Archive pour le 25 juin, 2007

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giochi d’acqua

 

http://www.galileo-web.com/photoblog/index.php/2006/12/01/jeux-deau/

« Entrate per la porta stretta »

San Benedetto (480-547), monaco
Regola, Prologo

« Entrate per la porta stretta »

Quando il Signore cerca il suo operaio tra la folla, insiste dicendo: « Chi è l’uomo che vuole la vita e arde dal desiderio di vedere giorni felici? » (Sal 33,13). Se a queste parole tu risponderai: « Io! », Dio replicherà: « Se vuoi avere la vita, quella vera ed eterna, guarda la tua lingua dal male e le tue labbra dalla menzogna. Allontanati dall’iniquità, opera il bene, cerca la pace e seguila » (Sal 33, 14-15)… Fratelli carissimi, che può esserci di più dolce per noi di questa voce del Signore che ci chiama? Guardate come nella sua misericordiosa bontà ci indica la via della vita! Armati dunque di fede (Ef 6,14) e di opere buone, sotto la guida del Vangelo, incamminiamoci per le sue vie in modo da meritare la visione di lui, che ci ha chiamati nel suo Regno (1 Tes 2,12). Se, però, vogliamo trovare dimora sotto la sua tenda, ossia nel suo Regno, ricordiamoci che è impossibile arrivarci senza correre verso la meta, operando il bene. Ma interroghiamo il Signore, dicendogli con le parole del profeta: « Signore, chi abiterà nella tua tenda e chi dimorerà sul tuo monte santo? » (Sal 14,1). E dopo questa domanda, fratelli, ascoltiamo la risposta con cui il Signore ci indica la via che porta a quella tenda…

Bisogna dunque istituire una scuola del servizio del Signore nella quale ci auguriamo di non prescrivere nulla di duro o di gravoso; ma se, per la correzione dei difetti o per il mantenimento della carità, dovrà introdursi una certa austerità, suggerita da motivi di giustizia, non ti far prendere dallo scoraggiamento al punto di abbandonare la via della salvezza, che in principio è necessariamente stretta e ripida. Mentre invece, man mano che si avanza nella vita monastica e nella fede, si corre per la via dei precetti divini (Sal 118,32) col cuore dilatato dall’indicibile sovranità dell’amore. Così, non allontanandoci mai dagli insegnamenti di Dio e perseverando fino alla morte nel monastero in una fedele adesione alla sua dottrina, partecipiamo con la nostra sofferenza ai patimenti di Cristo (1 Pt 4,13) per meritare di essere associati al suo regno.

Iacopone da Todi/O iubelo de core

dal sito francese:

http://terresdefemmes.blogs.com/mon_weblog/2005/12/iacopone_da_tod.html

Iacopone da Todi/O iubelo de core

(Todi, 1236Collazzone, 1306

« O iubelo de core,
Che fai cantar d’amore !

Quanno iubel se scalda,
Si fa l’omo cantare ;
E la lengua barbaglia,
Non sa que se parlare ;
Drento no΄l pò celare
(Tantè granne !) el dolzore.

Quanno iubel c’è aceso,
Si fa l’omo clamare;
Lo cor d’amor è apreso,
Che no΄l pò comportare;
Stridenno el fa gridare
E non virgogna allore.

Quanno iubelo à preso
Lo core ennamorato,
La gente l’à ΄n deriso,
Pensanno el so parlato,
Parlanno esmesurato
De que sente calore.

O iubel, dolce gaudio,
Ch’è drento ne la mente !
Lo cor deventa savio,
Celar so convenente;
Non pò esser soffrente
Che non faccia clamore.

Chi non à custumanza
Te reputa empazzito,
Vedenno esvalïanza
Com’om ch’è desvanito.
Drent’à lo cor firito,
Non se sente de fore. »

 

Publié dans:poesie |on 25 juin, 2007 |Pas de commentaires »

Vetrata

Vetrata Vitraux

http://www.iro.umontreal.ca/~marcotte/Velo/Monter/Monter13/Thumbs13.html

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B. GIULIANO MAUNUOIR (1606-1683)

dal sito:

http://www.paginecattoliche.it/modules.php?name=News&file=article&sid=1161

                                

B. GIULIANO MAUNUOIR (1606-1683) 

 

Un sacerdote della parrocchia, vedendo che Giuliano preferiva passare in preghiera il tempo che i suoi coetanei passavano in trastulli, gl’insegnò i primi rudimenti del latino e lo mise in condizione di frequentare a Rennes, da esterno, il collegio dei Gesuiti (1620-1625). Giuliano non subì l’influsso delle cattive compagnie, anzi, da buon associato alla congregazione mariana, persuase alcuni condiscepoli a bruciare i libri perversi, altri a non frequentare le osterie, altri a moderare la passione del gioco. È considerato l’apostolo della Bretagna (Francia) a causa della straordinaria opera missionaria che vi svolse per quarantadue anni. 

 

È considerato l’apostolo della Bretagna (Francia) a causa della straordinaria opera missionaria che vi svolse per quarantadue anni. Giuliano nacque il 1-10-1606 a St-George de Reintembault (Ille-et-Vilaine), quinto figlio dei sette che ebbe Isacco, modesto commerciante di tessuti. Della sua nascita venne informato in modo misterioso il Ven. Michele Le Nobletz (1577-1652), missionario popolare. Apprese difatti che Dio gli aveva preparato un aiuto ed un successore alle fatiche apostoliche.
I primi maestri di Giuliano furono i genitori che dividevano volentieri con i poveri quanto guadagnavano. I giuochi preferiti dal Beato consistevano nel riunire i compagni, schierarli a due a due in ordine processionale, e far ripetere loro le preghiere ed i canti che aveva appreso in chiesa. Un sacerdote della parrocchia, vedendo che Giuliano preferiva passare in preghiera il tempo che i suoi coetanei passavano in trastulli, gl’insegnò i primi rudimenti del latino e lo mise in condizione di frequentare a Rennes, da esterno, il collegio dei Gesuiti (1620-1625).
Giuliano non subì l’influsso delle cattive compagnie, anzi, da buon associato alla congregazione mariana, persuase alcuni condiscepoli a bruciare i libri perversi, altri a non frequentare le osterie, altri a moderare la passione del gioco. Al racconto delle imprese missionarie dei Gesuiti in Cina, in Giappone, in America, e al pensiero che tante anime si perdono per mancanza di apostoli, decise di farsi religioso per essere mandato in soccorso degli infedeli.
Durante il noviziato, al quale fu ammesso dal celebre P. Pietro Coton (+1626), provinciale dei Gesuiti e confessore dei re di Francia Enrico IV e Luigi III, il Maunoir non pensò che a contentare l’attrattiva che aveva per la vita inferiore e per l’esercizio della carità fraterna. Fin dal tempo della vita collegiale aveva proposto: « Voglio vivere come se non ci fosse che Dio, presupponendo sempre il suo soccorso: senza questo io so di non poter nulla… Sempre attento a ciò che Dio vuole da me, penserò a quello che Egli può volere da un gesuita per prepararmi a tutto ciò che richiederà il suo servizio. Oh, quanto l’amo questo Dio infinitamente buono e quanto desidero di farmi amare da Lui! ». Per questo aveva cominciato a castigare la sua carne innocente con una cintura di ferro, i flagelli e il cilicio; a mettersi pietruzze nelle scarpe, a fustigarsi le gambe con ortiche; a legarsi le braccia con funicelle nodose.
Dopo la professione religiosa Giuliano fu mandato a frequentare per tre anni la filosofia a
La Flèche (1627-1630). Ebbe compagno di studio S. Isacco Jogues, martire degli irochesi nell’America settentrionale (1646). Speciali grazie ricevette durante i ritiri ai quali si disponeva coltivando la purezza e l’umiltà. In uno di essi. confessa nel suo Diario, « ho sentito con purissima gioia come se due angeli mi avessero cavato il cuore fuori dal petto e l’avessero spremuto per farne uscire tutto ciò che vi era di affezione naturale ». Il 15-7-1628 si sentì tutto il giorno consumare dal fuoco del divino amore e « violentemente spinto a soffrire per Iddio ». Meditando sui « due stendardi », cioè quello di Cristo re e quello di satana, annotò: « Pativo di avere così pochi sacrifici da fare per il Signore, e la mia vocazione che mi destinava alla salvezza delle anime mi divenne ancora più cara. Una voce inferiore mi ripeté quattro o cinque volte, con tono di ammirazione: « Ah! se tu sapessi! se tu sapessi!. Compresi allora che grande cosa sia il cooperare con Gesù alla conversione degli uomini… Per glorificare il mio Dio vorrei subire tutti i tormenti dell’inferno, eccetto la privazione del suo amore. Bramerei bene il fuoco del purgatorio: fa soffrire molto ma non impedisce di amare Dio ».
I superiori, nel giovane Maunoir, ormai giunto all’unione mistica con il Signore, ammirarono la condotta « sempre uguale, l’amabile attività senza fretta, la gaiezza tranquilla, doti che egli univa ad un’obbedienza perfetta, una carità affabile, ad una applicazione costante tanto al lavoro intellettuale come alla pietà, ad un raccoglimento senza contrasti e ad un grande dominio di se stesso ». Al termine della filosofia essi lo destinarono alla vita di « professore » nel collegio di Quimper (Finistère). Per il momento Giuliano, senza rinunciare alla speranza di portare un giorno la fede ai pagani, non pensò che a diventare un eccellente maestro. Ad un confratello che lo esortava ad apprendere il bretone, rispose: « Sappiate che la mia missione è la mia scuola, e che le lingue che debbo apprendere sono il latino e il greco. Se ne studierò qualche altra sarà quella del Canada, dove credo che Dio mi chiami ».
Anche al P. Pietro Bernard, ministro del collegio, stava a cuore il benessere spirituale della diocesi e pregava Dio perché suscitasse le persone capaci di procurarglielo. Il Le Nobletz giunse un giorno al collegio e parlò al Maunoir della necessità di soffrire per le missioni tra i bretoni, ma lui, Giuliano, come avrebbe fatto a dedicarvisi se ne ignorava la lingua? Un giorno durante un pellegrinaggio al santuario della SS. Vergine che sorgeva poco lontano dalla città, ebbe improvvisamente una visione interiore dei vescovadi di Quimper, St-Brieuc, Leon e Trétone. Giunto dinanzi al quadro della Madonna così la pregò: « Mia buona Madre, se voi vi degnate di insegnarmi il bretone, lo apprenderò subito e sarò ben tosto in grado di guadagnarvi dei servitori ». Di ritorno al collegio, appena i confratelli ebbero qualche sospetto del progetto di lui, gli si opposero, ma il Maunoir, ottenutone il permesso dal provinciale (1631), dopo due soli giorni di studio poté arrischiarsi a fare un catechismo in campagna e, sei settimane dopo, a predicare senza alcuna preparazione. Maria SS. gli aveva concesso il dono della lingua.
Appena ricevette gli ordini minori, Giuliano si recò, tutte le domeniche, nei paesi vicini a catechizzare il popolo. Per l’insegnamento della dottrina cristiana aveva un raro talento. Vi si dedicò con tale ardore che nel 1632 cadde malato. 1 superiori lo trasferirono a Tours dove, appena ricuperò le forze, si diede a catechizzare i malati dell’ospedale, i poveri dei quartieri più abbandonati e i carcerati. Al sacerdozio Giuliano si preparò nel collegio di Bourges allora diretto dal celebre P. Luigi Lallemant (+1635). Fin da quel tempo Dio gli concesse il dono della continua unione con Lui mediante la preghiera. Nel ritiro del secondo anno di teologia, che fece con S. Gabriele Lallemant, anche lui martire nel 1646 degli irochesi, annotò: « Nostro Signore mi dice inferiormente: ‘ ‘Io ho faticato a lungo per le anime, ho pianto, ho sofferto, e sono morto per loro ». Queste parole mi commossero più che non lo sappia dire e l’ardore che già sentivo si accrebbe a tal punto che, se fosse stato necessario morire per salvare una sola anima, sarei morto con tutto il mio cuore ». Durante il terzo anno di teologia un braccio gli sì gonfiò enormemente tanto che, in capo a nove giorni, fu ridotto in fin di vita. Prima di ricevere il viatico fece voto che, se ricuperava la salute, avrebbe impiegato le sue forze al servizio dei bretoni. Giuliano percepì subito che la risposta del cielo era stata affermativa. Sognò difatti di portare sul dorso un contadino di Cornovaglia col suo berretto rosso. Appena guarì si rimise a predicare e a insegnare il catechismo con l’arte che gli era propria.
Dopo l’ordinazione sacerdotale (1637) il Maunoir fu destinato come professore al collegio di Nevers, ma il preposito generale dei Gesuiti, il P. Muzio Vitelleschi (+1645), al quale il Beato aveva sottoposto il suo voto, dispose che il suo zelo fosse soddisfatto. Dopo la « terza probazione », che richiese un soggiorno a Rouen, il Maunoir ritornò a Quimper dopo sette anni di assenza. Il rettore non dissimulò al nuovo arrivato che l’opera delle missioni gli sembrava impossibile a causa delle ristrettezze economiche della casa. Il vescovo di Cornovaglia non voleva saperne di missioni e parecchi confratelli pensavano che il Beato avrebbe fatto meglio ad aiutare il collegio facendo scuola.
Tra difficoltà ed ostacoli d’ogni sorta, Giuliano ricevette dal Ven. Le Nobletz l’invito di andarlo a trovare nella sua solitudine di Conquet. L’invito fu accolto. La sera del primo giorno di marcia, fatta pregando, apprese che era morto il vescovo che non voleva saperne di missioni. L’incontro con il vecchio missionario fu commovente. Le Nobletz volle fare al Maunoir la sua confessione generale, poi convocò i fedeli in chiesa e presentò loro Giuliano come il suo successore nelle missioni della Bassa Bretagna. Lo mise in possesso del suo ministero dandogli, come investitura, la sua campana ed i suoi quadri simbolici di cui si serviva per spiegare agli analfabeti i principali misteri della fede, e poi gli disse: « Ancorché foste rapito fino al terzo cielo come S. Paolo, non trovereste una condizione più sicura e più vantaggiosa delle missioni tra la povera gente di campagna. Esse sono, è vero, oscure e faticose, ma non si corre il rischio di cadere nella vanagloria e nell’ambizione ».
A Quimper molti preti, ai quali le missioni sembravano una novità si convertirono all’idea del Maunoir, permettendogli di predicare e confessare in tutta la diocesi. In principio gli fu compagno nel ministero il P. Bernard (+1654), anche se non sapeva la lingua. Al difetto di mezzi materiali provvide in parte il governatore di Quimper ed in parte il cardinal de Richelieu (+1642), ministro di Luigi XIII (+1643). Il Beato diede principio al suo apostolato nel porto di Douarnenez (Finistère) mettendo « in canto armonico » la parafrasi delle più importanti preghiere e verità della religione. Prima di lasciare la città guarì una paralitica toccandone la fronte con un oggetto benedetto dal Le Nobletz.
Al missionario non bastò coltivare le terre già dissodate, ma ebbe anche di mira le isole abbandonate di Quessant, Molenes e Sein, dove tra mille persone non ce n’era una dozzina che conoscesse i misteri principati della fede e i comandamenti di Dio. A Quessant la gente desiderosa di istruirsi fu talmente numerosa che il Maunoir, per farsi intendere anche da quelli che avevano invaso l’annesso cimitero, dovette fare trasportare il pergamo alla porta della chiesa. Il Beato seppe commuovere talmente i suoi uditori che alla fine tutti si misero a piangere e a gridare: « Fino ad oggi abbiamo vissuto da bestie; d’ora in avanti dobbiamo pensare a vivere da cristiani ». La grazia di Dio scosse così l’anima di quegli isolani che, per soddisfarli, scrive il Maunoir « noi andavamo al confessionale alle tre del mattino e vi passavamo quasi tutto il giorno fino alle otto o alle nove di sera ». Per levarsi più presto il P. Bernard si coricava sopra una tavola ed il P. Maunoir per terra. Essi avevano persino rimorso del breve tempo che impiegavano a consumare il loro frugale desinare. A risvegliare la fede nel popolo contribuì grandemente il dono dei miracoli che Iddio concesse al suo servo buono e fedele mediante l’uso di grano od olio benedetti.
Nonostante tanti successi non mancarono gl’invidiosi i quali cercarono con le calunnie, di far richiamare il missionario al collegio dei gesuiti, ma furono confusi dai dignitari delle isole interpellati al riguardo. Persino i suoi canti furono incriminati e interdetti da chi non conosceva il bretone, ma i cresimandi venuti dalle isole catechizzate dal Maunoir non tardarono a mostrarne l’ortodossia. Nel 1642 il Beato li diede alle stampe ed ebbero un immenso successo. Essi contribuirono molto alla riuscita delle processioni e alle sacre rappresentazioni della vita e della Passione del Signore.
Dopo aver predicato nelle isole, il Maunoir percorse, ora a piedi, ora a cavallo, tutta
la Bassa Bretagna tra pericoli e fatiche di ogni sorta. Per rendere fecondi i suoi sudori passava gran parte dei viaggi a fare orazione. In meno di dieci anni riuscì con il suo compagno a catechizzare e confessare circa mezzo milione di persone. Don Michele Le Nobletz per necessità aveva quasi sempre lavorato da solo. Il Maunoir, invece, fu un suscitatore e un educatore di preti che lo seguirono nelle missioni e lo aiutarono con i loro beni. I più famosi di tutti furono Nicola di Saludem, signore di Tremarìa; Giovanni Battista Hingaut, conte di Kérisac; Oliviero de Guern, marchese di Pontcallec; il conte de Saisy de Kérampuil.
Nel suo zelo il Beato seppe suscitare pure un’associazione di sacerdoti missionari che prosperò fino alla rivoluzione francese. Il loro numero raggiunse forse il migliaio. Non tutti erano veri frequentatori delle missioni, ma cooperatori occasionali. Chi prendeva parte alle fatiche del Maunoir si svegliava come lui alle quattro del mattino, sia d’estate che d’inverno, con lui faceva la meditazione, recitava l’ufficio e prendeva i pasti frugali.
Tutti lo seguivano volentieri e lo amavano perché « era umile, saggio, edificante, mortificato, povero, semplice, sempre pronto a soccorrere il suo prossimo a rendere servizio ai suoi nemici e a intraprendere tutto per guadagnare anime a Dio, fermo nell’esecuzione dei suoi disegni e pieno di confidenza nel braccio onnipotente che lo sosteneva ».
Non meraviglia quindi che al suo passaggio la gente si buttasse in ginocchio per riceverne la benedizione, ed i malati si sforzassero di toccarne il lembo delle vesti tant’era grande la fiducia che avevano di essere risanati. Nell’insurrezione del 1675, occasionata da misure fiscali quali l’istituzione della carta timbrata, il Maunoir fu scambiato per un agente del re Luigi XIV mentre egli non pensava che alla pacificazione degli spiriti ed all’assistenza dei condannati a morte.
Quando Giuliano ritornava a prendere un po’ di riposo tra i confratelli, impiegava il tempo a prolungare con gli scritti ascetici e biografici l’azione della sua parola capace di spaventare i peccatori impenitenti e di commuovere i retti di cuore. Si diceva che nessun oratore aveva fatto versare tante lacrime come lui. Nel 1671 il Beato innestò l’opera dei ritiri su quella delle missioni. Il tentativo, essendo pienamente riuscito, si generalizzò. Più volte soccombette alle fatiche. Il tempo della malattia era per lui il migliore. Quando si trovava in preda a violenti attacchi di gotta recitava il Te Deum, felice di stare in compagnia della croce del Signore. Durante un’infermità fu rallegrato dall’apparizione della Vergine SS. e guarito dalla comunione. Tanti parroci si auguravano che morisse nel loro presbiterio per potere disporre del corpo di lui.
Il Maunoir ebbe rivelazione che stava per giungere la sua ultima ora, ad un tratto, mentre si aggirava per le vie di St-Brieuc, dove si era recato per prepararvi una missione. Nel ritornare a Quimper, si dovette fermare a Plévin (Cótes-du-Nord), prostrato dalla febbre e da un violento male al fianco. Si preparò alla morte sospirando: « Gesù è la mia vita, ed è un guadagno per me il morire ». Un signore avrebbe voluto farlo trasportare nel suo castello per assisterlo meglio, ma il morente preferì restarsene nell’umile condizione dei poveri. Ai sacerdoti che accorrevano al suo capezzale diceva: « Il più grande piacere che mi potete fare è quello di formulare o di rinnovare il proposito di lavorare nelle missioni fino al vostro ultimo respiro. Io non conosco funzione più santa e più utile ».
Il Maunoir morì con tutti i sacramenti il 28-1-1683 dopo aver predicato oltre 400 missioni al popolo. Quella sera d’inverno nel cielo l’orizzonte fu tutto un fuoco misterioso dalla parte di levante. Il vescovo di Quimper avrebbe voluto far tumulare i resti del missionario defunto nella cattedrale, ma gli abitanti vi si opposero con la forza. Sulla tomba di lui, a pochi giorni dalla sepoltura, un fanciullo gibboso e paralitico, riacquistò improvvisamente la salute davanti ai fedeli che gremivano la chiesa. Il padre, l’apostolo, il salvatore della Bassa Bretagna è ancora venerato a Plévin. Pio XII lo beatificò il 20-5-1951.
___________________
Sac. Guido Pettinati SSP,
I Santi canonizzati del giorno, vol. 1, Udine: ed. Segno, 1991, pp. 361-366.

http://www.edizionisegno.it/ 

 

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QUANDO IL POSITIVISMO SCIENTIFICO TOCCA VERTICI ESILARANTI

dal sito on line del giornale « Avvenire » 

QUANDO IL POSITIVISMO SCIENTIFICO TOCCA VERTICI ESILARANTI 

Poveri, intelligenti primogeniti compressi in un numero 

Carlo Cardia  

E’ ormai noto che periodicamente vengono enunciate da qualche scienziato tesi che sembrano sentenze. È dei giorni scorsi l’affermazione di un’importante rivista scientifica per la quale i primogeniti sono più intelligenti dei figli nati dopo. Ciò perché essi svolgerebbero subito funzioni di comando e di guida verso i fratelli minori. L’aspetto più singolare di questa argomentazione è che essa contrasta in modo clamoroso con la realtà dei fatti, con l’esperienza di chi ha avuto, o conosce, famiglie più o meno numerose, con la realtà dell’età evolutiva. Ma l’errore di fondo che si compie è, come sempre, di impostazione perché si dà per scontata una definizione univoca di intelligenza misurandola a indici matematici freddi e inconsistenti. L’intelligenza è qualcosa di complesso e si esprime e si distribuisce in mille forme diverse tra gli uomini, e nelle famiglie. Spesso nelle famiglie i genitori scoprono nei propri figli i primi elementi della loro indole e delle loro doti naturali, che evangelicamente si chiamano talenti. In una famiglia numerosa si può scorgere in un bambino una propensione spiccata per i numeri, per il ragionamento matematico, per la strumentazione scientifica. E si può vedere in un altro una più chiara tendenza alla riflessione, alla introspezione, o al dato estetico, o ancora una maggiore attitudine alla vita attiva, alle attività sportive, e via di seguito. Gioia e impegno dei genitori è ieri come oggi scrutare questo caleidoscopio di menti e intelligenze che stanno germogliando, e intervenire per agevolare, smussare, incentivare o frenare, le spinte che esistono nell’animo e nella psiche dei loro ragazzi. Non si può misurare questo caleidoscopio di doti, tendenze, inclinazioni, con parametri di intelligenza che tutto appiattiscono e impoveriscono. Come non si può dire che un ingegnere è meno intelligente di un dirigente d’azienda, o un politico è più intelligente di un sacerdote, o un pubblicitario di un regista. Neanche l’attitudine al coman do rende l’uomo più intelligente, se il comando non viene esercitato con saggezza. In ogni caso, la tesi presentata come scientifica sbaglia clamorosamente proprio nel rapporto tra fratelli, che siano nati per primi per secondi o per terzi, perché le combinazioni psicologiche e affettive che si verificano nelle famiglie numerose sono praticamente infinite, spesso affascinanti. A volte il primogenito è geloso del secondo, perché si sente privato della sua centralità, e qualunque genitore sa che deve far superare questa fase facendo sentire a tutti i figli una eguale misura di affetto. In molti casi la possibile gelosia si trasforma in un sentimento di protezione verso i fratelli minori, e in quel caso si sedimenta una esperienza di solidarietà che si manterrà nel proprio intimo per tutta la vita. Altre volte, ancora, i genitori sono tentati di riversare il proprio affetto sull’ultimo arrivato, o su chi è più sensibile, magari perché pensano che gli altri fratelli ne hanno meno bisogno. Oppure sostengono di più chi sembra meno dotato, quasi a dargli un supplemento di possibilità. È noto che spesso nelle famiglie si festeggia più un bel voto di chi a scuola non va bene, piuttosto che l’ennesimo voto alto di chi è sempre bravo. Dentro questo caleidoscopio di rapporti affettivi, di problemi e di difficoltà quotidiane, che formano la psiche dei ragazzi, si intrecciano le piccole gelosie e le tensioni, si sviluppa quella realtà complessa di comunità familiare che non è riducibile a nessun indice scientifico, né di intelligenza né di altre cose. E i rapporti tra fratelli si evolvono a seconda del ruolo umano ed etico che i genitori svolgono, spesso con l’esempio più che con le parole, di fronte ai problemi che si affacciano, alle prove da superare, ai traguardi da raggiungere. Insomma, la vita reale, dei genitori e dei figli, come i rapporti tra fratelli, seguono linee ricche, complesse, spesso non facili, nelle quali anche l’essere primogenito determina un condizionament o, ma parziale e non univoco. In questa vita reale non c’è indice o graduatoria d’intelligenza che tenga. Conta solo quella ricchezza di relazioni, solidarietà, anche conflittualità, che prepara i ragazzi alla vita adulta e pone le basi per le scelte future. Ancora una volta il desiderio di ridurre ad unità materiale, o matematica, la vita delle persone, in questo caso la dimensione di figli o di fratelli, si rivela povero e angusto perché vuole scremare e annullare quanto di più vivo esiste nel cuore dei giovani, che resta aperto alla speranza e all’attesa qualunque sia stato il gradino occupato nella scala delle nascite. 

 

La Biblioteca Apostolica Vaticana chiuderà per tre anni per lavori di ristrutturazione

dal sito: 

http://www.zenit.org/article-11232?l=italian


La Biblioteca Apostolica Vaticana chiuderà per tre anni per lavori di ristrutturazione 

A partire dal 16 luglio 2007 

CITTA’ DEL VATICANO, domenica, 24 giugno 2007 (ZENIT.org).-
La Biblioteca Apostolica Vaticana sarà chiusa al pubblico a partire dal 16 luglio prossimo per un importante progetto di restauro della durata di tre anni, a causa di seri problemi strutturali in un’ala dell’edificio cinquecentesco che ospita

la Biblioteca.

La direzione della Biblioteca aveva cercato di evitare disagi per il pubblico, per esempio spostando più di 300.000 volumi dai locali i cui pavimenti avevano cominciato a indebolirsi, ma gli esperti hanno deciso che i lavori di restauro non si possono ritardare.

Inoltre, la necessità di effettuare degli interventi strutturali ha fornito l’opportunità di modernizzare alcune parti dell’edificio, con la sistemazione del condizionamento dell’aria e degli ascensori e una riorganizzazione generale delle collezioni della biblioteca.

In un lungo articolo apparso su “L’Osservatore Romano” (13 giugno 2007) monsignor Raffaele Farina, sdb, Vescovo titolare di Oderzo e Prefetto della Biblioteca Apostolica Vaticana, ha affermato che la notizia, già divulgata nel settembre/ottobre del 2006 e annunciata inizialmente “in maniera non del tutto corretta” dalla stampa e dalla radio estera di lingua inglese, era stata recepita dagli studiosi “con reazione di compassata sorpresa”.

“Le reazioni – ha continuato – sono arrivate a scoppio ritardato soprattutto dopo che gli studiosi, laureandi o dottorandi, che per Regolamento hanno da sempre un numero limitato di ingressi in biblioteca, hanno allarmato i loro tutors, che hanno perorato la loro causa”.

Rispondendo, quindi, alla lettura erronea che stampa e media hanno dato della decisione di chiudere per così lungo tempo
la Biblioteca Vaticana, presentandola come un atto di severità, il Vescovo ha citato casi simili che hanno visto protagoniste diverse prestigiose biblioteche, come quella Ambrosiana di Milano, chiusa per lavori di ristrutturazione per ben 7 anni.

“Negli ultimi dieci anni, dal 1997 in avanti, sono stati realizzati dei progetti che in qualche maniera preludono a quelli attuali e fanno parte di un progetto più generale di realizzazione degli spazi, rivolto alla realizzazione di un modello di Biblioteca storico-umanistica che intende conservare e tramandare, scegliendo e affinando tecniche moderne compatibili [...] accogliendo il meglio delle integrazioni avvenute nei cinque e più secoli di storia”, ha aggiunto.

“I problemi attuali della Biblioteca sono determinati dalla vetustà dell’edificio, che la ospita, dalla mancanza di spazi indispensabili per il materiale librario e per il personale, dalla condivisione con istituzioni contigue di spazi vitali e da sovrastrutture anomale, ma non conformi a quella che è la tradizione e la normativa biblioteconomica”, ha poi spiegato.

Il presule ha quindi voluto assicurare sulla continuazione e l’incremento di alcuni servizi nel periodo di chiusura della Biblioteca.

A questo proposito, ha detto che a partire dall’aprile prossimo, si potrà contare sul catalogo on-line, sulla corrispondenza e-mail, sulla riproduzione fotografica (fotocopie, microfilm, diapositive) e digitale dei manoscritti e degli stampati, e sulla consulenza.

Molti libri della biblioteca saranno trasferiti in aree di deposito temporaneo, ma le copie di manoscritti e libri antichi saranno disponibili attraverso il servizio di riproduzione fotografica per i ricercatori.

“Ricordo inoltre che per gli Stati Uniti c’è sempre la possibilità di consultare
la Vatican Film Library at St. Louis University (Missouri), che conserva più di 37.000 microfilm di manoscritti della nostra Biblioteca (
www.slu.edu/libraries)”.

La Vatican Film Library possiede anche un’ampia raccolta di cataloghi di manoscritti, compresi tutti i cataloghi pubblicati e copia degli inventari non pubblicati della Vaticana, la serie completa di “Studi e testi” e numerose opere di paleografia, codicologia, miniatura e altre discipline utili allo studio dei manoscritti e dei loro testi.

Possiede inoltre l’edizione in microfiche della Bibliotheca Palatina (oltre 12.000 stampati) e della Cicognara (oltre 4.800 titoli riguardanti arte, architettura e archeologia).

Monsignor Raffaele Farina ha poi anticipato “che lavori più impegnativi, e in qualche modo, definitivi sono in vista, anche se non saranno immediatamente realizzati”.

“I lavori dei prossimi tre anni serviranno anche a fare in modo che quando arriverà il momento di affrontare i grandi lavori del futuro non sarà più necessario chiudere
la Biblioteca”, ha quindi sottolineato.

Il presule ha infine affermato che “
la Biblioteca Vaticana chiude ma per migliorare il teatro di lavori degli studiosi e del personale interno per i prossimi decenni; la chiusura, dolorosa ma necessaria, avviene dunque sempre in vista di un servizio agli studi, che è la vocazione costitutiva della Vaticana”.

La Biblioteca Vaticana fu fondata attorno al 1450 da Papa Niccolò V, che iniziò mettendo a disposizione la propria raccolta personale costituita da alcune centinaia di manoscritti, che sarebbe stata il primo nucleo della futura biblioteca.

Nel giugno 1475, con la bolla Ad decorem militantis Ecclesiae, Papa Sisto IV diede uno statuto giuridico all’istituzione, provvedendola di rendite e personale (il suo primo gubernator et custos, fu il mantovano Bartolomeo Plàtina). Nel 1587 Sisto V commissionò all’architetto Domenico Fontana la costruzione di un nuovo edificio per la biblioteca, che è quello attuale.

Pur non facendo parte in senso stretto della Curia Romana, essa costituisce
la Biblioteca della Santa Sede, ed ha come fine, secondo quanto stabilito dalla Costituzione Apostolica « Pastor Bonus » di Giovanni Paolo II (28 giugno 1988), quello di servire “quale insigne strumento della Chiesa per lo sviluppo, la conservazione e la divulgazione della cultura”.

La Biblioteca Apostolica Vaticana conserva attualmente: 1.600.000 libri a stampa antichi e moderni, 8.300 incunaboli (di essi, 65 in pergamena), 150.000 codici manoscritti e carte di archivio, 300.000 monete e medaglie, circa 20.000 oggetti di arte. 

 

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