Gustave Dorè, La Nuova Gerusalemme, …

dal sito:
http://www.30giorni.it/it/articolo.asp?id=13176
Il Papa dell’essenziale
del cardinale Jean-Louis Tauran
archivista e bibliotecario di Santa Romana Chiesa
Avendo avuto il privilegio di partecipare al conclave che elesse il cardinale Joseph Ratzinger alla sede di Pietro, ricordo il pensiero che mi occupava mentre aspettavo, nella fila dei cardinali, per fare obbedienza al nuovo Pontefice: «Tutta una vita, da Dio modellata, per giungere al supremo pontificato!».
Ciò che impressiona, in questo Papa, è il suo stile: un sorriso e uno sguardo pieni di bontà, illuminati dall’interiorità, dalla serenità di un cristiano consapevole di aver accettato una missione venuta dall’alto, e per la quale riceve le grazie necessarie. In Benedetto XVI non c’è alcuna pretesa: ha chiesto, sin dall’inizio del suo pontificato, le preghiere di tutto il popolo cristiano affinché Dio gli insegni «ad amare sempre di più il suo gregge», e ha augurato che «il Signore ci porti e impariamo a portarci gli uni gli altri». È un Papa che desidera che tutti scoprano che il cristianesimo è una buona notizia per il mondo quale è oggi: «Ognuno di noi è frutto di un pensiero di Dio […] ognuno di noi è amato, ognuno di noi è necessario».
Appare sempre di più come l’erede del grande papa Giovanni Paolo II, di cui fu il consigliere fedele e ascoltato; come lui, nella prima omelia del suo pontificato, ha gridato: «Non abbiate paura», e ha aggiunto: «Cristo non toglie nulla, e dona tutto».
La sua umiltà, la sua pietà, la sua attenzione alle persone sono completate da una visione precisa della sua missione. Il 20 aprile 2005, poche ore dopo l’elezione, nella Cappella Sistina, nel suo primo messaggio pubblico e solenne, espose in latino ai cardinali che lo avevano eletto i punti principali del suo programma: «Fedeltà al Concilio Vaticano II; collegialità; ecumenismo; dialogo con le diverse civiltà; servizio alla pace; attenzione ai giovani». Ma qualche giorno dopo, il 24 aprile, in occasione della messa dell’inizio solenne del suo ministero petrino, nell’omelia Benedetto XVI precisò: «Il mio vero programma di governo è quello di non fare la mia volontà, di non perseguire le mie idee, ma di mettermi in ascolto, con tutta quanta
la Chiesa, della parola e della volontà del Signore, e lasciarmi guidare da Lui, cosicché sia Egli stesso a guidare
la Chiesa, in questa ora della nostra storia». Direi che è stato fedele a questa visione.
Se Giovanni Paolo II ha dato un rilievo particolare all’immagine del papato, Benedetto XVI invita tutti a scoprire, ad approfondire la realtà della Chiesa come comunità di fede e di carità. E lo fa grazie al suo carisma personale di gran teologo. Egli dà priorità alla pedagogia della fede; ha voluto che il Catechismo della Chiesa cattolica fosse pubblicato in versione abbreviata per essere accessibile al grande pubblico. Ed è questo, forse, il punto fondamentale della sua azione: trasmettere in tutta la sua integrità il contenuto della fede, perché innanzitutto tutti i battezzati siano disposti a vivere in verità e in profondità la loro fede, e allo stesso tempo siano in grado di rendere ragione della speranza che è in loro (cfr. 1Pt 3, 15). Mi ricordo che qualche mese dopo l’inizio del pontificato fui fermato per strada da una donna semplice, che mi disse: «Padre, sa che questo Papa è formidabile? Egli dice delle cose molto profonde, ma noi capiamo tutto!». Penso che tale osservazione riassuma perfettamente il modo in cui Benedetto XVI svolge il suo ministero.
Conoscitore della cultura contemporanea, il nostro Papa ne valuta la fragilità e le contraddizioni e, come un padre, fa tutto il possibile per fornire ai figli riferimenti spirituali di cui hanno bisogno; propone al mondo di oggi motivi per vivere e per scegliere. Mentre molti sono vittime della frenesia di attività, di informazioni, che sono molto spesso ostacoli alla vita interiore, Benedetto XVI ci aiuta a ritornare alle fonti della fede, come ha fatto con la sua prima enciclica, Deus caritas est, e recentemente con l’esortazione apostolica postsinodale sull’Eucaristia.
In un certo senso si può dire che è il Papa della Tradizione, la tradizione intesa non come “conservare”, ma come “trasmettere” (dal latino tradere).
San Bernardo, consigliando un suo discepolo diventato papa (Eugenio III), gli diceva che
la Chiesa doveva vivere ante et retro oculata, cioè con uno sguardo rivolto al passato e uno sguardo rivolto al futuro. Ecco quanto il nostro Papa ci aiuta a fare, invitandoci sempre a guardare Cristo, a essere attenti a non snaturare la grande eredità della fede, a essere uomini e donne dell’essenziale, perché
la Chiesa sia veramente sacramento di salvezza per l’umanità e possa «rendere visibile il grande “sì” di Dio all’uomo e alla vita» (IV Convegno nazionale della Chiesa italiana, Verona, 19 ottobre 2006).
Voglia Iddio conservarlo ancora a lungo a capo della Chiesa, per guidarci tutti sulle ripide vie del nostro pellegrinaggio!
dal sito:
http://www.zenit.org/article-11365?l=italian
Lettera di Benedetto XVI per presentare il Motu proprio “Summorum Pontificum”
Cari Fratelli nell’Episcopato,
con grande fiducia e speranza metto nelle vostre mani di Pastori il testo di una nuova Lettera Apostolica « Motu Proprio data » sull’uso della liturgia romana anteriore alla riforma effettuata nel 1970. Il documento è frutto di lunghe riflessioni, di molteplici consultazioni e di preghiera. Notizie e giudizi fatti senza sufficiente informazione hanno creato non poca confusione. Ci sono reazioni molto divergenti tra loro che vanno da un’accettazione gioiosa ad un’opposizione dura, per un progetto il cui contenuto in realtà non era conosciuto. A questo documento si opponevano più direttamente due timori, che vorrei affrontare un po’ più da vicino in questa lettera.
In primo luogo, c’è il timore che qui venga intaccata l’Autorità del Concilio Vaticano II e che una delle sue decisioni essenziali – la riforma liturgica – venga messa in dubbio. Tale timore è infondato. Al riguardo bisogna innanzitutto dire che il Messale, pubblicato da Paolo VI e poi riedito in due ulteriori edizioni da Giovanni Paolo II, ovviamente è e rimane la forma normale – la forma ordinaria – della Liturgia Eucaristica. L’ultima stesura del Missale Romanum, anteriore al Concilio, che è stata pubblicata con l’autorità di Papa Giovanni XXIII nel 1962 e utilizzata durante il Concilio, potrà, invece, essere usata come forma extraordinaria della Celebrazione liturgica. Non è appropriato parlare di queste due stesure del Messale Romano come se fossero « due Riti ». Si tratta, piuttosto, di un uso duplice dell’unico e medesimo Rito.
Quanto all’uso del Messale del 1962, come forma extraordinaria della Liturgia della Messa, vorrei attirare l’attenzione sul fatto che questo Messale non fu mai giuridicamente abrogato e, di conseguenza, in linea di principio, restò sempre permesso. Al momento dell’introduzione del nuovo Messale, non è sembrato necessario di emanare norme proprie per l’uso possibile del Messale anteriore. Probabilmente si è supposto che si sarebbe trattato di pochi casi singoli che si sarebbero risolti, caso per caso, sul posto. Dopo, però, si è presto dimostrato che non pochi rimanevano fortemente legati a questo uso del Rito romano che, fin dall’infanzia, era per loro diventato familiare. Ciò avvenne, innanzitutto, nei Paesi in cui il movimento liturgico aveva donato a molte persone una cospicua formazione liturgica e una profonda, intima familiarità con la forma anteriore della Celebrazione liturgica.
Tutti sappiamo che, nel movimento guidato dall’Arcivescovo Lefebvre, la fedeltà al Messale antico divenne un contrassegno esterno; le ragioni di questa spaccatura, che qui nasceva, si trovavano però più in profondità. Molte persone, che accettavano chiaramente il carattere vincolante del Concilio Vaticano II e che erano fedeli al Papa e ai Vescovi, desideravano tuttavia anche ritrovare la forma, a loro cara, della sacra Liturgia; questo avvenne anzitutto perché in molti luoghi non si celebrava in modo fedele alle prescrizioni del nuovo Messale, ma esso addirittura veniva inteso come un’autorizzazione o perfino come un obbligo alla creatività, la quale portò spesso a deformazioni della Liturgia al limite del sopportabile. Parlo per esperienza, perché ho vissuto anch’io quel periodo con tutte le sue attese e confusioni. E ho visto quanto profondamente siano state ferite, dalle deformazioni arbitrarie della Liturgia, persone che erano totalmente radicate nella fede della Chiesa.
Papa Giovanni Paolo II si vide, perciò, obbligato a dare, con il Motu Proprio « Ecclesia Dei » del 2 luglio 1988, un quadro normativo per l’uso del Messale del 1962, che però non conteneva prescrizioni dettagliate, ma faceva appello, in modo più generale, alla generosità dei Vescovi verso le « giuste aspirazioni » di quei fedeli che richiedevano quest’uso del Rito romano. In quel momento il Papa voleva, così, aiutare soprattutto
la Fraternità San Pio X a ritrovare la piena unità con il Successore di Pietro, cercando di guarire una ferita sentita sempre più dolorosamente. Purtroppo questa riconciliazione finora non è riuscita; tuttavia una serie di comunità hanno utilizzato con gratitudine le possibilità di questo Motu Proprio. Difficile è rimasta, invece, la questione dell’uso del Messale del 1962 al di fuori di questi gruppi, per i quali mancavano precise norme giuridiche, anzitutto perché spesso i Vescovi, in questi casi, temevano che l’autorità del Concilio fosse messa in dubbio. Subito dopo il Concilio Vaticano II si poteva supporre che la richiesta dell’uso del Messale del 1962 si limitasse alla generazione più anziana che era cresciuta con esso, ma nel frattempo è emerso chiaramente che anche giovani persone scoprono questa forma liturgica, si sentono attirate da essa e vi trovano una forma, particolarmente appropriata per loro, di incontro con il Mistero della Santissima Eucaristia. Così è sorto un bisogno di un regolamento giuridico più chiaro che, al tempo del Motu Proprio del 1988, non era prevedibile; queste Norme intendono anche liberare i Vescovi dal dover sempre di nuovo valutare come sia da rispondere alle diverse situazioni.
In secondo luogo, nelle discussioni sull’atteso Motu Proprio, venne espresso il timore che una più ampia possibilità dell’uso del Messale del 1962 avrebbe portato a disordini o addirittura a spaccature nelle comunità parrocchiali. Anche questo timore non mi sembra realmente fondato. L’uso del Messale antico presuppone una certa misura di formazione liturgica e un accesso alla lingua latina; sia l’una che l’altra non si trovano tanto di frequente. Già da questi presupposti concreti si vede chiaramente che il nuovo Messale rimarrà, certamente, la forma ordinaria del Rito Romano, non soltanto a causa della normativa giuridica, ma anche della reale situazione in cui si trovano le comunità di fedeli.
È vero che non mancano esagerazioni e qualche volta aspetti sociali indebitamente vincolati all’attitudine di fedeli legati all’antica tradizione liturgica latina. La vostra carità e prudenza pastorale sarà stimolo e guida per un perfezionamento. Del resto le due forme dell’uso del Rito Romano possono arricchirsi a vicenda: nel Messale antico potranno e dovranno essere inseriti nuovi santi e alcuni dei nuovi prefazi.
La Commissione « Ecclesia Dei » in contatto con i diversi enti dedicati all’ « usus antiquior » studierà le possibilità pratiche. Nella celebrazione della Messa secondo il Messale di Paolo VI potrà manifestarsi, in maniera più forte di quanto non lo è spesso finora, quella sacralità che attrae molti all’antico uso. La garanzia più sicura che il Messale di Paolo VI possa unire le comunità parrocchiali e venga da loro amato consiste nel celebrare con grande riverenza in conformità alle prescrizioni; ciò rende visibile la ricchezza spirituale e la profondità teologica di questo Messale.
Sono giunto, così, a quella ragione positiva che mi ha motivato ad aggiornare mediante questo Motu Proprio quello del 1988. Si tratta di giungere ad una riconciliazione interna nel seno della Chiesa. Guardando al passato, alle divisioni che nel corso dei secoli hanno lacerato il Corpo di Cristo, si ha continuamente l’impressione che, in momenti critici in cui la divisione stava nascendo, non è stato fatto il sufficiente da parte dei responsabili della Chiesa per conservare o conquistare la riconciliazione e l’unità; si ha l’impressione che le omissioni nella Chiesa abbiano avuto una loro parte di colpa nel fatto che queste divisioni si siano potute consolidare. Questo sguardo al passato oggi ci impone un obbligo: fare tutti gli sforzi, affinché a tutti quelli che hanno veramente il desiderio dell’unità, sia reso possibile di restare in quest’unità o di ritrovarla nuovamente. Mi viene in mente una frase della Seconda Lettera ai Corinzi, dove Paolo scrive: « La nostra bocca vi ha parlato francamente, Corinzi, e il nostro cuore si è tutto aperto per voi. Non siete davvero allo stretto in noi; è nei vostri cuori invece che siete allo stretto… Rendeteci il contraccambio, aprite anche voi il vostro cuore! » (2 Cor 6,11–13). Paolo lo dice certo in un altro contesto, ma il suo invito può e deve toccare anche noi, proprio in questo tema. Apriamo generosamente il nostro cuore e lasciamo entrare tutto ciò a cui la fede stessa offre spazio.
Non c’è nessuna contraddizione tra l’una e l’altra edizione del Missale Romanum. Nella storia della Liturgia c’è crescita e progresso, ma nessuna rottura. Ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso. Ci fa bene a tutti conservare le ricchezze che sono cresciute nella fede e nella preghiera della Chiesa, e di dar loro il giusto posto. Ovviamente per vivere la piena comunione anche i sacerdoti delle Comunità aderenti all’uso antico non possono, in linea di principio, escludere la celebrazione secondo i libri nuovi. Non sarebbe infatti coerente con il riconoscimento del valore e della santità del nuovo rito l’esclusione totale dello stesso.
In conclusione, cari Confratelli, mi sta a cuore sottolineare che queste nuove norme non diminuiscono in nessun modo la vostra autorità e responsabilità, né sulla liturgia né sulla pastorale dei vostri fedeli. Ogni Vescovo, infatti, è il moderatore della liturgia nella propria diocesi (cfr. Sacrosanctum Concilium, n. 22: « Sacrae Liturgiae moderatio ab Ecclesiae auctoritate unice pendet quae quidem est apud Apostolicam Sedem et, ad normam iuris, apud Episcopum »).
Nulla si toglie quindi all’autorità del Vescovo il cui ruolo, comunque, rimarrà quello di vigilare affinché tutto si svolga in pace e serenità. Se dovesse nascere qualche problema che il parroco non possa risolvere, l’Ordinario locale potrà sempre intervenire, in piena armonia, però, con quanto stabilito dalle nuove norme del Motu Proprio. Inoltre, vi invito, cari Confratelli, a scrivere alla Santa Sede un resoconto sulle vostre esperienze, tre anni dopo l’entrata in vigore di questo Motu Proprio. Se veramente fossero venute alla luce serie difficoltà, potranno essere cercate vie per trovare rimedio.
Cari Fratelli, con animo grato e fiducioso, affido al vostro cuore di Pastori queste pagine e le norme del Motu Proprio. Siamo sempre memori delle parole dell’Apostolo Paolo dirette ai presbiteri di Efeso: « Vegliate su voi stessi e su tutto il gregge, in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha posti come Vescovi a pascere
la Chiesa di Dio, che egli si è acquistata con il suo sangue » (Atti 20,28).
Affido alla potente intercessione di Maria, Madre della Chiesa, queste nuove norme e di cuore imparto la mia Benedizione Apostolica a Voi, cari Confratelli, ai parroci delle vostre diocesi, e a tutti i sacerdoti, vostri collaboratori, come anche a tutti i vostri fedeli.
Dato presso San Pietro, il 7 luglio 2007
BENEDICTUS PP. XVI
dal sito:
http://www.korazym.org/news1.asp?Id=24040
Lorenzago di Cadore, un paese che aspetta il papa
di Mattia Bianchi/ 06/07/2007
Ultimi preparativi nella frazione ai piedi delle Dolomiti che ospiterà Benedetto XVI per le vacanze estive, fino al 27 luglio. Giornate di riposo e appuntamenti pubblici centellinati, con gli Angelus domenicali.
Diciotto giorni di assoluto riposo, spezzati solo dalla recita dell’Angelus domenicale. È ormai tutto pronto a Lorenzago di Cadore, la frazione in provincia di Belluno, ai piedi delle Dolomiti, dove il papa trascorrerà le sue vacanze estive. Arrivo previsto lunedì 9, con rientro a Castel Gandolgo nel pomeriggio del 27 luglio. Benedetto XVI alloggerà in una casa di soggiorno alpino appena restaurata, di proprietà della diocesi di Treviso: una villetta in mezzo al bosco, con un ampio giardino e diversi sentieri. Al piano terra ci sono l’ingresso, un salottino, la cucina, la sala da pranzo, alcune stanze, mentre al secondo piano, raggiungibile con due rampe di scalini, cinque camere con i bagni, uno studio e una cappella privata. Oltre al papa, vi risiederanno il segretario, l’assistente e due consacrate. Il resto del personale, gendarmeria compresa, prenderà posto in un maniero vicino, che ha visto nel passato la presenza, fra gli altri, del poeta Giosué Carducci e del generale Luigi Cadorna. Dalle finestre della villetta, si può godere di un ampio panorama sulle Dolomiti, dalle Marmarole al Cridola, al Tudaio, vette ancora spruzzate di neve.
Quello di Benedetto XVI sarà un soggiorno di riposo, a differenza di quanto accadeva con Giovanni Paolo II (per sei volte a Lorenzago), amante delle escursioni e delle lunghe camminate. Le uscite pubbliche del papa, invece, saranno centellinate e avverranno solo in occasione della recita dell’Angelus del 15 e del 22 luglio: il primo, in diretta televisiva, dal piazzale del Castello Mirabello; il secondo, in piazza Calvi a Lorenzago, con la partecipazione di 4 mila fra bellunesi e villeggianti. Tuttavia, è probabile che il pontefice possa incontrare i sacerdoti di Treviso e Belluno in una chiesa della valle, mentre in parrocchia la speranza è che l’ospite possa partecipare al concerto di organo, in programma l’11 luglio.
Quanto al resto, in paese si stanno mettendo a punto gli ultimi dettagli della logistica. La residenza del papa, è stata circondata, per un perimetro di oltre 500 metri, da una rete metallica alta più di due metri, con un presidio costante delle forze dell’ordine. Posti di blocco saranno attivati all’inizio delle due strade comunali di accesso, a circa un’ora a piedi dalla tenuta Mirabello. Intanto, il paese di Lorenzago è gia’ addobbato con le bandiere dei colori del Vaticano e con i tricolori. Alle finestre delle case compaiono gerani bianchi e gialli, ma anche rossi. Centinaia di manifesti di benvenuto sono stati distribuiti dal Comune, con il benvenuto al pontefice. »Tutte le campane delle nostre chiese suoneranno a festa: – ha detto il il vescovo di Belluno, mons. Giuseppe Andrich - il suono a distesa sara’ un segno dell’accoglienza festosa che riserveremo al papa ».
Bandiere e manifesti anche negli altri centri del Cadore, a cominciare da Vigo, dove alcuni volontari suoneranno ogni sera, all’ora dell’Ave Maria, le campane a mano, per un quarto d’ora. “Sarà il nostro omaggio quotidiano a papa Benedetto, perché le campane di Vigo sono le uniche che il pontefice potrà sentire, considerata la posizione della sua casa”.
Stachys grandiflora
http://www.stauder.net/Faktablad%20Stauder/Faktablad%20Stachys%20grandiflora.htm
Sant’Agostino (354-430), vescovo d’Ippona (Africa del Nord) e dottore della Chiesa
Discorso 210
« Allora digiuneranno »
« Verranno i giorni in cui lo sposo sarà loro tolto e allora digiuneranno ». Quindi poiché lo sposo ora ci è stato tolto, certo noi, amici di quel bello sposo, dobbiamo essere afflitti. Infatti « il più bello d’aspetto tra i figli dell’uomo, sulle cui labbra era diffusa la grazia »(Sal 44,3), tra le mani dei persecutori non ebbe né grazia né bellezza e la sua vita fu tolta dalla terra (Is 53,28). E il nostro pianto è sincero se siamo accesi d’amore verso di lui. Fortunati coloro ai quali fu concesso di averlo davanti a loro prima della sua passione, di interrogarlo su ciò che volevano, di ascoltare quanto dovevano da lui ascoltare… In noi invece si è adempiuto quanto ugualmente Gesù disse: « Verrà un tempo in cui desidererete vedere uno solo di questi giorni e non potrete vederlo » (Lc 17,22)…
Chi non dice con il profeta: « Le mie lacrime sono il mio pane giorno e notte mentre mi dicono sempre: dov’è il tuo Dio? » (Sal 41,4)? Noi crediamo infatti in lui che è già glorioso alla destra del Padre; tuttavia finché viviamo in questo corpo siamo pellegrini lungi da lui (2 Cor 15,6) e non possiamo mostrarlo a quelli che dubitano di lui o lo negano e dicono: « Dov’è il tuo Dio? »…
« Un poco – disse Gesù – e non mi vedrete un poco ancora e mi vedrete » (Gv 16,19). Questo è il momento di cui ci disse. Voi sarete nell’afflizione mentre il mondo godrà… Ma io vi vedrò di nuovo – aggiunse – e ne gioirà il vostro cuore e nessuno vi potrà togliere la vostra gioia » (16,20). Godiamo anche ora in questa speranza, nonostante tutto – poiché è fedelissimo chi ce lo ha promesso – nell’attesa di quella sovrabbondante gioia, quando saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è (1 Gv 3,2)… E « la donna quando partorisce – dice il Signore – è nel dolore perché è giunta la sua ora; ma quando ha partorito si fa grande festa perché è venuto al mondo un uomo » (Gv 16,21). Questa sarà la gioia che nessuno potrà toglierci. Con questa gioia saremo immersi, dalla vita presente nella quale dobbiamo concepire la fede, alla luce eterna. Ora dunque digiuniamo e preghiamo, perché è il tempo del parto