo, chiamati a preparargli la strada con le parole e con la testimonianza della vita.

Domani partirò per Lorenzago di Cadore, dove sarò ospite del Vescovo di Treviso nella casa che già accolse il venerato Giovanni Paolo II. L’aria di montagna mi farà bene e potrò dedicarmi più liberamente alla riflessione e alla preghiera. Auguro a tutti, specialmente a chi ne sente maggiore bisogno, di poter fare un po’ di vacanza, per ritemprare le energie fisiche e spirituali e recuperare un salutare contatto con la natura. La montagna, in particolare, evoca l’ascesa dello spirito verso l’alto, l’elevazione verso la « misura alta » della nostra umanità, che purtroppo la vita quotidiana tende ad abbassare.

A questo proposito, voglio ricordare il quinto Pellegrinaggio dei giovani alla Croce dell’Adamello, dove il Santo Padre Giovanni Paolo II si recò due volte. Il pellegrinaggio si è svolto in questi giorni e poc’anzi è culminato nella Santa Messa celebrata a circa 3000 metri di quota. Nel salutare l’Arcivescovo di Trento e il Segretario Generale della CEI, come pure le autorità Trentine, rinnovo l’appuntamento a tutti i giovani italiani per i giorni 1 e 2 settembre a Loreto.

La Vergine Maria ci protegga sempre, sia nella missione che nel giusto riposo, perché possiamo svolgere il nostro impegno con gioia e con frutto nella vigna del Signore.

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buona notte e buona mattina

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« La fanciulla non è morta, ma dorme »

San Clemente di Roma, papa dal 90 al 100 circa
Lettera ai Corinzi, § 24-29

« La fanciulla non è morta, ma dorme »

Consideriamo, o carissimi, come il Signore ci mostri continui esempi della risurrezione futura, della quale ci ha dato una primizia in Gesù Cristo, risuscitandolo dai morti. Osserviamo la risurrezione che avviene nella legge del tempo. Il giorno e la notte ci fanno vedere la risurrezione. La notte si addormenta, il giorno risorge. Il giorno se ne va, la notte sopravviene. Prendiamo come esempio i frutti. Il seme cos’è, e come si genera ? Il seminatore è uscito e ha sparso sulla terra ciascuno dei semi. Questi, caduti per terra secchi e nudi, marciscono. Poi Dio grande e provvidente li fa risorgere dallo stesso disfacimento, e da un solo seme ne ricava molti, e li porta alla fruttificazione. Riterremo forse strano e sorprendente che il Creatore dell’universo faccia rivivere coloro che lo hanno servito con fedeltà e con la fiducia che dà una fede perfetta ?…

Le nostre anime stiano attaccate a lui con questa speranza, a lui che è fedele nella promessa e giusto nei giudizi. Colui che ha proibito di mentire, molto meno mentirà egli stesso. Niente infatti è impossibile a Dio, fuorché mentire. Facciamo dunque rivivere la nostra fede in lui e consideriamo come tutte le cose sono a lui congiunte.

Con una parola della sua maestà ha stabilito ogni cosa e con una sua parola può tutto distruggere… Le sue opere egli le farà tutte quando vorrà e come vorrà, e nulle cadrà di quanto egli ha stabilito. Tutto gli sta davanti e nulla sfugge alla sua volontà

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