Archive pour le 23 juin, 2007

buona notte

buona notte dans immagini buon...notte, giorno Anthurium

Anthurium

http://www.mauritiusonline.it/Argomenti/immagini.html

« Egli deve crescere e io invece diminuire » (Gv 3,30

Sant’Agostino (354-430), vescovo d’Ippona (Africa del Nord) e dottore della Chiesa
Discorso per la natività di Giovanni Battista ; PLS II, 497

« Egli deve crescere e io invece diminuire » (Gv 3,30)

La nascita di Giovanni e quella di Gesù, e in seguito le loro passioni, hanno rivelato la differenza che esiste fra di loro. Infatti Giovanni nasce quando il giorno comincia a volgere al declino; Cristo invece quando comincia a crescere. La diminuzione del giorno per l’uno è il simbolo della suo morte violenta. La sua crescita, per l’altro, l’esaltazione della croce.

Un altro senso segreto ci viene rivelato dal Signore… rispetto a quella parola di Giovanni su Gesù: « Egli deve crescere e io invece diminuire ». Ogni giustizia umana era stata compiuta da Giovanni; di lui la verità diceva: « Tra i nati di donna non è sorto uno più grande di Giovanni il Battista » (Mt 11,11). Nessun uomo dunque sarebbe stato capace di superarlo; ma egli era uomo. Ora per la grazia di essere cristiani, ci viene domandato di non vantarci nell’uomo, ma « chi si vanta, si vanti nel Signore » (2 Cor 10,7): uomo, nel suo Dio; servo, nel suo padrone. Per questo motivo dice Giovanni: « Egli deve crescere e io invece diminuire ». Certo che Dio non è diminuito né aumentato in sè, ma negli uomini man mano che progredisce il vero fervore, cresce la grazia divina, e la potenza umana diminuisce, finché giunga al suo adempimento la dimora di Dio che sta in tutte le membra di Cristo, e dove ogni tiranno, ogni autorità, ogni potenza sono morte, e dove Dio è tutto in tutti (Col 3,11).

Giovanni l’evangelista dice: « Veniva nel mondo la luce vera quella che illumina ogni uomo » (1,9). Giovanni il Battista dice: « Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto » (Gv 1,16). Quando la luce, che in sé stessa è sempre totale, cresce in colui che viene illuminato, costui diminuisce in se stesso quando viene abolito in lui ciò che era senza Dio. Infatti l’uomo, senza Dio, non può nulla se non peccare, e la sua potenza umana diminuisce quando trionfa la grazia divina, distruttrice del peccato. La debolezza della creatura cede alla potenza del Creatore e la vanità delle nostre passioni egoiste crolla davanti all’universale amore mentre Giovanni il Battista dal fondo della nostra miseria, ci grida la misericordia di Gesù Cristo: « Egli deve crescere e io invece diminuire ».

Petra, Jordan, 1998

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Petra, Jordan, 1998

Photograph by Annie Griffiths Belt

« Reclining on a rooftop carved two millennia ago, a Bedouin surveys the realm of the Nabataeans, whose ancient capital beckons from the sands of southern Jordan. Forgotten for centuries, Petra still echoes with mysteries of the past; this immense building, Al Deir (the Monastery), was probably a Nabataean shrine. »

—From « Petra: Ancient City of Stone, » December 1998, National Geographic magazine

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San Cipriano

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San Cipriano, detalle del mosaico del siglo VI que representa la procesión de los mártires, Basílica de San Apolinar Nuevo, Ravenna

http://www.30giorni.it/sp/articolo.asp?id=3569

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di Gianfranco Ravasi – AMARE E ODIARE

dal sito on line del giornale « Avvenire » il « Mattutino » di Gianfranco Ravasi

AMARE E ODIARE

Gli uomini amano in fretta, ma odiano con tutta calma.
Molti lettori che mi inviano i loro suggerimenti per la nostra comune riflessione quotidiana rimangono delusi perché raramente adotto i loro testi. In verità, se alcune citazioni sono suggestive, esse però di solito mancano di una dote indispensabile, la brevità. Ecco, perché oggi accolgo la frase del famoso poeta inglese George G. Byron (1788-1824) che mi ha inviato un lettore reggino. Essenzialità e icasticità rendono questo monito di facile intuizione e di semplice memoria. Un po’ meno immediata ne è, invece, l’applicazione. Sì, perché come già diceva sant’Agostino, «la collera è un’erbaccia, ma l’odio è un albero». Con una variante, potremmo affermare, sulla scia di Byron, che l’amore è un fiore che presto appassisce, mentre l’odio è una gramigna sempre verde che attecchisce nel cuore e si ramifica nell’anima e persino nel corpo.
Non per nulla lo stesso Byron iniziava la frase citata dal nostro lettore (al quale dirò che essa si trova nel poema satirico Don Giovanni) con queste parole: «L’odio è di gran lunga il più durevole dei piaceri». Sì, purtroppo si riesce a distillare questo vizio radicale quasi come un’essenza preziosa o un liquore che si deve poi gustare goccia per goccia. E nella vita qualcosa di questo terribile sentimento si è deposta nello spirito di ciascuno di noi. Anzi, ci sono persone – bisogna riconoscerlo – che non riescono quasi a vivere se non ce l’hanno con qualcun altro. Forse dovremmo più spesso pensare a questa considerazione: quando odiamo qualcuno, probabilmente detestiamo qualcosa che abbiamo dentro di noi e che non osiamo confessare. 

Gianfranco Ravasi

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ACCANTO AGLI ULTIMI – Le opere sostenute da Benedetto XVI grazie alla generosità dei fedeli di ogni continente

dal sito On line del giornale « Avvenire »

ACCANTO AGLI ULTIMI
Le opere sostenute da Benedetto XVI grazie alla generosità dei fedeli di ogni continente 

«Carità del Papa»:
un mondo di aiuti 

Domani
la Giornata in tutte le diocesi

Dalla «Fazenda de Esperança» visitata in Brasile alle grandi emergenze umanitarie 

Di Lorenzo Rosoli  

Sabato 12 maggio 2007. È quasi mezzogiorno quando Benedetto XVI – in una delle tappe più commoventi del suo viaggio in Brasile – si congeda dalla Fazenda da Esperança di Guaratinguetá per rientrare ad Aparecida. Quella mattina ha ricevuto il caloroso abbraccio della comunità di recupero fondata da frei Hans Stapel, col suo «popolo» di alcolisti, tossicodipendenti, ex spacciatori; ha lasciato loro parole forti, nella denuncia contro i trafficanti di morte come nell’invito alla conversione, alla speranza. Infine un gesto silenzioso e concreto: 100 mila dollari in dono alla Fazenda perché possa continuare il suo impegno di liberazione.
Centomila dollari attinti all’Obolo di San Pietro. Cioè all’aiuto economico che i fedeli – e gli uomini di buona volontà – di tutto il mondo offrono al Papa quale «segno di adesione alla sollecitudine del successore di Pietro per le molteplici necessità della Chiesa universale e per le opere di carità in favore dei più bisognosi», come si legge nel sito Internet della Santa Sede (www.vatican.va) nelle pagine dedicate a questa pratica antichissima.
Le offerte dei fedeli sono linfa che giunge senza soste all’Obolo di San Pietro, tutto l’anno. Ma c’è un giorno speciale nel quale
la Chiesa chiama tutte le comunità a prendere coscienza del valore pratico, simbolico ed ecclesiale dell’Obolo: è
la Giornata per la carità del Papa che in tutto il mondo cattolico si celebra il 29 giugno o (come in Italia) la domenica più vicina alla solennità dei santi Pietro e Paolo. In questo 2007, dunque, domani: domenica 24 giugno.
«Nel 2000, l’anno del Grande Giubileo, abbiamo raccolto 63,6 milioni di dollari; nel 2005 erano 59,4. Ma più dei numeri, è bello e importante guardare alla destinazione di queste somme – spiega monsignor Tullio Poli, responsabile dell’Ufficio per l’Obolo di San Pietro presso
la Segreteria di Stato vaticana -. Le offerte dei fedeli al Papa sono indirizzate alle opere ecclesiali, alle iniziative umanitarie e di promozione sociale come anche al sostegno alle attività della Santa Sede. Il Papa, come pastore di tutta
la Chiesa, si preoccupa anche delle necessità materiali delle diocesi povere, degli istituti religiosi e dei fedeli in gravi difficoltà». Un ventaglio di situazioni che va dai poveri agli anziani all’infanzia abbandonata o sfruttata, dai profughi e migranti alle vittime di guerre o di calamità naturali, fino alle necessità delle Chiese locali, dell’educazione cattolica, e così via.
Qualche esempio? Poli può darne a piene mani. «Il villaggio per gli orfani dell’Aids in Kenya fondato dal gesuita italo-americano Angelo d’Agostino», l’infaticabile sacerdote morto il 21 novembre 2006 a 80 anni d’età dopo una vita fra i boat people vietnamiti e i bambini abbandonati o malati dell’Africa. Ancora: «L’Ospedale San Vincenzo de’ Paoli a Sarajevo, presenza sanitaria cattolica in una città dalla vocazione multietnica; l’Ospedale Redemptoris Mater, in Armenia;
la Città dei Ragazzi Nazareth a Mbare, in Ruanda, che accoglie orfani e bambini abbandonati, i più vittime della guerra e del genocidio che ha lacerato il Paese; l’Ospedale di Villa Maria della Congregazione Daughters of Mary nella diocesi di Masaka, in Uganda. In Italia? La casa d’accoglienza Giovanni Paolo II dell’Opera Don Orione a Monte Mario, attrezzata per assistere e ospitare i pellegrini disabili che vengono a Roma, e gratuitamente quelli senza mezzi».
Parte dell’Obolo, inoltre «confluisce negli aiuti che
la Santa Sede offre tramite il Pontificio Consiglio Cor Unum in situazioni d’emergenza come terremoti o alluvioni – continua Poli -; l’Obolo sostiene anche le attività della Fondazione Populorum progressio per i contadini e gli indigeni dell’America Latina e della Fondazione Giovanni Paolo II per il Sahel, che realizza progetti di sviluppo nelle zone minacciate dalla desertificazione nell’A frica sub-sahariana. Sostiene inoltre seminari e istituti di formazione cristiana in molti Paesi in via di sviluppo». 

 

Benedetto XVI presenta la figura di Atanasio d’Alessandria

dal sito: 

http://www.zenit.org/article-11194?l=italian

Benedetto XVI presenta la figura di Atanasio d’Alessandria 

Intervento all’Udienza generale del mercoledì 

CITTA’ DEL VATICANO, mercoledì, 20 giugno 2007 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato questo mercoledì da Benedetto XVI in occasione dell’Udienza generale, incontrandosi con i pellegrini e i fedeli provenienti dall’Italia e da ogni parte del mondo.

Nella sua catechesi, il Papa, continuando il ciclo di catechesi sui Padri Apostolici, si è soffermato sulla figura di Atanasio d’Alessandria. 

* * * 

Cari fratelli e sorelle,

continuando la nostra rivisitazione dei grandi Maestri della Chiesa antica, vogliamo rivolgere oggi la nostra attenzione a sant’Atanasio di Alessandria. Questo autentico protagonista della tradizione cristiana, già pochi anni dopo la morte, venne celebrato come « la colonna della Chiesa » dal grande teologo e Vescovo di Costantinopoli Gregorio Nazianzeno (Discorsi 21,26), e sempre è stato considerato come un modello di ortodossia, tanto in Oriente quanto in Occidente. Non a caso, dunque, Gian Lorenzo Bernini ne collocò la statua tra quelle dei quattro santi Dottori della Chiesa orientale e occidentale – insieme ad Ambrogio, Giovanni Crisostomo e Agostino –, che nella meravigliosa abside della Basilica vaticana circondano
la Cattedra di san Pietro.

Atanasio è stato senza dubbio uno dei Padri della Chiesa antica più importanti e venerati. Ma soprattutto questo grande santo è l’appassionato teologo dell’incarnazione del Logos, il Verbo di Dio, che – come dice il prologo del quarto Vangelo – « si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi » (Gv 1,14). Proprio per questo motivo Atanasio fu anche il più importante e tenace avversario dell’eresia ariana, che allora minacciava la fede in Cristo, ridotto ad una creatura « media » tra Dio e l’uomo, secondo una tendenza ricorrente nella storia e che vediamo in atto in diversi modi anche oggi. Nato probabilmente ad Alessandria, in Egitto, verso l’anno 300, Atanasio ricevette una buona educazione prima di divenire diacono e segretario del Vescovo della metropoli egiziana, Alessandro. Stretto collaboratore del suo Vescovo, il giovane ecclesiastico prese parte con lui al Concilio di Nicea, il primo a carattere ecumenico, convocato dall’imperatore Costantino nel maggio del 325 per assicurare l’unità della Chiesa. I Padri niceni poterono così affrontare varie questioni, e principalmente il grave problema originato qualche anno prima dalla predicazione del presbitero alessandrino Ario.

Questi, con la sua teoria, minacciava l’autentica fede in Cristo, dichiarando che il logos non era vero Dio, ma un Dio creato, un essere « medio » tra Dio e l’uomo e così il vero Dio rimaneva sempre inaccessibile a noi. I Vescovi riuniti a Nicea risposero mettendo a punto e fissando il « Simbolo di fede » che, completato più tardi dal primo Concilio di Costantinopoli, è rimasto nella tradizione delle diverse confessioni cristiane e nella liturgia come il Credo niceno-costantinopolitano. In questo testo fondamentale – che esprime la fede della Chiesa indivisa, e che recitiamo anche oggi, ogni domenica, nella Celebrazione eucaristica – figura il termine greco homooúsios, in latino consubstantialis: esso vuole indicare che il Figlio, il logos, è « della stessa sostanza » del Padre, è Dio da Dio, è la sua sostanza, e così viene messa in luce la piena divinità del Figlio, che era negata dagli ariani.

Morto il Vescovo Alessandro, Atanasio divenne, nel 328, suo successore come Vescovo di Alessandria, e subito si dimostrò deciso a respingere ogni compromesso nei confronti delle teorie ariane condannate dal Concilio niceno. La sua intransigenza, tenace e a volte molto dura, anche se necessaria, contro quanti si erano opposti alla sua elezione episcopale e soprattutto contro gli avversari del Simbolo niceno, gli attirò l’implacabile ostilità degli ariani e dei filoariani. Nonostante l’inequivocabile esito del Concilio, che aveva con chiarezza affermato che il Figlio è della stessa sostanza del Padre, poco dopo queste idee sbagliate tornarono a prevalere – in questa situazione persino Ario fu riabilitato –, e vennero sostenute per motivi politici dallo stesso imperatore Costantino e poi da suo figlio Costanzo II. Egli, peraltro, che non si interessava tanto della verità teologica quanto dell’unità dell’Impero e dei suoi problemi politici; voleva politicizzare la fede, rendendola più accessibile – secondo il suo parere – a tutti i suoi sudditi nell’Impero.

La crisi ariana, che si credeva risolta a Nicea, continuò così per decenni, con vicende difficili e divisioni dolorose nella Chiesa. E per ben cinque volte – durante un trentennio, tra il 336 e il 366 – Atanasio fu costretto ad abbandonare la sua città, passando diciassette anni in esilio e soffrendo per la fede. Ma durante le sue forzate assenze da Alessandria, il Vescovo ebbe modo di sostenere e diffondere in Occidente, prima a Treviri e poi a Roma, la fede nicena e anche gli ideali del monachesimo, abbracciati in Egitto dal grande eremita Antonio con una scelta di vita alla quale Atanasio fu sempre vicino. Sant’Antonio, con la sua forza spirituale, era la persona più importante nel sostenere la fede di sant’Atanasio. Reinsediato definitivamente nella sua sede, il Vescovo di Alessandria poté dedicarsi alla pacificazione religiosa e alla riorganizzazione delle comunità cristiane. Morì il 2 maggio del 373, giorno in cui celebriamo la sua memoria liturgica.

L’opera dottrinale più famosa del santo Vescovo alessandrino è il trattato Sull’incarnazione del Verbo, il Logos divino che si è fatto carne divenendo come noi per la nostra salvezza. Dice in quest’opera Atanasio, con un’affermazione divenuta giustamente celebre, che il Verbo di Dio « si è fatto uomo perché noi diventassimo Dio; egli si è reso visibile nel corpo perché noi avessimo un’idea del Padre invisibile, ed egli stesso ha sopportato la violenza degli uomini perché noi ereditassimo l’incorruttibilità » (54,3). Con la sua resurrezione, infatti, il Signore ha fatto sparire la morte come se fosse « paglia nel fuoco » (8,4). L’idea fondamentale di tutta la lotta teologica di sant’Atanasio era proprio quella che Dio è accessibile. Non è un Dio secondario, è il Dio vero, e tramite la nostra comunione con Cristo noi possiamo unirci realmente a Dio. Egli è divenuto realmente « Dio con noi ».

Tra le altre opere di questo grande Padre della Chiesa – che in gran parte rimangono legate alle vicende della crisi ariana – ricordiamo poi le quattro lettere che egli indirizzò all’amico Serapione, Vescovo di Thmuis, sulla divinità dello Spirito Santo, che viene affermata con nettezza, e una trentina di lettere « festali », indirizzate all’inizio di ogni anno alle Chiese e ai monasteri dell’Egitto per indicare la data della festa di Pasqua, ma soprattutto per assicurare i legami tra i fedeli, rafforzandone la fede e preparandoli a tale grande solennità.

Atanasio è, infine, anche autore di testi meditativi sui Salmi, poi molto diffusi, e soprattutto di un’opera che costituisce il best seller dell’antica letteratura cristiana:
la Vita di Antonio, cioè la biografia di sant’Antonio abate, scritta poco dopo la morte di questo santo, proprio mentre il Vescovo di Alessandria, esiliato, viveva con i monaci del deserto egiziano. Atanasio fu amico del grande eremita, al punto da ricevere una delle due pelli di pecora lasciate da Antonio come sua eredità, insieme al mantello che lo stesso Vescovo di Alessandria gli aveva donato. Divenuta presto popolarissima, tradotta quasi subito in latino per due volte e poi in diverse lingue orientali, la biografia esemplare di questa figura cara alla tradizione cristiana contribuì molto alla diffusione del monachesimo, in Oriente e in Occidente. Non a caso la lettura di questo testo, a Treviri, è al centro di un emozionante racconto della conversione di due funzionari imperiali, che Agostino colloca nelle Confessioni (VIII,6,15) come premessa della sua stessa conversione.

Del resto, lo stesso Atanasio mostra di avere chiara coscienza dell’influsso che poteva avere sul popolo cristiano la figura esemplare di Antonio. Scrive infatti nella conclusione di quest’opera: « Che fosse dappertutto conosciuto, da tutti ammirato e desiderato, anche da quelli che non l’avevano visto, è un segno della sua virtù e della sua anima amica di Dio. Infatti non per gli scritti né per una sapienza profana né per qualche capacità è conosciuto Antonio, ma solo per la sua pietà verso Dio. E nessuno potrebbe negare che questo sia un dono di Dio. Come infatti si sarebbe sentito parlare in Spagna e in Gallia, a Roma e in Africa di quest’uomo, che viveva ritirato tra i monti, se non l’avesse fatto conoscere dappertutto Dio stesso, come egli fa con quanti gli appartengono, e come aveva annunciato ad Antonio fin dal principio? E anche se questi agiscono nel segreto e vogliono restare nascosti, il Signore li mostra a tutti come una lucerna, perché quanti sentono parlare di loro sappiano che è possibile seguire i comandamenti e prendano coraggio nel percorrere il cammino della virtù » (Vita di Antonio 93,5-6).

Sì, fratelli e sorelle! Abbiamo tanti motivi di gratitudine verso sant’Atanasio. La sua vita, come quella di Antonio e di innumerevoli altri santi, ci mostra che « chi va verso Dio non si allontana dagli uomini, ma si rende invece ad essi veramente vicino » (Deus caritas est, 42).

[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]

Rivolgo ora un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. Saluto in particolare i Cappellani del Sovrano Militare Ordine di Malta, i Soci del Motoclub di Castellazzo Bormida e gli alunni della Scuola Elementare di Alberobello. Vi ringrazio tutti, cari amici, per la vostra visita ed invoco su di voi e sulle vostre Comunità copiosi doni celesti per una sempre più solida testimonianza cristiana.

Saluto, inoltre, i giovani, i malati e gli sposi novelli. Domani celebreremo la memoria liturgica di san Luigi Gonzaga, mirabile esempio di austerità e purezza evangelica. Invocatelo, cari giovani, perché vi aiuti a costruire un’intima amicizia con Gesù che vi renda capaci di affrontare con serietà la vostra vita. Questo giovane santo sia per voi, cari malati, sostegno nel trasformare le sofferenze e le prove quotidiane in privilegiate occasioni per cooperare alla salvezza delle anime e renda voi, cari sposi novelli, testimoni di un amore casto e generoso.

[Appello del Santo Padre:]

Oggi si celebra
la Giornata Mondiale del Rifugiato, promossa dalle Nazioni Unite perché non venga meno nella pubblica opinione l’attenzione verso quanti sono stati costretti a fuggire dai loro Paesi a seguito di reali pericoli di vita. Accogliere i rifugiati e dar loro ospitalità è per tutti un doveroso gesto di umana solidarietà, affinché essi non si sentano isolati a causa dell’intolleranza e del disinteresse. Per i cristiani è, inoltre, un modo concreto di manifestare l’amore evangelico. Auspico di cuore che a questi nostri fratelli e sorelle duramente provati dalla sofferenza siano garantiti l’asilo e il riconoscimento dei loro diritti, e invito i responsabili delle Nazioni ad offrire protezione a quanti si trovano in così delicate situazioni di bisogno.

A tutti auguro ogni bene. Grazie per la vostra presenza

Publié dans:Papa Benedetto XVI |on 23 juin, 2007 |Pas de commentaires »

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