“La Chiesa preferisce che l’altare sia fisso”

dal sito: 

http://www.zenit.org/article-9289?l=italian


La Chiesa preferisce che l’altare sia fisso” 

Intervista a padre Félix María Arocena, docente di Teologia liturgica 

PAMPLONA, giovedì, 3 maggio 2007 (ZENIT.org).- L’altare cristiano ha un alto valore simbolico, tanto che
la Chiesa preferisce che non sia un oggetto mobile ma fisso.

È questa una delle idee raccolte dal padre Félix María ArocenaSolano nel suo libro “El altar cristiano”, edito dalla “Biblioteca Litúrgica” del Centro de Pastoral Liturgica (Barcellona), che, in questa intervista concessa a ZENIT, spiega anche cosa significhi per il cristiano essere “altare” di Dio.

Il professor Arocena (San Sebastián, 1954) è presbitero della Prelatura dell’Opus Dei sin dal 1981 ed è laureato in Teologia e in Diritto canonico. Attualmente è professore di Teologia liturgica presso
la Facoltà di Teologia di Navarra.

Padre Arocena Solano collabora inoltre con il Segretariato nazionale di liturgia della Conferenza episcopale spagnola.

A suo avviso, Benedetto XVI dedica una attenzione particolare all’altare rispetto ai suoi predecessori?

P. Arocena: Vi è una sostanziale univocità tra i Padri, per quanto riguarda la concezione dell’altare, nella liturgia cristiana, come segno di Cristo. “L’altare è Cristo”, affermano.

Tutti i Vescovi di Roma sono stati sensibili a questa teologia. Tanto Benedetto XVI, quanto i suoi predecessori, hanno fatto “parlare” l’altare per mezzo della loro ars celebrandi.

L’altare cristiano può essere mobile?

P. Arocena: I secoli XVIII e XIX sono, da un certo punto di vista, i secoli delle missioni e delle esigenze pratiche dei missionari, che durante i loro viaggi si vedevano costretti a celebrare il santo Sacrificio su piccoli altari portatili.

L’altare cristiano può essere mobile; in questo caso, l’altare non è dedicato, è benedetto. La supplica della benedizione dell’altare mobile è particolarmente bella, con una teologia di fondo di grande densità dottrinale.

Tuttavia, considerata la sua enorme carica emblematica,
la Chiesa preferisce che l’altare sia fisso.

Bisogna mettere in evidenza che l’intera vita liturgica della Chiesa ruota intorno al mistero dell’altare. L’altare cristiano è un mistero. Il poeta cristiano di origini spagnole Aurelius Prudentius Clemens diceva che l’altare è il tavolo che ci dona il sacramento (mensa donatrix sacramenti).

Cristo è il centro dell’azione della Chiesa; l’altare, segno di Cristo, è il centro dell’edificio della chiesa.

La centralità dell’altare nell’insieme dello spazio liturgico non è teologicamente un punto di arrivo, ma il punto di partenza.

La centralità dell’altare, rispetto all’edificio del culto, riflette la centralità di Cristo rispetto all’assemblea liturgica, al mondo e alla storia.

Nelle cattedrali, questo carattere centrale dell’altare si apprezzava nella sua localizzazione: è stato tradizionalmente collocato nel presbiterio, all’incrocio tra il transetto e la navata.

Come deve essere coordinato l’altare con l’ambone e la sede?

P. Arocena: Il Catechismo della Chiesa cattolica contiene una bella teologia simbolica e mistica che invita ad una maggiore comprensione di ciascuno dei poli della celebrazione: altare, sede, ambone.

Ciascuno di questi luoghi rappresenta un’icona dello spazio, immagine viva di Cristo che si esprime attraverso il linguaggio dello spazio e delle relazioni simboliche che tali spazi occupano.

Nella celebrazione, Cristo è re nella sede, sacerdote nell’altare e profeta nell’ambone.

Sono le tre funzioni di Cristo (tria Christi munera) che postulano un progetto iconografico comune, coerente con questa teologia e che ad essa si ispiri.

A causa del suo profondo simbolismo cristologico, sarebbe scarsamente espressivo un altare, ad esempio, fatto di legno, un ambone di metallo e una sede di marmo.

Cosa significa per il cristiano essere “altare” di Dio?

P. Arocena: Il conoscitore del pensiero simbolico-sacramentale dell’antichità cristiana non rimarrà sorpreso nel sapere che la visione luminosa del cristiano come altare di Dio rappresenta una realtà che fonda le sue radici nella migliore letteratura patristica.

Vi è una predica di Pietro Crisologo in cui dice: “Fa’ del tuo cuore un altare (altare cor tuum pone)”. La liturgia non si esaurisce infatti con le celebrazioni. L’apertura esistenziale della liturgia si estende a una prospettiva ampia del culto esistenziale.

Così come Cristo, il capo, si fa altare del proprio sacrificio, così i battezzati, sue membra, si fanno altari viventi del suo sacrificio esistenziale. Ogni cristiano è, con parole di san Josemaría Escrivá, sacerdote della sua propria esistenza.

L’altare della chiesa e l’altare del cuore sono tra loro strettamente relazionati. Il primo è il cuore del santuario; il secondo è la realtà più profonda della persona, il santuario interiore.

L’altare della chiesa e l’altare del cuore si completano reciprocamente e, in un modo misterioso, formano un’unica cosa.

L’altare vero e perfetto dove si offre il sacrificio di Cristo è l’unità vivente di entrambi, perché la vita cristiana è una sorta di sistole celebrativa e diastole esistenziale che ingloba l’intera vita del battezzato.

Su questo altare vivo, rappresentato dal cuore, il cristiano offre “sacrifici spirituali graditi a Dio per mezzo di Gesù Cristo”. Offre il suo corpo “come ostia viva, santa e gradita a Dio”.

È il culto spirituale dei cristiani che, concludendo la celebrazione eucaristica, sentono dire al celebrante che a loro si rivolge: “Glorificate Dio con la vostra vita. Andate in pace”. Dopo il sacrificio eucaristico, il sacrificio spirituale. Dopo la liturgia, la latreia.

Inizia per i cristiani – se così si può dire – “l’altra liturgia”, la dimensione cultuale propria della vita di coloro che appartengono a Cristo: una vita espressa sempre in termini di liturgia del sacrificio, di alleanza, di mediazione, di espiazione… 

 

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