Archive pour le 6 juillet, 2007

Santa Maria Goretti, oggi mf

Santa Maria Goretti, oggi mf dans immagini sacre Goretti_13-07-02b

Ministero delle Comunicazioni

http://www.comunicazioni.it/it/index.php?m=&Way=1&IdPag=427

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La «perfida» crociata inglese contro la messa di Ratzinger

ho presentato questo articolo sul Blog francese, ma credo che non sia necessario per questo italiano dato il conosciutissimo autore, dal sito:

http://www.nostreradici.it/motuproprio-Tornielli.htm

La «perfida» crociata inglese contro la messa di Ratzinger
Andrea Tornielli, Il Giornale, 5 luglio 2007
 

Il Motu proprio di Benedetto XVI che liberalizzerà il messale tridentino nell’ultima versione approvata prima del Concilio sarà pubblicato sabato prossimo e permetterà a un «gruppo stabile» di fedeli (senza specificarne il numero) di richiedere la celebrazione secondo l’antico rito – mai ufficialmente abolito – direttamente al sacerdote responsabile della comunità parrocchiale. Ma già prima che il testo sia conosciuto nei dettagli arrivano le critiche. Voci contrarie, come riferisce l’Independent, si levano in questi giorni da parte di cattolici del Regno Unito, che temono ripercussioni nel dialogo con la comunità ebraica dal ripristino di una liturgia che definiva «perfidis» i giudei. In realtà Papa Ratzinger liberalizzerà il messale tridentino promulgato da Giovanni XXIII nel 1962, cioè dopo che la famosa preghiera «pro perfidis judaeis» venne abolita e non si ritrovava più nella liturgia del Venerdì Santo. Quell’espressione, dunque, non ci sarà né riecheggerà più nelle chiese cattoliche durante il secondo rito del suggestivo Triduo pasquale.

Il termine «perfidi» nel latino liturgico aveva originariamente il significato di «privo di fede», «miscredente», riferito a coloro che non volevano accettare la fede cristiana. Con l’introduzione dei messalini in lingua volgare, il «perfidi» latino si era trasformato nell’omonimo italiano. Lo stesso era avvenuto nelle altre lingue del mondo. Da una constatazione, il fatto che gli ebrei non credono in Cristo, si era dunque passati, soprattutto con le traduzioni, a una condanna morale. Subito dopo la fine della Seconda guerra mondiale, era stato l’ex rabbino capo di Roma Israel Eugenio Zolli, che convertitosi al cristianesimo aveva assunto il nome di battesimo di Pio XII, a chiedere al Papa di cancellare l’espressione. Pacelli rispose che il significato della parola latina non conteneva un giudizio morale, ma soltanto la constatazione che i giudei rifiutavano la fede cristiana. Ma rendendosi conto del problema, fece fare una pubblica precisazione sull’argomento dalla Sacra Congregazione dei Riti, resa nota il 10 giugno 1948, nella quale si spiegava che i «perfidis judaeis» erano soltanto i giudei «infedeli» e non perfidi. L’espressione sarà abolita in modo definitivo da Giovanni XXIII nel 1959.

Nel messale tridentino che viene ora liberalizzato, dunque, non ci sono riferimenti ad alcuna «perfidia». Rimane invece la preghiera affinché Dio sollevi il «velo che copre i cuori» degli ebrei «ed essi riconoscano Nostro Signore Gesù Cristo»: e il fatto che si preghi perché credano conferma che il significato dell’abolito «perfidi» era proprio quello di «privi di fede».

Ad alimentare qualche iniziale confusione potrebbero contribuire i vecchi messalini per i fedeli. È di ieri la notizia che un gruppo tradizionalista di Verona ha appena pubblicato il testo più vecchio riportando a parte anche tutte le modifiche introdotte fino al 1962. Vi si ritrova dunque anche la liturgia del Venerdì Santo contenente l’antica versione della preghiera per gli ebrei, che però non si potrà utilizzare. I promotori del volume, intitolato « Messale Festivo Tradizionale Latino e Italiano» (Editrice Fede & Cultura), affermano di aver reso disponibili le due versioni «per motivi storici, per far comprendere l’evoluzione del testo». I lefebvriani della Fraternità San Pio X hanno invece stampato un messalino con l’unico testo promulgato da Giovanni XXIII senza le preghiere contestate e abrogate.

La «perfida» crociata inglese contro la messa di Ratzinger dans Approfondimenti messatridentina-007

l’immagine che il sito ha messo per questo articolo

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Commemorazione in Vaticano dei protomartiri romani

dal sito:

http://www.zenit.org/article-11351?l=italian

Commemorazione in Vaticano dei protomartiri romani

 

 CITTA’ DEL VATICANO, giovedì, 5 luglio 2007 (ZENIT.org).- Anche quest’anno, sabato 30 giugno,
la Pontificia Accademia Culturom Martyrum ha organizzato in Vaticano la commemorazione dei santi protomartiri della Chiesa romana, con una celebrazione eucaristica e una processione con il Santissimo.

La tradizionale cerimonia si è tenuta nella Piazza dei Protomartiri Romani all’interno della Città del Vaticano, che sicure fonti storiche indicano come il circo ideato da Caio Caligola, successivamene detto “neroniano”, al cui centro è ubicata Santa Maria in Camposanto Teutonico, l’antica schola francorum fondata da Carlo Magno.

Il Collegium Cultorum Martyrum fu fondato il 2 febbraio 1879 da M. Armellini, A. Hytreck, O. Marucchi ed E. Stevenson, insigni studiosi di antichità sacra, con lo scopo di promuovere il culto dei santi martiri e di incrementare e approfondire l’esatta storia dei testimoni della fede e dei monumenti ad essi collegati, fin dai primi secoli del cristianesimo.
Già nel 1904, il Collegium Cultorum Martyrum, divenuto sotto Giovanni Paolo II una Pontificia Accademia, iniziò a venerare liturgicamente i protomartiri romani che l’imperatore Nerone fece perseguitare e suppliziare ferocemente, con l’accusa di aver appiccato l’incendio a Roma nel luglio 64.

A eterna memoria di questa persecuzione, una lapide posta a ridosso del muro esterno di Santa Maria in Camposanto Teutonico ricorda che “questo suolo già villa e circo di Nerone oggi faro di luce nel mondo conquistarono con il sangue Duce l’Apostolo Pietro i primi martiri romani ascesi di qui moltitudine ingente per offrire a Cristo le palme del nuovo trionfo”.

Il rito è iniziato con la concelebrazione eucaristica, presieduta dall’Arcivescovo Angelo Comastri, Vicario Generale di Sua Santità per
la Città del Vaticano.

Terminata
la Santa Messa l’Arcivescovo, assistito da monsignor Pasquale Iacobone, Sacerdos della Pontificia Accademia, ha iniziato la processione con il SS. Sacramento che si è conclusa con la benedizione.

La Banda Pontificia ha curato l’esecuzione dei brani musicali, mentre quelli canori sono stati proposti dalla Corale di Sant’Anna diretta da don Gaetano Civitillo. 

 

 

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Cos’è “il Regno di Dio” tra noi? Risponde il predicatore del Papa

dal sito:

http://www.zenit.org/article-11352?l=italian

 

 

Cos’è “il Regno di Dio” tra noi? Risponde il predicatore del Papa

 Commento di padre Cantalamessa alla liturgia di domenica prossima 

 

ROMA, venerdì, 6 luglio 2007 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il commento di padre Raniero Cantalamessa, OFM Cap. – predicatore della Casa Pontificia – alla liturgia di domenica prossima.


XIV Domenica del Tempo Ordinario (C)
Isaia 66, 10-14c; Galati 6, 14-18; Luca 10, 1-12.17-20

“E’ VICINO A VOI IL REGNO DI DIO”

Anche questa volta commentiamo il vangelo con l’aiuto del libro di Papa Benedetto XVI su Gesú. Prima però vorrei fare un’osservazione di carattere generale. La critica mossa al libro del Papa da alcune parti è di attenersi a ciò che dicono i vangeli senza tener conto dei risultati della ricerca storica moderna che porterebbe, secondo loro, a conclusioni molto diverse. Si tratta di un’idea molto diffusa che sta alimentando tutta una letteratura tipo Il codice da Vinci di Dan Brown, e opere di divulgazione storica basate sul medesimo presupposto.

Credo sia urgente mettere in luce un fondamentale equivoco presente in tutto ciò. L’idea di una ricerca storica su Gesú unitaria, rettilinea che procede inarrestabile verso una piena luce su di lui è un puro mito che si tenta di far credere alla gente, ma in cui nessuno storico serio oggi crede più. Cito una delle più note rappresentanti della ricerca storica su Gesú, l’americana Paula Fredriksen: « I libri, scrive, si moltiplicano. Nella ricerca scientifica recente Gesú è stato presentato come una figura di sciamano del primo secolo, come un itinerante filosofo cinico, come un visionario radicale e un riformatore sociale che predica una etica egualitaria a favore degli ultimi, come un regionalista galileo che lotta contro le convenzioni religiose dell’elite della Giudea (il tempio e
la Torah), come un campione della liberazione nazionale, o, al contrario, come suo oppositore e critico, e via di questo passo. Tutte queste figure sono state presentate con vigorosi argomenti e metodi accademici, tutte sono difese appellandosi a dati antichi. I dibattiti continuano briglia sciolta e il consenso –anche su punti essenziali quali i criteri in base ai quali procedere – appare una remota speranza » (1).

Spesso si fa appello ai nuovi dati e alle scoperte recenti che avrebbero finalmente messo la ricerca storica in una posizione di vantaggio rispetto al passato. Ma quanto aperte siano le conseguenze da tirare da queste nuove fonti storiche, appare dal fatto che esse hanno dato luogo a due immagini di Cristo opposte e inconciliabili tra loro, tuttora presenti sul campo. Da una parte un Gesú « in tutto e per tutto ebreo »; dall’altra un Gesú figlio della Galilea ellenizzata del suo tempo, imbevuto di filosofia cinica.

Alla luce di questo dato di fatto, mi domando: cosa avrebbe dovuto fare il Papa: scrivere un’ennesima ricostruzione storica in cui discutere e controbattere tutte le obiezioni contrarie? Quello che il Papa ha scelto di fare è stato di presentare in positivo la figura e l’insegnamento di Gesú come inteso dalla Chiesa, partendo dalla convinzione che il Cristo dei vangeli è, anche dal punto di vista storico la figura più credibile e sicura.

Dopo questa dilucidazione, veniamo al vangelo di questa Domenica. Si tratta dell’episodio dell’invio in missione dei 72 discepoli. Dove aver detto ad essi come devono andare (a due a due, come agnelli, senza portare denaro…), Gesú spiega loro anche cosa devono dire: « Dite loro: È vicino a voi il regno di Dio ».

Si sa che la frase « È giunto in mezzo a voi il regno di Dio » occupa il cuore della predicazione di Gesú ed la premessa implicita di ogni suo insegnamento. Il regno di Dio è giunto in mezzo a voi, perciò amate i vostri nemici; « il regno di Dio è giunto in mezzo a voi », perciò se la tua mano ti scandalizza tagliala: è meglio entrare monco nel regno di Dio che con tutte e due le mani rimanerne fuori…Tutto prende senso dal regno.

Si è sempre discusso su che cosa precisamente intendeva Gesú con l’espressione « regno di Dio ». Per alcuni esso sarebbe un regno puramente interiore consistente in una vita conforme alla legge di Dio; per altri sarebbe, al contrario, un regno sociale e politico da realizzare dall’uomo, se necessario anche con la lotta e la rivoluzione. Il Papa passa in rassegna queste varie interpretazioni del passato e fa notare ciò che esse hanno in comune: il centro dell’interesse si sposta da Dio all’uomo; non si tratta più di un regno di Dio, ma di un regno dell’uomo, di cui l’uomo è l’artefice principale. Questa è un’idea di regno compatibile, al limite, anche con l’ateismo.

Nella predicazione di Gesú la venuta del regno di Dio indica che, inviando nel mondo il suo Figlio, Dio ha deciso per così dire di prendere in mano di persona le sorti del mondo, di compromettersi con esso, di agire dal suo interno. È più facile intuire cosa significa regno di Dio che spiegarlo, perché è una realtà che sorpassa ogni spiegazione.

È ancora molto diffusa l’idea che Gesú aspettasse una fine imminente del mondo e che quindi il regno di Dio da lui predicato non si realizzasse in questo mondo, ma in quello che noi chiamiamo « l’aldilà ». I vangeli contengono, in effetti, alcune affermazioni che si prestano a questa interpretazione. Ma essa non regge, se si guarda all’insieme delle parole di Cristo. « L’insegnamento di Gesú non è un’etica per coloro che attendono una rapida fine del mondo, ma per coloro che hanno sperimentato la fine di questo mondo e l’avvento in esso del regno di Dio: per coloro che sanno che ‘le cose vecchie sono passate’ e il mondo è diventato una ‘nuova creazione’, poiché Dio vi è sceso come re » (Ch. Dodd). In altre parole, Gesú non ha annunciato la fine del mondo, ma la fine di un mondo, e in ciò i fatti non l’hanno smentito.

Ma anche Giovanni Battista predicava questo cambiamento, parlando di un imminente giudizio di Dio. Dove sta dunque la novità di Cristo? La novità è racchiusa tutta in un avverbio di tempo: « ora », « adesso ». Con Gesú il regno di Dio non è più una cosa soltanto « imminente », ma presente. « L’aspetto nuovo ed esclusivo del messaggio di Gesú, scrive il Papa, consiste nel fatto che egli ci dice: Dio agisce adesso – è questa l’ora in cui Dio, in un modo che va oltre ogni precedente modalità, si rivela nella storia come il suo stesso Signore, come il Dio vivente ».

Da qui scaturisce quel senso di urgenza che traspare da tutte le parabole di Gesú, specialmente le cosiddette « parabole del regno. « È scoccata l’ora decisiva della storia, ora è il momento di prendere la decisione che salva; il banchetto è pronto: rifiutarsi di entrare perché si è appena preso moglie o comprato un paio di buoi o per altro motivo, significa esserne esclusi per sempre e vedere il proprio posto preso da altri.

Da quest’ultima riflessione partiamo per una applicazione pratica e attuale del messaggio ascoltato. Quello che Gesú diceva ai suoi contemporanei vale anche per noi oggi. Quell’ »ora » e « oggi » durerà immutato fino alla fine del mondo (Ebr 3,13). Questo significa che la persona che ascolta oggi, magari per caso, la parola di Cristo: « Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo » (Mc 1,15) si trova davanti alla stessa scelta di coloro che l’ascoltavano duemila anni fa in un villaggio della Galilea: o credere ed entrare nel regno, o rifiutare di credere e rimanerne fuori.

Purtroppo, quella di credere sembra invece l’ultima delle preoccupazioni per molti che leggono oggi il vangelo o scrivono libri su di esso. Anziché sottomettersi al giudizio di Cristo, molti si ergono a suoi giudici. Gesú è più che mai sotto processo. Si tratta di una specie di « giudizio universale » alla rovescia. Soprattutto gli studiosi corrono questo pericolo. Lo studioso deve « dominare » l’oggetto della scienza che coltiva e rimanere neutrale di fronte ad esso; ma come si fa a « dominare » o rimanere neutrali di fronte all’oggetto, quando esso è Gesú Cristo? In questo caso più che « dominare » conta « lasciarsi dominare ».

Il regno di Dio era tanto importante per Gesú che ci ha insegnato a pregare ogni giorno per la sua venuta. Noi ci rivolgiamo a Dio dicendo: « Venga il tuo regno », ma anche Dio si rivolge a noi e dice per bocca di Gesù: « Il regno di Dio è venuto in mezzo a voi: non aspettate, entratevi! »

(1) [Testo originale inglese]: “In recent scholarship, Jesus has been imagined and presented as a type of first-century shaman figure; as a Cynic-sort of wandering wise man; as a visionary radical and social reformer preaching egalitarian ethics to the destitute; as a Galilean regionalist alienated from the elitism of Judean religious conventions (like Temple and Torah); as a champion of national liberation and, on the contrary, as its opponent and critic — on and on. All these figures are presented with rigorous academic argument and methodology; all are defended with appeals to the ancient data. Debate continues at a roiling pitch, and consensus — even on issues so basic as what constitutes evidence and how to construe it — seems a distant hope”. 

 

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