Archive pour le 11 juin, 2007

buona notte

buona notte dans immagini buon...notte, giorno Lilium

immagine dal sito:

http://www.nital.it/forum/index.php?showtopic=18735&view=getnewpost

« Voi siete il sale della terra … Voi siete la luce del mondo »

Concilio Vaticano II
Decreto sull’attività missionaria della Chiesa (Ad Gentes), 35-36

« Voi siete il sale della terra … Voi siete la luce del mondo »

Essendo la Chiesa tutta missionaria, ed essendo l’opera evangelizzatrice dovere fondamentale del popolo di Dio, il sacro Concilio invita tutti i fedeli ad un profondo rinnovamento interiore, affinché, avendo una viva coscienza della propria responsabilità in ordine alla diffusione del Vangelo, prendano la loro parte nell’opera missionaria . Tutti i fedeli, quali membra del Cristo vivente, a cui sono stati incorporati ed assimilati mediante il battesimo, la cresima e l’eucaristia, hanno lo stretto obbligo di cooperare all’espansione e alla dilatazione del suo corpo, sì da portarlo il più presto possibile alla sua pienezza (Ef 4,13).

Pertanto tutti i figli della Chiesa devono avere la viva coscienza della loro responsabilità di fronte al mondo, devono coltivare in se stessi uno spirito veramente cattolico e devono spendere le loro forze nell’opera di evangelizzazione. Ma tutti sappiano che il primo e principale loro dovere in ordine alla diffusione della fede è quello di vivere una vita profondamente cristiana. Sarà appunto il loro fervore nel servizio di Dio, il loro amore verso il prossimo ad immettere come un soffio nuovo di spiritualità in tutta quanta la Chiesa, che apparirà allora come « un segno levato sulle nazioni » (Is 11,12), come « la luce del mondo» e «il sale della terra». Una tale testimonianza di vita raggiungerà più facilmente il suo effetto se verrà data insieme con gli altri gruppi cristiani, secondo le norme contenute nel decreto relativo all’ecumenismo.

Santa Genoveffa (Sainte Geneviève) – immagine e storia

Santa Genoveffa (Sainte Geneviève) - immagine e storia dans immagini sacre genevieve3

Santa Genoveffa (Sainte Geneviève)

immagine dal sito:

http://notredamecroixparis.free.fr/Visite/ste_genevieve.html

Ho postato sul Blog francese un articolo di Lustiger su Santa Genoveffa e poi ho cercato una immagine, senza mette l’articolo del Cardinale (pure interessante) metto almeno a corrdo dell’immagine la storia della Santa, dal sito: 

http://www.enrosadira.it/santi/g/genoveffa.htm

Santa Genoveffa (Saint Geneviève) 

La vita della vergine parigina Genèvieve è narrata nella Vita Genovefae, scritta circa venti anni dopo la sua morte. Il documento, seppur non scritto da uno storico e contenente aspetti leggendari, è considerato attendibile. Genèvieve o Genoveffa è naata a Nanterre, nei dintorni di Parigi, intorno al 422. A sei anni fu consacrata a Dio da san Germano di Auxerre, in transito per recarsi in Inghilterra, dove dilagava l’eresia pelagiana. A 15 anni Genoveffa si consacrò definitivamente a Dio, entrando a far parte di un gruppo di vergini votate a Dio che, pur vestendo un abito che le distingueva dalle altre donne, non vivevano in convento, ma nelle loro case, dedicandosi ad opere di carità e penitenze. Genoveffa faceva molto sul serio: prendeva cibo solo il giovedì e la domenica e dalla sera dell’Epifania al giovedì santo non usciva mai dalla sua cameretta. Nel 451 Parigi era sotto la minaccia degli Unni di Attila ed i parigini si apprestavano alla fuga. Genoveffa li convinse a restare in città, confidando nella protezione del cielo. Non tutti erano però daccordo con Genoveffa, al punto che la vergine rischiò di essere linciata, ma la minaccia degli Unni passò, lasciando però un altro problema serio, quello della carestia. Genoveffa, salì allora su un battello, risalì
la Senna e procurò le granaglie presso i contadini, distribuendole poi generosamente. Entrata in amicizia con i re Childerico e Clodoveo, sfruttò la sua posizione per ottenere la grazia per numerosi prigionieri politici. Morì intorno al 502. Sulla sua tomba venne eretto un modesto oratorio di legno, che fu il primo nucleo di una celebre abbazia, trasformata in basilica da re Luigi XV. Genoveffa era particolarmente invocata in occasione di gravi calamità, come la peste, per implorare la pioggia e contro le inondazioni della Senna. Durante la rivoluzione francese i giacobini trasformarono la basilica di S. Genoveffa nel mausoleo dei francesi illustri, con il classico nome di Pantheon, distruggendone parzialmente le reliquie. Il culto a santa Genoveffa continuò nella vicina chiesa di Saint-Etienne-du-Mont e rimase molto popolari in tutta
la Francia e in particolarmente a Parigi, città di cui la santa è patrona. 

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la storia dell’ex-ghetto ebraico di Roma a cura del SIDIC

Cenni per una visita nell’antico ghetto di Roma, dal sito:

http://www.santamelania.it/index.html

a cura del SIDIC 

Il testo che mettiamo a disposizione on-line è stato preparato dal SIDIC (Service International de Documentation Judéo-Chrétienne, delle suore di nostra Signora di Sion, fondate dai fratelli p.Théodore e p.Alphonse Ratisbonne), per fornire una serie di indicazioni e di suggerimenti per i docenti che desiderano, attraverso la visita dei luoghi, far conoscere ai loro alunni la storia dell’ex-ghetto ebraico di Roma.
Ringraziamo il SIDIC di Roma – che dalla sua fondazione incoraggia con passione la conoscenza dell’ebraismo ed il dialogo ebraico-cristiano – per aver autorizzato la pubblicazione on-line sul nostro sito. Il SIDIC organizza anche visite guidate, per gruppi, all’antico ghetto di Roma.
 

L’Areopago 

Portico di Ottavia Da questo punto è agevole verificare quanto fosse esiguo lo spazio del Ghetto: 3 ettari, con perimetro dall’ipotetica linea spartitraffico in mezzo all’attuale via di Portico d’Ottavia a piazza delle Cinque Scole, al Tevere (all’epoca privo dei muraglioni, eretti dopo l’Unità d’Italia e la proclamazione di Roma capitale). Il primo nucleo ebraico si forma qui nel secolo XVI, proveniente dal Trastevere. 

Elementi da rilevare: ciò che resta del portico di Ottavia (fatto restaurare da Augusto in nome della sorella) fra le colonne del quale è stata eretta nel ’200 circa la chiesa di S. Angelo in Pescheria, sede delle prediche coatte durante il periodo del ghetto. Il nome “in pescheria” si riferisce al mercato del pesce fiorente in questa zona fin dall’antichità. Lo slargo davanti al portico è il punto dove, la mattina del 16 ottobre 1943, i nazisti disposero i camion con cui furono deportati gli ebrei presi durante la razzia. Una lapide ricorda e ammonisce, senza parole di vendetta. 

Procedendo in direzione dell’Arenula, si può vedere a destra il vicolo della Reginella, utile a dare un’idea, insieme a quello di S.Ambrogio, dei vicoli esistenti prima della ristrutturazione. Un vistoso cartello dice “Sabra-Kosher”: indica un negozio dal tipico nome ebraico (Sabra è chi sia nato in Israele) nel quale si vendono cibi “secondo le regole alimentari ebraiche” (Kosher) con garanzia del Rabbinato. L’isolato compreso tra i due vicoli, dipinto in rosso, corrisponde all’edificio inserito nel perimetro del ghetto a partire dal 1825, sotto Leone XII, per intervento dei banchieri ebrei Rothschild che con cospicui prestiti avevano aiutato l’erario pontificio. 

Dal portico d’Ottavia in direzione del Tevere si trova: nei pressi del Ponte Quattro Capi la chiesa di S. Gregorio in Divina Pietà. La chiesetta è dedicata a S. Gregorio perché nella zona sorgevano le case degli Anicii, nobile famiglia romana che ha dato i natali a Papa Gregorio Magno (590-604) difensore dei diritti degli Ebrei. Sulla facciata è stato posto dal 1858 il ‘cartiglio’ che si trovava prima altrove nel ghetto, con la scritta in ebraico e in latino dei versetti di Isaia 65,2—3: “Ho steso tutto il giorno le mani a un popolo incredulo, che cammina seguendo le sue idee per una via non buona; ad un popolo che continuamente mi provoca all’ira”. 

Il Ponte Quattro Capi è detto anche “Pons Judaeorum” e collega con l’Isola Tiberina dalla interessantissima storia. Per quanto riguarda la presenza ebraica, sull’isola, nei locali dell’antico ospedale ebraico, ora adibiti ad ambulatorio, sono presenti due piccole stanze, adibite a “sinagoga dei giovani” e che sono molto care ai romani ebrei perché qui essi sono andati, a rischio della vita, a pregare durante i terribili nove mesi di presenza nazista in città. Un altro ricordo molto triste si riferisce all’altro ospedale, quello dei Fatebene Fratelli, dove sono stati curati i circa quaranta feriti in seguito all’attentato terroristico compiuto da membri dell’OLP nel 1982. In quell’episodio, terribile per la comunità ebraica romana, rimase ucciso un bambino di due anni, ricordato ora in una piccola lapide presso
la Sinagoga. 

Adiacenze: Nella vicina piazza Mattei (si percorre vicolo della Reginella) sorge la famosa fontana delle Tartarughe. I Mattei erano fra le famiglie cristiane le cui case erano adiacenti al ghetto e che avevano le chiavi dei portoni che venivano chiusi all’Avemaria e riaperti la mattina, dall’esterno, nel periodo del ghetto. 

Dietro il Portico di Ottavia si vede l’abside di S. Maria in Campitelli: qui, durante il periodo del grande pericolo nazista, gli ebrei dell’antico ghetto trovarono più volte rifugio fraterno. Nel 1990 qui è stata celebrata solennemente per Roma la prima delle Giornate per l’Ebraismo che
la CEI desidera siano celebrate da tutti i cristiani, il 17 gennaio di ogni anno. 

Casa di Lorenzo Manili: nel 1497 il mercante Lorenzo Manili, volendo contribuire all’abbellimento della città in quel periodo di risveglio edilizio dell’Urbe, costruisce la propria casa “ad forum Judaeorum”: prospiciente
la Piazza degli Ebrei, o Piazza Giudia che verrà più tardi letteralmente divisa in due dal muro del ghetto. La facciata porta la lunga iscrizione in greco e latino di cui si è detto, più alcuni bassorilievi di abbellimento. 

Nell’angolo di casa Manili la piccola porta di uno dei punti del ghetto più popolari in Roma: la pasticceria che sforna quotidianamente ghiottonerie tipiche ebraiche. Girato l’angolo, si vede un tempietto attualmente mal coperto di lastre arrugginite, ma dalle linee squisite. Un tempo era un’edicola della Madonna. 

Nel lato opposto, la chiesetta di S. Maria del Pianto, sorta intorno a un’immagine dipinta sul muro e legata al racconto di un miracolo. E’ una delle ben sedici chiese che sorgevano in questo che è sempre stato il più piccolo dei Rioni di Roma. Nelle vicinanze sono rimaste la chiesa di S.Tommaso ai Cenci, di S. Caterina dei funari, S. Stanislao dei Polacchi e quella che sorge sulla casa della famiglia di S. Ambrogio. 

Di fronte a casa Manili, nella piazza Giudia, si ergeva la bella fontana che ora troviamo dietro S. Maria del Pianto e davanti a palazzo Cenci Bolognetti. E’ del Della Porta e ha una storia travagliata perché fu più volte rimossa e modificata. Palazzo Cenci venne temporaneamente incluso nel ghetto in seguito all’ampliamento resosi necessario nel 1836 sotto Gregorio XVI. 

Proseguendo troviamo la “piazza delle Cinque Scole”: il nome porta il ricordo del palazzetto delle Cinque Scale o Sinagoghe che sorgeva in questo punto, e che scomparve con la ricostruzione. Uno dei divieti del tempo del ghetto consisteva nella proibizione di avere più di una sinagoga, indipendentemente dal numero degli ebrei e soprattutto senza tener conto della estrema varietà di provenienze (catalani, aragonesi, siciliani e altri). La difficoltà fu in parte aggirata comprendendo all’interno di un unico palazzetto, locali diversificati per i diversi gruppi. 


La Sinagoga [1]
: visibile da molti punti della città con la sua cupola quadrata, la sinagoga o Tempio, come amano chiamarla gli ebrei romani, rappresenta architettonicamente la riconquistata cittadinanza della comunità dopo la vergogna del ghetto. Gli architetti Armani e Costa che la costruirono nel 1904 erano non ebrei: la comunità non aveva ancora potuto avere architetti propri. Fu inaugurata con grandissima solennità e devozione. E’ tuttora frequentata praticamente da tutti gli ebrei romani, anche se nella città vi sono almeno altre cinque sinagoghe più piccole in vari rioni. Lo stile è un misto di Liberty e di arte babilonese, con evidente richiamo all’origine mediorientale della religione ebraica e allo stile dell’epoca di costruzione. Non porta immagini, solo simboli: la menorah, le tavole della legge, i “lulav”. Le molteplici scritte in ebraico sono quasi tutte versetti della Scrittura che esaltano la sacralità del luogo. Sul lato sinistro di chi guarda la facciata si vedono ancora i segni dell’attentato compiuto da membri dell’OLP il 9 ottobre 1982 nel quale rimasero ferite più di 40 persone e morì Stefano Tachè di due anni.
Proseguendo il giro intorno alla sinagoga si passa davanti al piccolo ingresso che porta alla sottostante sinagoga spagnola, poi si arriva davanti alla chiesa di S. Gregorio di cui già abbiamo parlato, ci si trova di fronte l’Isola Tiberina. All’interno degli edifici annessi alla Sinagoga troviamo il Museo Ebraico. Sul lato verso il Tevere, il muro della sinagoga porta diverse lapidi di notevole interesse storico; ricordano il lungo elenco di ebrei caduti nella prima guerra mondiale; gli ebrei caduti alle Fosse Ardeatine; invocano pace per tutti. 

Il “giro del ghetto” può chiudersi qui. Raramente è dato trovare in uno spazio così piccolo tanta memoria, tanto dolore e tanta speranza. 

Breve cronologia del ghetto di Roma e delle sue porte 

·         1555: Paolo IV (1555-1559) con la bolla “Cum nimis absurdum’ revoca tutti i diritti concessi e ordina l’istituzione del ghetto. 

·         Per lo “Jus Gazzagà” i cristiani restano proprietari delle case poste nella zona del ghetto, ma senza il diritto di cacciarne gli ebrei subentrati o di aumentare l’affitto. 

·         1572: Gregorio XIII (15 72-1585) ordina le “prediche coatte” settimanali. 

·         Sisto V (1585-1590) revoca alcune restrizioni e consente un piccolo ampliamento del ghetto che raggiunge un’estensione di 3 ettari. 

·         Sotto Leone XII (1823-1829) la situazione peggiora, tuttavia il Pontefice consente – visto l’alto numero di persone – che il ghetto sia ulteriormente ingrandito: viene inclusa via della Reginella e autorizzato l’acquisto di nuove case. Si raggiunge un totale di 8 porte. 

·         Le porte del Ghetto, originariamente, al tempo di Paolo IV, erano due. 

·         Nel 1577 ne viene aperta una terza. La porta principale era sulla Piazza Giudia (ora scomparsa), le altre vicino alla Chiesa S.Angelo e vicino alla Chiesa S.Gregorio. 

·         1589: Sisto V allarga il ghetto verso il Tevere: via della Fiumara (ora scomparsa) ai capi della quale vi erano altre due porte. 

·         1823: ai tempi di Leone XII vengono aggiunte tre porte. 

·         Pio IX (1846-1878): il 17 aprile 1848 Pio IX ordina l’apertura delle porte del ghetto e la demolizione delle mura, che saranno completamente distrutte nel 1885. Fino al 1847 un alto muro separava
la Piazza dei Cenci dalla Piazza delle Cinque Scole. Ma, con la fine della Repubblica romana, nel 1849, e il ritorno di Pio IX, gli Ebrei sono obbligati a rientrare nel ghetto fino alla abolizione definitiva nel 1870. 

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Note 

[Nota 1] (Nota dell’Areopago) Il 13 aprile 1986 il papa Giovanni Paolo II si è recato in visita alla Sinagoga, pronunciando, fra l’altro, queste parole: “Siamo tutti consapevoli che, tra le molte ricchezze del numero 4 della dichiarazione Nostra Aetate, tre punti sono specialmente rilevanti…
Il primo è che
la Chiesa di Cristo scopre il suo “legame” con l’ebraismo “scrutando il suo proprio mistero”. La religione ebraica non ci è “estrinseca”, ma in un certo qual modo, è “intrinseca” alla nostra religione. Abbiamo quindi verso di essa dei rapporti che non abbiamo con nessun altra religione: Siete i nostri fratelli prediletti e, in un certo modo, si potrebbe dire i nostri fratelli maggiori.
Il secondo punto rilevato dal concilio è che agli ebrei come popolo, non può essere imputata alcuna colpa atavica o collettive, per ciò “che è stato fatto nella passione di Gesù”. Non indistintamente agli ebrei di quel tempo, non a quelli venuti dopo, non a quelli di adesso. E’ quindi inconsistente ogni pretesa giustificazione teologica di misure discriminatorie o, peggio ancora, persecutorie. Il Signore giudicherà ciascuno “secondo le sue opere”, gli ebrei come i cristiani.
Il terzo punto che vorrei sottolineare nella dichiarazione conciliare è la conseguenza del secondo; non è lecito dire, nonostante la coscienza che
la Chiesa ha della propria identità, che gli ebrei sono “reprobi o maledetti”, come se ciò fosse insegnato o potesse venire dedotto dalle Sacre Scritture, dell’Antico come del Nuovo Testamento. Anzi, aveva detto prima il concilio, in questo stesso brano della Nostra Aetate, ma anche nella costituzione dogmatica Lumen Gentium, citando san Paolo nella lettera ai Romani, che gli ebrei “rimangono carissimi a Dio”, che li ha chiamati con una “vocazione irrevocabile”.   

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Oltre il portone di bronzo – Strana sede che mette serenità

dal sito on line del giornale Avvenire

Oltre il portone di bronzo 

Strana sede che mette serenità 

Luigi Geninazzi  

Che cosa può succedere quando l’uomo più potente del mondo, ma in caduta di credibilità politica, incontra chi ha fatto dell’autorità morale senza potere la propria forza? Può accadere, e l’abbiamo visto ieri, che se ne esca, fuori da ogni protocollo, con un saluto tanto semplice quanto irrituale. «È bello essere qui», sono state le prime parole pronunciate da George W. Bush appena varcato il portone di bronzo per essere ricevuto da Papa Ratzinger. Dev’essere bello venir accolti da «una persona intelligente, amorevole e affettuosa», come l’ha definito il presidente Usa. Soprattutto dopo le fatiche del G-8, le trattative estenuanti con gli altri leader e il durissimo braccio di ferro con Putin.
È forse uno dei carismi più significativi di Benedetto XVI quello di trasmettere una grande serenità ai suoi interlocutori. A questo livello dev’essere scattata una straordinaria sintonia tra «il cristiano rinato» che siede alla Casa Bianca ed il fine teologo divenuto capo della Chiesa cattolica. «Vedrò Benedetto XVI per la prima volta e la mia intenzione è soprattutto d’ascoltarlo», aveva detto il presidente americano alla vigilia del suo tour europeo. Proprio come l’avevano esortato sette persone su dieci negli Stati Uniti, secondo un sondaggio svolto dal quotidiano «Usa Today»: dedichi attenzione ai suggerimenti del Papa.
Dunque molte cose sono cambiate da quando, nel 2003, un mese prima dell’attacco militare contro l’Iraq, il portavoce della Casa Bianca disse sprezzantemente che Bush «non si sarebbe fatto condizionare dalla Santa Sede», cioè da Giovanni Paolo II contrario all’intervento bellico. Oggi l’Iraq ed il Medio Oriente sprofondano nella guerra civile e restano in cima alle preoccupazioni del Vaticano, con particolare riguardo alle «critiche condizio ni in cui si trovano le comunità cristiane», ha ricordato il Papa nel suo colloquio con Bush.
Secondo le stime della Caritas internazionale, in Iraq rimangono 25mila cristiani a fronte del mezzo milione che vi abitava prima della guerra. «Non c’è nulla di positivo che viene dall’Iraq insanguinato», aveva detto Benedetto XVI a Pasqua di quest’anno. In Medio Oriente la democrazia non cala dall’alto con le bombe, si costruisce «con una soluzione negoziata dei conflitti e delle crisi che travagliano la regione», ha detto il Pontefice al presidente americano. Una chiara presa di distanza dalla dottrina Bush, fondata sull’interventismo unilaterale e finita in un tragico solipsismo.
Certo, il leader della Casa Bianca può vantare molti punti di convergenza importante con il capo della Chiesa cattolica sul terreno cruciale della difesa della vita e della famiglia (pochi giorni fa aveva annunciato il veto alla legge che intende liberalizzare l’utilizzo delle cellule staminali dell’embrione per la ricerca scientifica). Questo tuttavia non elimina le riserve vaticane nei confronti della sua strategia internazionale. Il presidente americano vuole esportare la democrazia in tutto il mondo (con esiti gravi, per il momento) ma dal Papa gli è giunto un richiamo alla sobrietà. Se gli Stati Uniti vogliono avere un ruolo guida, allora si mettano a capo di una grande campagna «contro la sofferenza nel mondo», impegnandosi a combattere la fame, le malattie e la povertà che assediano tre quarti del pianeta.
«Il Papa ce lo ha chiesto e noi lo faremo», ha promesso Bush nel corso della tavola rotonda con gli esponenti della comunità di Sant’Egidio. Non sarà una guerra-lampo ma forse farà avanzare un po’ più la democrazia nel mondo. 

 

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Un rabbino discute col papa. E ciò che li divide è sempre Gesù

Dal sito: 

http://chiesa.espresso.repubblica.it/dettaglio.jsp?id=147421

Un rabbino discute col papa. E ciò che li divide è sempre Gesù


Il rabbino è Jacob Neusner, lo stesso al quale Benedetto XVI dedica molte pagine del suo ultimo libro. A giudizio di entrambi, le dispute tra ebraismo e cristianesimo devono non occultare ma portare alla luce le rispettive pretese di verità
di Sandro Magister ROMA, 11 giugno 2007 – Nel libro « Gesù di Nazaret » scritto da Joseph Ratzinger prima e dopo la sua elezione a papa, c’è un autore vivente citato e discusso molto più di altri. Nel capitolo quarto dedicato al Discorso della Montagna, Ratzinger si sofferma su di lui per almeno quindici pagine.Questo autore è un ebreo osservante e rabbino, Jacob Neusner. Vive negli Stati Uniti e insegna storia e teologia dell’ebraismo al Bard College, Annandale-on-Hudson, di New York. Nel 1993 pubblicò un libro che colpì moltissimo l’allora cardinale Ratzinger: « A Rabbi Talks with Jesus », edito in Italia da Piemme nel 1996 con il titolo « Disputa immaginaria tra un rabbino e Gesù ».

In « Gesù di Nazaret » il papa spiega perché questo libro lo impressionò così positivamente. In esso « l’autore prende posto in mezzo alla schiera dei discepoli sulla ‘montagna’ della Galilea. Ascolta Gesù [...] e parla con Gesù stesso. È toccato dalla grandezza e dalla purezza delle sue parole e tuttavia inquietato da quella finale inconciliabilità che trova nel nocciolo del Discorso della Montagna. Accompagna poi Gesù nel suo cammino verso Gerusalemme [...] e sempre riprende a parlare con lui. Ma alla fine decide di non seguire Gesù. Rimane fedele a quello che egli chiama l’Israele eterno ».

Il nodo cruciale che trattiene il rabbino dal credere in Gesù è il suo rivelarsi come Dio: che è poi lo stesso scandalo che portò Gesù alla morte. A giudizio di Ratzinger, sta proprio qui il valore del libro di Neusner. Il colloquio immaginario tra il rabbino ebreo e Gesù « lascia trasparire tutta la durezza delle differenze, ma avviene in un clima di grande amore: il rabbino accetta l’alterità del messaggio di Gesù e si congeda con un distacco che non conosce odio e, pur nel rigore della verità, tiene sempre presente la forza conciliatrice dell’amore ».

Per Benedetto XVI è questa la via del vero dialogo tra ebrei e cristiani. Non occultare le rispettive pretese di verità, ma portarle alla luce nella comprensione e nel rispetto reciproci.

Ed è questo anche il pensiero di Neusner:

« Negli ultimi due secoli il dialogo ebraico-cristiano è servito come un mezzo per politiche di conciliazione sociale, non è stato più un’indagine religiosa sulle convinzioni dell’altro. [...] Col libro « Gesù di Nazaret » le dispute ebraico-cristiane entrano in una nuova era. Siamo ora in grado di incontrarci gli uni gli altri in un promettente esercizio di ragione e di critica ».

Neusner ha commentato il libro del papa in un articolo uscito il 29 maggio sul quotidiano israeliano « The Jerusalem Post ».

Il suo è il primo importante commento a « Gesù di Nazaret » da parte di un autorevole esponente religioso non cristiano. Anzi, da parte di un appartenente alla fede ebraica. Eccolo in una nostra traduzione:

Il mio ragionare col papadi Jacob Neusner

Nel Medio Evo i rabbini erano costretti a impegnarsi, davanti a re e cardinali, in dispute con i sacerdoti su quale fosse la vera religione, l’ebraismo o il cristianesimo. Il risultato era predeterminato: i cristiani vincevano perché avevano la spada.

Poi negli anni dopo la seconda guerra mondiale le dispute hanno lasciato il posto alla convinzione che le due religioni dicano la stessa cosa; e le differenze tra esse sono state declassate a questioni secondarie.

Ora invece è iniziato un nuovo tipo di controversia, nel quale è la verità delle due religioni a essere al centro del dibattito.

Ciò segna un ritorno alle antiche dispute, con la loro intensa serietà circa la verità religiosa e la loro volontà di porre le questioni di fondo e di impegnarsi nelle risposte.

Il mio libro, « A Rabbi Talks with Jesus » [edito in Italia da Piemme nel 1996 con il titolo: "Disputa immaginaria tra un rabbino e Gesù", oggi esaurito], è stato uno di questi recenti esercizi di disputa, e ora, nel 2007, il papa nel suo nuovo libro « Gesù di Nazaret » ha raccolto la sfida punto per punto. Si può immaginare il mio stupore quanto mi dissero che una risposta cristiana al mio libro « A Rabbi Talks with Jesus » era contenuta nel capitolo quarto del libro « Gesù di Nazaret » di Benedetto XVI.

Dunque abbiamo dei papi impegnati nel dialogo teologico ebraico-cristiano? In antico e nei secoli medievali le dispute concernenti proposizioni di verità religiosa definivano la finalità del dialogo tra le religioni, in particolare l’ebraismo e il cristianesimo. L’ebraismo affrontò la questione con vigore, accumulando rigorosi ragionamenti costruiti sui fatti della Scrittura comune a entrambe le parti impegnate nel confronto. Narrazioni immaginarie, come « Kuzari » di Giuda Halevi, misero in scena un dialogo tra ebraismo, cristianesimo e islam, un dialogo presieduto da un re che cercava la vera religione per il suo regno. L’ebraismo vinse la disputa davanti al re dei Khazari, almeno nella versione di Giuda Halevi. Ma il cristianesimo non meno risolutamente cercò dei sostenitori nel dibattito, confidando di vincere la disputa. Simili controversie attestavano la comune fede di entrambe le parti nell’integrità della ragione e negli eventi delle Scritture condivise.

Queste dispute furono abbandonate quando le religioni persero la loro fiducia nella capacità della ragione di stabilire la verità teologica. Da lì in poi, ad esempio in « Nathan il saggio » di Lessing, le religioni furono concepite per affermare una verità comune a tutti, e le differenze tra le religioni furono accantonate come marginali e non importanti. Si disse che un presidente americano abbia affermato: « Non importa in che cosa tu creda, l’importante è che tu sia un buon cittadino ». Così le controversie tra le religioni persero la loro urgenza. L’eredità dell’Illuminismo con la sua indifferenza alla pretesa di verità delle religioni promosse la tolleranza religiosa e il rispetto reciproco al posto del confronto tra le religioni e alla rivendicazione di conoscere Dio. Le religioni emersero come ostacoli al buon ordine della società.

Negli ultimi due secoli il dialogo ebraico-cristiano è servito come un mezzo per politiche di conciliazione sociale, non è stato più un’indagine religiosa sulle convinzioni dell’altro. Il negoziato ha preso il posto del dibattito, e si è pensato che la pretesa di verità della propria religione violasse le regole di buona condotta.

Invece, in « A Rabbi Talks with Jesus » ho preso sul serio l’affermazione di Gesù secondo cui in lui
la Torah trova compimento in lui e ho messo a confronto questa affermazione con gli insegnamenti di altri rabbini, in una sorta di colloquio tra maestri della Torah. Spiego in una maniera lucida e niente affatto apologetica perché, se fossi vissuto nella Terra di Israele del primo secolo e fossi stato presente al Discorso della Montagna, non mi sarei unito al gruppo dei discepoli di Gesù. Avrei detto no – anche se in maniera cortese –, sicuro di avere dalla mia parte solide ragioni e fatti.

Se avessi ascoltato ciò che egli disse nel Discorso della Montagna, per valide e sostanziali ragioni io non sarei divenuto uno dei suoi discepoli. Ciò è difficile da immaginare, dal momento che è arduo pensare a parole più profondamente radicate nella nostra civiltà e nelle sue più profonde affermazioni degli insegnamenti del Discorso della Montagna e di altri pronunciamenti di Gesù. Ma è anche arduo immaginare di ascoltare queste parole per la prima volta, come qualcosa di sorprendente e di esigente, non come semplici luoghi comuni. Questo è precisamente ciò che io propongo di fare nelle mie conversazioni con Gesù: ascoltare e argomentare. Ascoltare insegnamenti religiosi come fosse la prima volta e rispondere ad essi con sorpresa e meraviglia – questo è il frutto del dibattito religioso nei giorni nostri.

Ho scritto il mio libro per gettare qualche luce sul motivo per cui, mentre i cristiani credono in Gesù Cristo e nella buona novella del suo dominio nel regno dei Cieli, gli ebrei credono nella Torah di Mosè e formano sulla terra e nelle loro carni un regno di Dio fatto di sacerdoti e di popolo santo. Questo credo richiede ai fedeli ebrei di dissentire dagli insegnamenti di Gesù, sulla base che questi insegnamenti contraddicono
la Torah in punti importanti.

Quando Gesù s’allontana dalla rivelazione fatta da Dio a Mosè sul Monte Sinai che è
la Torah, egli sbaglia, mentre Mosè è nel giusto. Nello stabilire il fondamento di questo dissenso niente affatto apologetico, intendo incoraggiare il dialogo tra i credenti, cristiani ed ebrei.

Per molto tempo gli ebrei hanno lodato Gesù come un rabbino, un ebreo veramente come noi; ma per la fede cristiana in Gesù Cristo questa affermazione è assolutamente irrilevante. Da parte loro i cristiani hanno lodato l’ebraismo come la religione da cui è venuto Gesù, ma per noi questo è difficilmente un vero complimento.

Abbiamo spesso evitato di portare allo scoperto i punti di sostanziale differenza tra noi, non solo in risposta alla persona e alle affermazioni di Gesù, ma specialmente a proposito dei suoi insegnamenti.

Egli pretese di riformare e portare a compimento: « Vi è stato detto… ma io vi dico… » E invece noi teniamo fermo, e io l’ho sostenuto nel mio libro, che
la Torah è stata ed è perfetta e non è bisognosa di ulteriori compimenti, e che l’ebraismo costruito sopra
la Torah e i Profeti e gli Scritti, le parti originariamente orali della Torah messe per iscritto nella Mishna, il Talmud, il Midrash – questo ebraismo è stato e rimane il disegno di Dio per l’umanità.

In base a questo criterio ho proposto di stabilire un dissenso ebraico rispetto ad alcuni importanti insegnamenti di Gesù. È un atto di rispetto per i cristiani e di onore per la loro fede. Poiché noi possiamo discutere solo se ci prendiamo reciprocamente sul serio. Possiamo entrare in dialogo solo se onoriamo sia noi stessi che l’altro. Nella mia immaginaria disputa tratto Gesù con rispetto, ma voglio anche discutere con lui sulle cose che dice.

Che cosa è in gioco qui? Se riesco a creare una vivida rappresentazione della disputa, i cristiani vedranno le scelte che Gesù ha fatto e sapranno ravvivare la loro fede in Gesù Cristo – ma anche in rapporto all’ebraismo.

Voglio mettere in evidenza le scelte diverse che l’ebraismo e il cristianesimo vedono confrontarsi nelle Scritture che hanno in comune. I cristiani capiranno meglio il cristianesimo se saranno consapevoli delle scelte che esso pone loro davanti; e lo stesso vale per gli ebrei, rispetto all’ebraismo.

Voglio spiegare ai cristiani perché io credo nell’ebraismo; e questo dovrebbe aiutare i cristiani a identificare quali sono le convinzioni profonde che invece li portano in chiesa ogni domenica.

Gli ebrei rafforzeranno il loro affidamento alla Torah di Mosè – ma anche il loro rispetto per il cristianesimo. Voglio che gli ebrei capiscano perchè l’ebraismo richiede assenso: « il Misericordioso cerca i cuori »,  »
la Torah è stata data solo per purificare il cuore dell’uomo ». Sia gli ebrei che i cristiani dovrebbero trovare in « A Rabbi Talks with Jesus » le ragioni da sostenere, poiché sia gli uni che gli altri scopriranno lì i punti essenziali sui quali si fonda la differenza tra l’ebraismo e il cristianesimo.

Che cosa mi rende così sicuro di questo esito? Io credo che, quando ciascuna parte comprende nello stesso modo le questioni che la dividono dall’altra ed entrambe affermano con solide ragioni le loro rispettive verità, allora tutti possono amare e lodare il Signore in pace – sapendo che realmente essi servono l’unico e lo stesso Dio – nelle rispettive differenze. Il mio è un libro religioso sulla differenza religiosa: un ragionare su Dio.

Quando il mio editore mi chiese di consigliargli a quali colleghi chiedere di presentare il mio libro, suggerii il rabbino capo Jonathan Sacks e il cardinale Joseph Ratzinger. Il rabbino Sacks mi aveva da tempo impressionato per i suoi acuti e ben argomentati scritti teologici, da valido apologista contemporaneo dell’ebraismo. Quanto al cardinale Ratzinger avevo ammirato i suoi saggi sul Gesù della storia e gli avevo scritto per dirglielo. Lui mi aveva risposto e ci eravamo scambiati scritti e libri. La sua volontà di discutere sulla questione della verità, e non solo sulle politiche della dottrina, mi aveva colpito come coraggiosa e costruttiva.

Ora però Sua Santità ha compiuto un passo ulteriore e ha risposto alla mia critica con un esercizio creativo di esegesi e teologia. Col suo « Gesù di Nazaret » le dispute ebraico-cristiane entrano in una nuova era. Siamo ora in grado di incontrarci gli uni gli altri in un promettente esercizio di ragione e di critica. Le parole del Sinai ci conducono assieme verso il rinnovamento di una tradizione lunga duemila anni di dibattito religioso al servizio della verità di Dio.

Una volta uno mi definì la persona più amante della disputa che avesse mai conosciuto. Ora ho trovato chi mi tiene testa. Benedetto XVI è un altro cercatore della verità.

Quelli che stiamo vivendo sono tempi interessanti.

Publié dans:Sandro Magister |on 11 juin, 2007 |Pas de commentaires »

buona notte

buona notte dans immagini buon...notte, giorno donnola

Canada – Donnola

« Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date »

San Gregorio Magno (circa 540-604), papa, dottore della Chiesa
Omelie sui vangeli, 6

« Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date »

Potete anche voi, se lo volete, meritare quel bel nome di messaggero di Dio. Infatti, se ognuno di voi, secondo le sue possibilità, nella misura in cui ne ha ricevuto l’ispirazione dal cielo, distoglie il suo prossimo dal male, si prende cura di portarlo al bene, richiama allo smarrito il Regno o il castigo che lo aspettano nell’eternità, è certamente un messaggero delle sante parole di Gesù. E nessuno venga a dirmi: Sono incapace di ammaestrare gli altri, di esortarli. Fate almeno il possibile, perché un giorno non vi sia domandato il conto del talento ricevuto e disgraziatamente conservato. Infatti, il servo della parabola non aveva neanche lui ricevuto più di un talento, ed ha preferito nascondere in suo talento invece di farlo fruttare (Mt 25,14)…

Trascinate gli altri con voi; siano i vostri compagni sulla strada che conduce a Dio. Quando, andando sulle piazze, incontrate qualche sfaccendato, invitatelo dunque ad accompagnarvi. Infatti le vostre stesse azioni quotidiane servono a unirvi agli altri. Stavate andando a Dio? Provate di non arrivarvi soli. Che colui che ha già sentito nel suo cuore la chiamata dell’amore divino, ne tragga per il suo prossimo una parola di incoraggiamento.

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