S’inginocchiò davanti ai suoi discepoli e lavò i loro piedi.
da « Avvenire » on line, anno 2005:
PASQUA 2005.
S’inginocchiò davanti ai suoi discepoli e lavò i loro piedi.
Tre intellettuali riflettono su questo rito misterioso e sul servizio al prossimo
Ultimo tra gli ultimi
Gianfranco Ravasi;Franco La Cecla;Erri De Luca
Ravasi
Così ci ha detto di essersi donato
per riscattarci dal peccato
«Sei risalito dal fonte. Hai ascoltato la lettura. Il vescovo, raccolte le vesti, ti ha lavato i piedi». Così sant’Ambrogio nella sua opera I sacramenti (III, 4) attestava che il rito che oggi si celebra in molte chiese era anticamente connesso al battesimo, anche se ben presto fu riportato al giovedì santo, come sembra testimoniare s. Agostino. Gesù, infatti, stando al Vangelo di Giovanni (13, 1-15), aveva compiuto quel gesto durante l’ultima cena, mentre scendeva il tramonto su Gerusalemme.
Il suo era stato un atto simbolico ma anche provocatorio, come era emerso dalla reazione iniziale di Pietro: «Tu non mi laverai i piedi, mai!». Infatti nella prassi orientale antica era usanza offrire acqua all’ospite perché si lavasse i piedi impolverati dal viaggio (e coperti solo da sandali). Ma un testo giudaico di commento all’Esodo esplicitamente ammoniva che non si poteva esigere neppure da uno schiavo che lavasse i piedi al padrone o al suo ospite. Siamo, quindi, di fronte a un atto estremo di umiliazione che Gesù, maestro e Signore, compie nei confronti dei suoi discepoli.
Egli in quel momento attuava in pienezza le parole che un giorno aveva proclamato: «Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli… Egli si cingerà le vesti, li farà mettere a tavola e passerà a servirli» (Luca 12, 37). Un atto, certo, di umiltà ma anche di amore e di servizio. E’ significativo che in un’opera giudaica del I secolo a.C. intitolata Giuseppe e Aseneth, la moglie egiziana di questo famoso personaggio della Genesi si dichiarava pronta a lavargli i piedi al posto delle serve perché «i tuoi piedi – diceva – sono i miei piedi! Nessun altro laverà i tuoi piedi».
Al di là delle molteplici interpretazioni che il gesto di Gesù ha ricevuto nella storia dell’esegesi della pagina giovannea (battesimale, eucaristico, sacrificale, morale), è indubbio che con questo atto simbolico egli – alla m aniera dei profeti – ha voluto rappresentare la sua donazione assoluta all’umanità nell’umiliazione della morte. Un’umiltà che non è fine a se stessa, ma ha una meta d’amore. Il gesto diventa in tal modo esemplare. E’ Gesù stesso a ricordarlo dopo che si è rialzato e ha ripreso il suo posto a mensa: «Se io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri». E’ questa la lezione del Giovedì Santo.
La cecla
Quel gesto più che l’umiltà
ci chiede la reciprocità
Essere ai piedi di qualcuno. Toccargli i piedi. Slacciargli le scarpe, sciogliere i legacci dei calzari. Lavargli i piedi, asciugarglieli. Le figure dell’ossequio, dell’umiliazione, del sottomettersi, del subordinarsi. Cultura per cultura, i gesti del prendere i piedi a qualcuno stanno per una declinazione variegata del campo prossemico della subordinazione. Il corpo significa, con la sua posizione rispetto al corpo dell’altro, più di quanto possa dire uno scusarsi, un promettere fedeltà e obbedienza, un dichiarare sudditanza e rispetto. I discepoli del guru in India si chinano a toccarne i piedi, in segno di ammirata inferiorità. In molte culture i figli si inchinano a toccare con rispetto i piedi dei genitori.
I piedi altrui stanno a significare una indegnità di confronto, un potersi permettere solo questa confidenza con la parte altrui più vicina alla terra. Gli amanti non fanno diversamente, mettendo in scena una adorazione illegittima, una messinscena del preferire essere calpestati piuttosto che perdere l’amato. Solo ai malati e ai morenti si prendono i piedi in segno di estrema pietà e vicinanza, come accade nel racconto di Tolstoj, La morte di Ivan Illich. Pietà al posto di umiliazione, i piedi come il luogo da consolare, come la parte più fragile dell’umanità dell’altro.
Quando Cristo lava i piedi ai discepoli compie un gesto fuori da questi significati e da queste norme. Non corrisponde nemmeno al gesto del lavare i piedi ai po veri, che il Giovedì santo si ripete nelle basiliche.
Cristo lava i piedi di gente come lui, di poveri come lui. Non c’è ossequio e nemmeno umiliazione. Cosa significa lavare i piedi dei propri pari? Che significa lavare i piedi degli amici? Il gesto della lavanda dei piedi è qui disorientante rispetto ai codici tradizionali. Non corrisponde nemmeno al gesto della Maddalena, più simile a quello dell’amante o di chi presagisce la Passione prossima dell’altro.
Cristo lava i piedi dei discepoli per infrangere il senso dell’umiltà, per ricordare che da ora in poi è possibile solo come gesto reciproco. Lavando i piedi agli apostoli dichiara che loro sono maestri al pari di lui e che comunque lui abolisce la possibilità che loro lavino omaggianti i piedi di lui. Nel gesto evengelico si annullano e assimilano umiltà e umiliazione.
Qualcuno può rintracciarvi l’invenzione dell’umiltà cristiana, di chi si abbassa fino all’estremo sacrificio. Io vi vedo anche qualcos’altro. Un’eversione della tradizione, dove si rovescia l’inchino del suddito, si annulla la gerarchia, pur anche quella dei meriti e della santità. Cristo taglia corto con la simbolica del corpo riverente. E proclama l’accoglimento della comune radice dell’ossequio tra figli di Dio.
De Luca
Fu il segno della rinuncia
a ogni potenza su questa terra
Prima di finire rinchiusi nelle scarpe, i piedi andavano a spasso all’aria aperta. Le calzature della scrittura sacra erano sandali. In quei tempi si camminava assai, pochi avevano una cavalcatura. Viaggi, pellegrinaggi, spostamenti avvenivano a piedi: da qui l’importanza della loro salute. Nel cammino si impolverano, si feriscono e a ogni sosta vanno ristorati. Lavarli, ungerli, trattarli come il prezioso cuoio dei sandali, era l’atto di migliore accoglienza.
Oggi ognuno di noi possiede varie paia di calzature, mette il piede in molte scarpe. A quel tempo chi possedeva un paio di sandali li teneva in gran conto. La mossa di lavare i piedi al l’ospite l’inaugura Abramo alle querce di Mamre (Genesi/Bereshit 18,4) quando accoglie tre messaggeri e come prima mossa d’ospitalità offre loro ombra per sedersi e acqua per i piedi.
Nei precipitosi giorni di Gesù a Gerusalemme, nel tumulto di folla venuta da tutto Israele per la festa maggiore, la Pasqua ebraica, l’opera di lavare i piedi non è strana. È però strepitoso che sia Gesù e non un servo a compiere il lavaggio.
Molti da lui si aspettano un gesto politico, la città santa è sotto occupazione militare romana, gremita di popolo commosso e offeso. Gesù non dice una sola parola a proposito. Al termine della cena rituale s’inginocchia e lava i piedi ai suoi. Sono ebrei, nel rito hanno ricordato l’uscita a strappo dall’Egitto, il profumo selvatico del deserto e della libertà. Ora sono oppressi.
Gesù al culmine della maturità e della missione fa il gesto di abbassarsi, l’opposto di innalzarsi. Difficile da intendere anche per i presenti scelti, Gesù rinuncia a ogni potere, a ogni potenza in terra. Abbraccia gli uomini ai piedi, là dove poggia il peso e la statura di ognuno, i piedi che non portano corona.

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