Archive pour le 2 juillet, 2007

buona notte

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July 02, 2007 : Aloe ferox

http://www.ubcbotanicalgarden.org/potd/2007/07/aloe_ferox.php#002186

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« Mio Signore e mio Dio »

Papa Benedetto XVI
Udienza generale del 27/09/06 © copyright Libreria Editrice Vaticana

« Mio Signore e mio Dio »

Notissima e persino proverbiale è la scena di Tommaso incredulo, avvenuta otto giorni dopo la Pasqua. In un primo tempo, egli non aveva creduto a Gesù apparso in sua assenza, e aveva detto: « Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò ». In fondo, da queste parole emerge la convinzione che Gesù sia ormai riconoscibile non tanto dal viso quanto dalle piaghe. Tommaso ritiene che segni qualificanti dell’identità di Gesù siano ora soprattutto le piaghe, nelle quali si rivela fino a che punto Egli ci ha amati. In questo l’Apostolo non si sbaglia. Come sappiamo, otto giorni dopo Gesù ricompare in mezzo ai suoi discepoli, e questa volta Tommaso è presente. E Gesù lo interpella: « Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la mano e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo, ma credente ». Tommaso reagisce con la più splendida professione di fede di tutto il Nuovo Testamento: « Mio Signore e mio Dio! ». A questo proposito commenta Sant’Agostino: Tommaso « vedeva e toccava l’uomo, ma confessava la sua fede in Dio, che non vedeva né toccava. Ma quanto vedeva e toccava lo induceva a credere in ciò di cui sino ad allora aveva dubitato » (In Iohann. 121, 5). L’evangelista prosegue con un’ultima parola di Gesù a Tommaso: « Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno ».

Il caso dell’apostolo Tommaso è importante per noi per almeno tre motivi: primo, perché ci conforta nelle nostre insicurezze; secondo, perché ci dimostra che ogni dubbio può approdare a un esito luminoso oltre ogni incertezza; e, infine, perché le parole rivolte a lui da Gesù ci ricordano il vero senso della fede matura e ci incoraggiano a proseguire, nonostante la difficoltà, sul nostro cammino di adesione a Lui.

 dans immagini sacre

I santi di oggi:

http://www.icvbc.cnr.it/bivi/schede/Toscana/Firenze/25cattedrale2.htm

Processo e Martiniano, santi, martiri, le reliquie sono all’altare che porta il loro nome nel transetto destro di S. Pietro in Vaticano. Prima erano custodite nell’Oratorio a loro dedicato, eretto e decorato da Pasquale I che vi depose i corpi. Demolito, furono posti in un’altare sotto l’organo della basilica. Questi martiri al cui primitivo sepolcro, presso il II miglio della via Aurelia, accorrevano numerosi fedeli ammalati, sono così ricordati nel
M.R.: 2 luglio – A Roma, sulla via Aurelia, il natale dei santi Martiri Processo e Martiniano, i quali, dal beato Pietro Apostolo battezzati nel carcere Mamertino, ed avendo sofferto, sotto Nerone, la contusione della bocca, l’eculeo, i nervi, le fiamme e gli scorpioni, alla fine, percossi con la spada, furono coronati col martirio.

[ Tratto dall’opera «Reliquie Insigni e « Corpi Santi » a Roma» di Giovanni Sicari ]

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dal « Mattutino » di Ravasi: GIOIA IN GOLA

sempre dal giornale Avvenire il « Mattutino di Ravasi: 

30 Giugno 2007 
MATTUTINO 

 

GIOIA IN GOLA 

 

La bambina che va sotto gli alberi / non ha che il peso della treccia / un fil di canto in gola. / Canta sola / e salta per la strada: ché non sa / che mai bene più grande non avrà / di quel po’ d’oro vivo per le spalle, / di quella gioia in gola.
Leggete con calma questi versi durante la quiete del sabato estivo. Provate a immaginare la scena: sotto l’ombra degli alberi una bambina canta e balla lievemente, mentre sulle sue spalle ondeggia la treccia d’oro dei suoi capelli biondi. È un’immagine di bellezza, di dolcezza, di innocenza, capace di purificare il nostro sguardo sporcato da tante figure truci, oscene, cupe che ci imbandisce costantemente il televisore. A « dipingere » poeticamente questa scena è un nostro finissimo poeta, il ligure Camillo Sbarbaro (1888-1967). È curioso ricordare che egli era un erborista di fama internazionale, grande esperto in licheni, e quindi proteso a esaltare il mistero e l’armonia della natura, anche nei suoi segni minimi.
Io, però, vorrei sottolineare di quei versi solo la finale: in essa si dichiara quale sia la vera felicità. Basta soltanto possedere e godere un po’ di bellezza semplice e naturale come lo è la capigliatura bionda di quella piccina e soprattutto avere «un fil di canto» e di «gioia in gola». Noi, invece, cerchiamo la felicità nell’eccesso, nella moltiplicazione del godimento e del possesso, mentre essa è celata come una perla in una modesta custodia, ossia nella semplicità e nella purezza di cuore. Aveva ragione un importante autore francese, François-René de Chateaubriand, quando affermava che «la vera felicità costa poco; se è cara, non è di buona qualità». Ritroviamo anche noi la limpidità, la lievità interiore, la luminosità serena e gusteremo la vera gioia

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La spinta che viene dal convegno di Verona – Immaginare la speranza per un cristianesimo del quotidiano

questo articolo è di Avvenire, sempre su Avvenire c’è la “Nota sul Convegno di Verona è interessante, il link però è sempre quello, va cercato l’articolo:

http://www.avvenire.it/ 

La spinta che viene dal convegno di Verona 

Immaginare la speranza per un cristianesimo del quotidiano 

Franco Giulio Brambilla  

Il quarto Convegno ecclesiale, celebrato a Verona lo scorso 16-20 ottobre, non ha mancato l’appuntamento con la speranza. Gli oltre 2700 delegati di tutte le Chiese d’Italia possono ancora oggi testimoniare che le assise scaligere sono diventate in pochi giorni non solo un convegno sulla speranza, ma un evento di speranza. Spenti da tempo i riflettori del circo mediatico, resta il compito della sua ricezione nel tessuto vivo della Chiesa e della società italiana.
La Nota pastorale, che i vescovi hanno pubblicato nella festa dei santi Pietro e Paolo (e che oggi questo giornale pubblica), riprende in modo meditato, limpido e sobrio, l’esercizio di «immaginazione della speranza», che il convegno aveva svolto con passione nei padiglioni della Fiera. «Immaginare la speranza» non è nient’altro che il modo con cui
la Chiesa, con un’operazione spirituale e culturale, legge il proprio tempo nello specchio del Vangelo. Non è un gesto che parte da zero, ma si colloca nella scia del postconcilio, quando
la Chiesa stessa ha cercato di «tradurre in italiano il Concilio».
La Nota chiama ora i credenti a testimoniare la speranza cristiana attorno a tre «scelte di fondo». La prima operazione si è accesa durante il convegno nell’incontro tra le attese dei delegati e il tema risuonato a Verona: Testimoni di Gesù risorto, speranza del mondo. La presenza e la parola del Papa ne hanno interpretato lo spirito nel modo più alto, coronando la proposta delle relazioni dei protagonisti, il cardinale Tettamanzi e del cardinale Ruini, e di coloro che si sono avvicendati sul podio della Fiera. Benedetto XVI ha indicato «quel che appare davvero importante per la presenza cristiana in Italia», ricordando che il nostro Paese è «un terreno assai favorevole per la testimonianza cristiana.
La Chiesa qui è una realtà molto viva, che conserva una presenza capillare in mezzo alla gente di ogni età e condizione». È questa la prima sfida che i Vescovi raccolgono.
La Nota richiama la felice espressione con cui il Papa ha per così dire inviato un’enciclica all’Italia: «dire il grande « sì » della fede», la speranza cristiana fondata sul Risorto, l’unità dinamica di eros e agape, fede e ragione, verità e carità. A un anno e sei mesi esatti dall’inizio del suo pontificato, egli ne ha scolpito le linee di forza attorno alla risurrezione di Cristo: «la più grande « mutazione » mai accaduta, il « salto » decisivo verso una dimensione di vita profondamente nuova, l’ingresso in un ordine decisamente diverso, che riguarda anzitutto Gesù di Nazareth, ma con Lui anche noi, tutta la famiglia umana, la storia e l’intero universo». Questo primato della parola di Dio e dell’evangelizzazione, che è il tratto distintivo del programma della Chiesa italiana in questo decennio, prende forma sottolineando l’ »eccedenza » della speranza cristiana, di fronte a un’esperienza della vita immersa nell’immediatezza dei beni e nella frenesia del tempo che passa.
La Chiesa italiana intende privilegiare e coltivare in modo nuovo e creativo la caratteristica « popolare » del cattolicesimo italiano. Tutto questo si riassume in un’unica indicazione: prendersi cura della coscienza delle persone, della loro crescita e testimonianza nel mondo. Di qui la seconda sfida: si tratta di «immaginare la speranza» dentro le forme della vita quotidiana, che Verona ha messo a tema attraverso gli ambiti dell’esistenza umana (la vita affettiva, il lavoro e la festa, la fragilità, la tradizione, la cittadinanza). Gesto ardito, con cui il tratto singolare della fede diventa lievito nella pasta del mondo, leva dentro i meccanismi della storia. L’esercizio che i delegati hanno fatto per quasi due giorni al convegno deve pervadere come un fremito di novità le comunità cristiane nello scorcio di questo decennio. La cura della coscienza delle persone, l’abilitazione di tutti i credenti e dei laici in particolare a una testimonianza responsabile, personale e sociale, è l’imperativo storico del momento. La parte centrale della Nota l o indica con grande forza, non solo all’elaborazione riflessa del « Progetto culturale », privilegiando la comunicazione e la questione antropologica, ma anche alla cura delle sue forme «ordinarie e popolari». Non passerà inosservato questo richiamo a un cristianesimo del quotidiano. È qui che si gioca la verità non solo della fede, ma anche dell’impulso del Vaticano II che stenta a trovar casa dentro la coscienza credente e le forme ordinarie della vita. Correggere l’immagine spettacolarizzata del cristianesimo è il miglior biglietto da visita per il dialogo con altre culture religiose, il dialogo ecumenico, il compito educativo, la cura di tutte le povertà e la stessa presenza sociale. Allontanando per sempre i fantasmi di oscure egemonie politiche. E, infine, l’ultimo « esercizio di speranza » chiama a raccolta l’agire pastorale e culturale della Chiesa italiana, mediante un ripensamento profondo dei suoi stili e delle sue figure. L’assottigliarsi delle energie e delle risorse pastorali deve essere ripreso come un appello dello Spirito che invita le comunità cristiane a ripensare profondamente le forme elementari dell’esperienza cristiana: il primo annuncio, l’iniziazione cristiana, la parrocchia, la domenica, i temi che hanno impegnato nella prima parte di questo decennio a un profondo ripensamento dell’agire pastorale della chiesa. Un’immagine rinnovata di Chiesa deve puntare dritto al cuore della persona, alla necessità di un’azione formativa che corregge le storture di una pastorale che non tiene nel punto focale la vita della gente. Per questo «bisogna accelerare l’ora dei laici». Non solo per stare con loro, ma perché senza di loro è impossibile che avvenga quel mirabile scambio tra la vita delle persone e il lievito del Vangelo. Cura delle relazioni, corresponsabilità, pastorale integrata, convergenza tra le aggregazioni, molti nomi di un unico stile che potrà pensare al futuro della testimonianza solo con un volto rinnovato di chiesa e di corale presenza nel mondo. Immaginare la speranza è, alla fine, un « cantiere aperto » dove si sperimenta – come diceva il grande filosofo Marcel – «la divina leggerezza delle vita in speranza». 

 

IRAQ – Vescovi caldei: appello all’unità della Chiesa e del Paese…

dal sito:

http://www.asianews.it/index.php?l=it&art=9710&size=A 

 

02/07/2007 17:23


IRAQ
Vescovi caldei: appello all’unità della Chiesa e del Paese, rifiutando l’ultimo Sinodo
I presuli del nord pubblicano una dichiarazione congiunta in cui indicano le più urgenti necessità della comunità cristiana: sicurezza, emigrazione, educazione e cura pastorale dei profughi. Appello al Vaticano perché annulli l’ultimo Sinodo, che ha portato a conclusioni “deludenti” e ne convochi uno a Roma. A tutti gli iracheni un invito ad impegnarsi per un’autentica riconciliazione; nuovo no alla Piana di Niniveh.

 

Kirkuk (AsiaNews) – La preoccupazione per la salvezza di tutto il Paese al di là delle differenze religiose e quella per la sopravvivenza della Chiesa in Iraq, hanno spinto i vescovi caldei  del nord a prendere una netta posizione comune sulla tragedia in atto. Un comunicato ufficiale firmato oggi dai 5 presuli suggerisce le questioni “scottanti” che il Patriarcato e
la Santa Sede, come pure Baghdad e la comunità internazionale, dovrebbero affrontare per il bene della popolazione e della debole comunità cristiana.  Di seguito il testo integrale in una traduzione a cura di AsiaNews: 

Noi, vescovi caldei delle diocesi di Kirku, Erbil, Alqosh, Zakho e Ahmadiyah, dopo aver incontrato i nostri sacerdoti nella cittadina di Ain Sifni, lunedì 2 luglio, e aver dibattuto i recenti sviluppi della situazione ecclesiastica e nazionale e aver spiegato le ragioni per la nostra mancata partecipazione al Sinodo tenuto nel monastero di Nostra Signora vicino Alqosh, dall’ 1 al 6 giugno, pubblichiamo la seguente dichiarazione: 

Introduzione 

Riguardo agli sviluppi della Chiesa e della situazione attuale dell’Iraq, riteniamo dovere della Chiesa emergere da questa insana condizione per permettere allo Spirito di palesarsi e di operare reali riforme nella sua struttura e missione. Con una visione chiara, senza imbarazzo, senza nascondendosi dietro l’autorità, la liturgia o la tradizione, il rinnovo e l’aggiornamento devono avvenire in modo continuo. Il futuro della nostra Chiesa e la sua forza ed unità dipendono da questo. Le nostre diocesi sono piccole e si basano sull’improvvisazione; miopi considerazioni personalistiche portano alla scelta di persone indegne per ruoli importanti, indebolendo la sua unità, testimonianza, attività pastorale e istituzioni. La riforma e il rinnovamento in una chiara ed oggettiva linea evangelica e lo scopo di aiutare l’unità e a collaborazione, ci rende la migliore fonte di speranza e gioia, non solo per i cristiani, ma per tutti gli iracheni. 

La situazione del popolo iracheno e dei cristiani in questi giorni deve essere oggetto di discussione costante tra di noi. 

La priorità del lavoro ecclesiale 

In diverse lettere individuali e comuni abbiamo pregato Sua Beatitudine il Patriarca (Delly) di affrontare con coraggio le priorità presentate da noi e trovare soluzioni adatte. 

Di seguito riportiamo le tematiche: 

1 – Studiare la presente situazione dei cristiani in Iraq e prendere una posizione decisa (netta) riguardo a quello che succede nel Paese ed assumere una linea e una politica ufficiale; 

2 – Esaminare lo stato dei profughi interni e all’estero e nominare sacerdoti per la  cura pastorale, morale e spirituale di questa gente  piuttosto che inviarli all’estero. 

3 – Organizzare la curia patriarcale come richiesto dalle leggi della Chiesa (canone orientale 114-125), i suoi registri, fondi, comitati multilaterali e ufficio stampa; 

4 – Per il Seminario ed il Babel College: trovare un posto appropriato ed una direzione che renda gli studenti capaci di rispondere alla loro vocazione e scegliere un direttore spirituale. Il gruppo responsabile del seminario deve essere un modello per i seminaristi nel loro cammino verso il sacerdozio. Per sviluppare e far progredire il Babel College (facoltà di teologia) grazie al quale gli studenti di tutte le Chiese ricevono la loro formazione teologica; 

5 – I candidati vescovi: la persona deve avere un’alta spiritualità, una buon reputazione, una solida cultura e apertura; buona esperienza di amministrazione come stabilito dalla Chiesa (can. 180), deve essere scelto con il criterio di Giovanni Paolo II, “Pastores dabo vobis”, e non sulla base di altre considerazioni, come invece abbiamo appreso è successo nell’ultimo Sinodo; 

6 – La vita dei sacerdoti: prendersi cura di aggiornare la loro formazione pastorale, culturale e spirituale e garantire loro uno stile di vita dignitoso; 

7 – Il tribunale ecclesiastico non ha potuto riunirsi per mesi a causa dell’insicurezza e dell’assenza dei sui membri. Per questo chiediamo la formazione di un tribunale nella zona nord, molti casi aspettano una decisione. 

Alcune altre questioni da affrontare sono: studiare programmi di educazione religiosa, la riforma liturgica, l’importanza della presenza cristiana in Iraq e gli sviluppi dell’emigrazione e della regione rimangono ancora in sospeso. 

Queste sono le ragioni del nostro boicottaggio del Sinodo ad Alqosh, che avevamo chiesto al Patriarca di posticipare in modo da poter aver tempo di studiare in modo approfondito le questioni sopraelencate. Ma egli ha insistito nel riunirsi subito. Da quello che abbiamo letto su due dichiarazioni ufficiali on-line le decisione sono deludenti: due di noi sono stati nominati al Sinodo permanente senza chiedere il nostro consenso ed il seminario minore sarà trasferito alla diocesi di Alqosh, senza l’approvazione del vescovo! 

Preghiamo perché
la Santa Sede sospenda questo Sinodo per il bene della nostra Chiesa e convochi un nuovo Sinodo a Roma sotto gli auspici del Santo Padre, e nel quale parteciperemo tutti quanti ed insieme discuteremo di ogni questione in modo aperto. Per preparare questo nuovo Sinodo, specialisti religiosi e laici possono aiutare. L’attuale situazione nazionale ed ecclesiastica rende urgente un tale incontro. 

Un appello agli iracheni in generale e ai cristiani in particolare 

In questa occasione lanciamo un appello sincero ai nostri fratelli e concittadini iracheni: non arrendetevi all’amara realtà; apritevi gli uni gli altri; affidatevi al linguaggio della ragione e del dialogo come unica via per risolvere i problemi; aderite ai comuni valori umani, nazionali e religiosi. Sotto questa luce scegliamo un nuovo metodo di pensare e di convivere in spirito di responsabilità e fratellanza, liberi dalla paura e dal pregiudizio. Dobbiamo tendere le nostre mani per un’autentica riconciliazione nazionale, vivendo il perdono, costruendo ponti di fiducia per il consolidamento della convivenza, al fine di preservare la madre patria così com’è sempre stata: un mosaico di diverse eredità storiche, culturale, religiose. 

Ai nostri fratelli e sorelle cristiani, che soffrono molto di questa caotica situazione, chiediamo di continuare a portare avanti il vostro principale ruolo storico, la promozione del  dialogo e di una cultura di pace e della civiltà dell’amore. Noi speriamo che, con pazienza e saggezza, con preghiera e collaborazione con gli uomini di buona volontà, possiamo migliorare la situazione del momento ““finché sia passato il pericolo” (Salmo 57, 2). Rifiutiamo perciò ogni “Safe Haven” per i cristiani nella piana di Niniveh o altrove, perché tutto l’Iraq è la nostra patria e noi dobbiamo vivere insieme con i nostri concittadini in pace ed armonia. Noi vescovi e sacerdoti della regione del nord vi garantiamo il nostro sostegno e solidarietà: le nostre chiese e centri sono aperti per accogliervi; non risparmieremo nessuno sforzo per aiutarvi. Allo stesso tempo chiediamo ad ognuno di voi di accogliere le famiglie in fuga dalle zone più pericolose e di aiutarle, non chiedendo loro affitti troppo cari, visto che la maggior parte è disoccupata. L’etica cristiana richiede questa assistenza come dice San Paolo: “Per il momento la vostra abbondanza supplisca alla loro indigenza, perché anche la loro abbondanza supplisca alla vostra indigenza, e vi sia uguaglianza” (2 Cor 8,14). 

Appello alle congregazioni religiose e alle organizzazioni caritatevoli 

Lanciamo un appello anche alle congregazioni femminili e maschili della Chiesa cattolica affinché vengano nelle nostre diocesi, dove la sicurezza è ancora buona, a prendersi cura delle esigenze culturali, educative e spirituali degli abitanti e dei nuovi profughi, ad aprire scuole, istituti politecnici, scuole di infermeria … 

Chiediamo anche alle organizzazioni caritatevoli cattoliche di aiutare lo sviluppo di questi rifugiati attraverso l’avvio di piccoli progetti agricoli, economici, l’assistenza sanitaria e l’apertura di piccole fabbriche. Questo genere di aiuti fornirà opportunità di lavoro ai residenti e nutrirà la loro speranza facendo in modo che rimangano in Iraq e non emigrino. 

  

Petros Harboli, vescovo di Zakho 

Rabban Al Qas, vescovo di Amadyia e amministratore di Erbil 

Mikhael Mandassi, vescovo di Alqosh 

Louis Sako, arcivescovo di Kirkuk 

Andrè Sana, emerito di Kirkuk 

 

buona notte

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http://blog.libero.it/Mellina/view.php

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« Maestro, ti seguirò dovunque andrai »

Santa Chiara (1193-1252), monaca francescana
1a Lettera a sant’Agnese di Boemia, §15-23 (Fonti Francescani)

« Maestro, ti seguirò dovunque andrai »

O beata povertà, che procura ricchezze eterne a chi l’ama e l’abbraccia ! O santa povertà : a chi la possiede e la desidera è promesso da Dio il regno dei cieli ed è senza dubbio concessa gloria eterna e vita beata ! O pia povertà, che il Signore Gesù Cristo, nel cui potere erano e sono il cielo e la terra, il quale « disse e tutto fu creato » (Sal 32, 9), si degnò più di ogni altro di abbracciare. Disse egli infatti : « Le volpi hanno le tane e gli uccelli del cielo i nidi, mentre il Figlio dell’uomo – cioè Cristo – non ha dove posare il capo », ma « chinato il capo [sulla croce] rese lo spirito » (Gc 19, 30).

Se dunque tanto grande e tale Signore quando venne nel grembo verginale volle apparire nel mondo disprezzato, bisognoso e povero, perché gli uomini, che erano poverissimi e bisognosi e soffrivano l’eccessiva mancanza di nutrimento celeste, fossero resi in lui ricchi col possesso del regno celeste, esultate grandemente e gioite ricolma di immenso gaudio e letizia spirituale ; poiché avendo voi preferito il disprezzo del mondo agli onori, la povertà alle ricchezze temporali e nascondere i tesori in cielo più che in terra, la « dove né la ruggine consuma, né il tarlo distrugge, né i ladri rovistano e rubano » (Mt 6, 20), « abbondantissima è la vostra ricompensa nei cieli » (Mt 5, 12).

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