buona notte

Vita di san Francesco di Assisi detta «Perugina » (XIV secolo)
§102
Un uomo saggio costruisce la sua casa sulla roccia
Fin dall’inizio della sua conversione, il beato Francesco, come un uomo saggio, voleva, con l’aiuto del Signore, stabilire saldamente insieme la sua casa e lui stesso, cioè il suo Ordine dei Frati minori, su una roccia solida, ossia sulla grandissima umiltà e la grandissima povertà del Figlio di Dio.
Fondati su una grandissima umiltà: per questo fin dall’inizio, quando il numero dei fratelli ha cominciato a crescere, prescrisse loro di rimanere negli ospizi per servire i lebbrosi. A quel momento, quando i postulanti si presentavano, sia che fossero nobili che plebei, erano avvertiti che avrebbero dovuto servire i lebbrosi e abitare nei loro ospizi.
Fondati su una grandissima umiltà: egli scrisse infatti nella sua regola che i fratelli devono abitare le loro case « come ospiti e pellegrini, e non desiderare nulla sotto il cielo », se non la santa povertà grazie alla quale il Signore li nutrirà in questo mondo di alimenti per il corpo e di virtù, il che varrà loro nell’altra vita come eredità, cioè il cielo.
Anche per se stesso, Francesco scelse questo fondamento di un’umiltà perfetta e di una povertà perfetta; pur essendo stato un grande personaggio nella Chiesa di Dio, ha scelto liberamente di occupare l’ultimo posto, non soltanto nella Chiesa, ma anche tra i suoi fratelli.
dal sito:
http://www.radiovaticana.org/it1/Articolo.asp?c=141671
27/06/2007 14.06.16
Il cardinale Bertone apre il Triduo Petro-Paolino: il magistero del Papa sia un punto di riferimento meditato e seguito
Ieri pomeriggio il cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone ha aperto il Triduo Petro-Paolino nella Basilica romana di San Paolo fuori le Mura. Nella sua omelia, il porporato, che ha presieduto i Vespri e
la Messa, ha invitato i fedeli a camminare uniti alla luce degli insegnamenti del Papa. Di fronte alle sfide e alle difficoltà di oggi, ha detto, la comunità cristiana è chiamata a stringersi attorno al Santo Padre. Il servizio di Tiziana Campisi:
“Amare Cristo, la passione che consumò l’esistenza di Pietro e di Paolo”, “deve diventare anche la nostra quotidiana ricerca”, solo aprendosi all’amore di Gesù, ha spiegato nella sua omelia il cardinale Tarcisio Bertone, è possibile “diventare annunciatori convinti e convincenti della Parola che salva, testimoni credibili e gioiosi del suo Vangelo di speranza e di pace”. Nel primo giorno del triduo che precede la solennità dei Santi Pietro e Paolo, il porporato ha sottolineato che questa festa – una delle più antiche dell’anno liturgico, inserita nel Calendario già nel IV secolo – ci invita a rinnovare il nostro amore per il Papa, perché si traduca nell’ascolto docile del suo magistero, ci spinga “a sostenerne in maniera fattiva il ministero secondo i nostri diversi ruoli e responsabilità”, “ci renda responsabili costruttori d’una Chiesa unita e fedele” ed ancora ci induca “a vivere con piena fedeltà la nostra vocazione cristiana”. Il cardinale Bertone ha ricordato anche le differenti personalità di Pietro e di Paolo: umile e forte il primo, entusiasta e zelante il secondo. “Con le loro diverse ricchezze, con il loro personale carisma”, ha affermato il cardinale segretario di Stato, “hanno contribuito ad edificare un’unica Chiesa”, e “la tradizione cristiana”, accomunandone il ricordo, ha come voluto “comporre in unità la loro testimonianza”. Una testimonianza scaturita anzitutto dalla loro sincera amicizia verso Cristo, che li ha spinti a dare persino la vita per Lui. Ed è questo che Dio “attende anche da noi” ha proseguito il cardinale Bertone: “essere suoi amici, amarlo sopra ogni cosa e nulla mai anteporre al suo amore”. Un amore che converte l’uomo ridandogli dignità ed autorità, che trasforma l’esistenza e rende capaci di cogliere e realizzare la propria vocazione. E il porporato ha esortato in particolare quanti vivono nella capitale a prendere spunto dalla festa dei Santi Pietro e Paolo per maturare la consapevolezza della speciale missione che
la Chiesa di Roma è chiamata a svolgere. Avere come Pastore il Papa, il successore di Pietro, per Roma è una grande grazia e responsabilità, ha concluso il cardinale Bertone, abbiamo “la certezza e la sicurezza che il Vangelo nel quale crediamo e su cui scommettiamo ogni giorno, pur con le nostre fragilità e incoerenze, è lo stesso Vangelo proclamato dagli Apostoli”, quello di Cristo. “E questa certezza di ortodossia la dobbiamo a Pietro e ai suoi successori”. “Chiediamo al Signore – ha detto il porporato – che ci renda attenti a quanto il Papa insegna, preghiamo perché il suo magistero sia sempre per l’intera Chiesa un punto di riferimento cercato, desiderato, meditato attentamente e, con la grazia di Dio, seguito”.
dal sito:
http://www.zenit.org/article-11263?l=italian
Benedetto XVI presenta la figura di Cirillo di Gerusalemme
Intervento all’Udienza generale del mercoledì
CITTA’ DEL VATICANO, mercoledì, 27 giugno 2007 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato questo mercoledì da Benedetto XVI in occasione dell’Udienza generale, incontrandosi con i pellegrini e i fedeli provenienti dall’Italia e da ogni parte del mondo.
Nella sua catechesi, il Papa, continuando il ciclo di catechesi sui Padri Apostolici, si è soffermato sulla figura di Cirillo di Gerusalemme.
* * *
Cari fratelli e sorelle!
La nostra attenzione si concentra oggi su san Cirillo di Gerusalemme. La sua vita rappresenta l’intreccio di due dimensioni: da una parte, la cura pastorale e, dall’altra, il coinvolgimento – suo malgrado – nelle accese controversie che travagliavano allora
la Chiesa d’Oriente. Nato intorno al 315 a Gerusalemme o dintorni, Cirillo ricevette un’ottima formazione letteraria; fu questa la base della sua cultura ecclesiastica, incentrata nello studio della Bibbia. Ordinato presbitero dal Vescovo Massimo, quando questi morì o fu deposto, nel 348 fu ordinato Vescovo da Acacio, influente metropolita di Cesarea di Palestina, filoariano, convinto di avere in lui un alleato. Fu, perciò, sospettato di avere ottenuto la nomina episcopale mediante concessioni all’arianesimo.
In realtà, ben presto Cirillo venne in urto con Acacio non solo sul terreno dottrinale, ma anche su quello giurisdizionale, perché Cirillo rivendicava l’autonomia della propria sede rispetto a quella metropolitana di Cesarea. Nel giro di una ventina d’anni, Cirillo conobbe tre esili: il primo nel 357, previa deposizione da parte di un Sinodo di Gerusalemme, seguito nel 360 da un secondo esilio ad opera di Acacio, e infine da un terzo, il più lungo – durò undici anni – nel 367 per iniziativa dell’imperatore filoariano Valente. Solo nel 378, dopo la morte dell’imperatore, Cirillo poté riprendere definitivo possesso della sua sede, riportando tra i fedeli l’unità e la pace.
In favore della sua ortodossia, messa in dubbio da alcune fonti coeve, militano altre fonti ugualmente antiche. Tra di esse la più autorevole è la lettera sinodale del 382, dopo il secondo Concilio ecumenico di Costantinopoli (381), al quale Cirillo aveva partecipato con un ruolo qualificato. In tale lettera, inviata al Pontefice romano, i Vescovi orientali riconoscono ufficialmente la più assoluta ortodossia di Cirillo, la legittimità della sua ordinazione episcopale e i meriti del suo servizio pastorale, che la morte concluderà nel 387.
Conserviamo di lui ventiquattro celebri catechesi, che egli espose come Vescovo verso il 350. Introdotte da una Procatechesi di accoglienza, le prime diciotto di esse sono indirizzate ai catecumeni o illuminandi (photizomenoi); furono tenute nella Basilica del Santo Sepolcro. Le prime (1-5) trattano ciascuna, rispettivamente, delle disposizioni previe al Battesimo, della conversione dai costumi pagani, del sacramento del Battesimo, delle dieci verità dogmatiche contenute nel Credo o Simbolo della fede. Le successive (6-18) costituiscono una « catechesi continua » sul Simbolo di Gerusalemme, in chiave antiariana. Delle ultime cinque (19-23), dette « mistagogiche », le prime due sviluppano un commento ai riti del Battesimo, le ultime tre vertono sul crisma, sul Corpo e Sangue di Cristo e sulla liturgia eucaristica. Vi è inclusa la spiegazione del Padre nostro (Oratio dominica): essa fonda un cammino di iniziazione alla preghiera, che si sviluppa parallelamente all’iniziazione ai tre sacramenti del Battesimo, della Cresima e dell’Eucaristia.
La base dell’istruzione sulla fede cristiana si svolgeva anche in funzione polemica contro pagani, giudeocristiani e manichei. L’argomentazione era fondata sull’attuazione delle promesse dell’Antico Testamento, in un linguaggio ricco di immagini. La catechesi era un momento importante, inserito nell’ampio contesto dell’intera vita, in particolare liturgica, della comunità cristiana, nel cui seno materno avveniva la gestazione del futuro fedele, accompagnata dalla preghiera e dalla testimonianza dei fratelli. Nel loro complesso, le omelie di Cirillo costituiscono una catechesi sistematica sulla rinascita del cristiano mediante il Battesimo. Al catecumeno egli dice: « Sei caduto dentro le reti della Chiesa (cfr Mt 13,47). Lasciati dunque prendere vivo; non sfuggire, perché è Gesù che ti prende al suo amo, per darti non la morte ma la risurrezione dopo la morte. Devi infatti morire e risorgere (cfr Rm 6,11.14)… Muori al peccato, e vivi per la giustizia fin da oggi » (Procatechesi 5).
Dal punto di vista dottrinale, Cirillo commenta il Simbolo di Gerusalemme col ricorso alla tipologia delle Scritture, in un rapporto « sinfonico’ » tra i due Testamenti, approdando a Cristo, centro dell’universo. La tipologia sarà incisivamente descritta da Agostino d’Ippona: « L’Antico Testamento è il velo del Nuovo Testamento, e nel Nuovo Testamento si manifesta l’Antico » (De catechizandis rudibus 4,8). Quanto alla catechesi morale, essa è ancorata in profonda unità alla catechesi dottrinale: il dogma viene fatto discendere progressivamente nelle anime, le quali sono così sollecitate a trasformare i comportamenti pagani in base alla nuova vita in Cristo, dono del Battesimo. La catechesi « mistagogica », infine, segnava il vertice dell’istruzione che Cirillo impartiva non più ai catecumeni, ma ai neobattezzati o neofiti durante la settimana pasquale. Essa li introduceva a scoprire, sotto i riti battesimali della Veglia pasquale, i misteri in essi racchiusi e non ancora svelati. Illuminati dalla luce di una fede più profonda in forza del Battesimo, i neofiti erano finalmente in grado di comprenderli meglio, avendone ormai celebrato i riti.
In particolare, con i neofiti di estrazione greca Cirillo faceva leva sulla facoltà visiva, a loro congeniale. Era il passaggio dal rito al mistero, che valorizzava l’effetto psicologico della sorpresa e l’esperienza vissuta nella notte pasquale. Ecco un testo che spiega il mistero del Battesimo: « Per tre volte siete stati immersi nell’acqua e per ciascuna delle tre siete riemersi, per simboleggiare i tre giorni della sepoltura di Cristo, imitando, cioè, con questo rito il nostro Salvatore, che passò tre giorni e tre notti nel seno della terra (cfr Mt 12,40). Con la prima emersione dall’acqua avete celebrato il ricordo del primo giorno passato da Cristo nel sepolcro, come con la prima immersione ne avete confessato la prima notte passata nel sepolcro: come chi è nella notte non vede, e chi invece è nel giorno gode la luce, così anche voi. Mentre prima eravate immersi nella notte e non vedevate nulla, riemergendo invece vi siete trovati in pieno giorno. Mistero della morte e della nascita, quest’acqua di salvezza è stata per voi tomba e madre… Per voi… il tempo per morire coincise col tempo per nascere: un solo e medesimo tempo ha realizzato entrambi gli eventi » (Seconda Catechesi Mistagogica 4).
Il mistero da afferrare è il disegno di Dio, che si realizza attraverso le azioni salvifiche di Cristo nella Chiesa. A sua volta, alla dimensione mistagogica si accompagna quella dei simboli, esprimenti il vissuto spirituale che essi fanno « esplodere ». Così la catechesi di Cirillo, sulla base delle tre componenti descritte – dottrinale, morale e, infine, mistagogica –, risulta una catechesi globale nello Spirito. La dimensione mistagogica attua la sintesi delle prime due, orientandole alla celebrazione sacramentale, in cui si realizza la salvezza di tutto l’uomo. Si tratta, in definitiva, di una catechesi integrale, che – coinvolgendo corpo, anima e spirito – resta emblematica anche per la formazione catechetica dei cristiani di oggi.
[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]
Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i fedeli della parrocchia di Santa Maria Assunta, in Lesmo, che ricordano il centenario di dedicazione della propria chiesa; come pure quelli della parrocchia dei Santi Leucio e Pantaleone, in Borgo di Montoro Inferiore. Cari amici, vi ringrazio per la vostra visita ed invoco volentieri su di voi e sulle vostre Comunità copiosi doni celesti per una sempre più solida testimonianza cristiana.
Saluto poi i partecipanti al Convegno internazionale sulle cellule staminali adulte, organizzato dall’Università »
La Sapienza » di Roma, che si pone l’obiettivo di sviluppare la terapia cellulare autologa in ambito cardiaco, mediante l’utilizzo delle cellule staminali adulte. Al riguardo, la posizione della Chiesa, suffragata dalla ragione e dalla scienza, è chiara: la ricerca scientifica va giustamente incoraggiata e promossa, sempre che non avvenga a scapito di altri esseri umani la cui dignità è intangibile fin dai primi stadi dell’esistenza.
Il mio pensiero va, infine, ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. Siamo ormai entrati nell’estate, per molti tempo di ferie e di riposo. Per voi, cari giovani, sia un’occasione per utili esperienze sociali e religiose; per voi, cari sposi novelli, un opportuno periodo per cementare la vostra unione e approfondire la vostra missione nella Chiesa e nella società. Auspico inoltre che a voi, cari malati, non manchi durante questi mesi estivi la vicinanza di persone care.